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10 giugno, 2011

Stagione dell’OrchestraVerdi - 38



Xian Zhang chiude la stagione 10-11 con un pirotecnico viaggio in America, suo Paese di adozione, prima dell'approdo sui Navigli milanesi. Orchestra che si presenta per l'occasione con l'intero organico: arpe, saxofoni, tastiere, banjo e stuolo di percussionisti inclusi.

Rispetto al programma originario, c'è un'inversione di posizioni fra Gershwin e Bernstein, per cui ad aprire è Lenny con il suo West Side Story, di cui viene eseguita la Suite. Il famoso musical è una moderna ambientazione (a NewYork) di Romeo&Juliet, con Jets e Sharks ad impersonare Montecchi e Capuleti e Tony e Maria nei ruoli dei protagonisti. La suite, intitolata Symphonic dances, presenta i principali motivi del musical raccolti in nove numeri. Qui la dirige l'Autore.

Bernstein rappresentò musicalmente l'incompatibilità fra le due gang facendo ampio uso dello sbifido tritono, anche nei momenti più lirici, come il celeberrimo Maria (ne sentiamo il motivo nel 5° e 6° numero) che sale da tonica a dominante passando appunto per la quarta aumentata. Ma nell'Adagio finale (che chiude sia l'Opera che la Suite) troviamo nientemeno che una reminiscenza del wagneriano tema della Redenzione!

Zhang non bada a spese e ci cava tutta la sonorità e pure il fracasso dovuti, ma allo stesso tempo la struggente liricità dei momenti più intimi, compreso, appunto, il Finale.

Poi arriva il clarinettista Martin Fröst, abbigliato con una livrea che non sapresti dire se più consona ad una jam-session di una Band di NewOrleans, o alla Banda d'Affori agghindata per Carnevale. A dispetto del suo nome (letteralmente: Gelo) questo spilungone nordico ha l'argento vivo in corpo e manovra lo strumento con funambolica abilità. Insomma: un fenomeno.

Comincia con il primo dei due Concerti in cui è impegnato, quello di Aaron Copland. Dedicato al grande Benny Goodman, è prevalentemente in DO e inizia con un Lento, espressivo, in effetti un'elegia, dove il clarinetto è accompagnato prevalentemente dall'arpa e dal sommesso sostegno degli archi.

Arriva poi una cadenza, dove il solista deve tirar fuori… tutto il fiato che ha, e qui Fröst comincia a mostrare di che pasta è fatto:

Segue quindi un interludio (che permette al solista di ricostituire la sua scorta di fiato…) e poi la seconda parte del concerto, in tempo Piuttosto veloce, e con successive accelerazioni, dove fa la sua comparsa anche il pianoforte, ad aggiungere le sue gocciolanti sonorità a quelle di arpa e archi. In questa specie di rondò viene fuori tutto lo spirito jazz-istico del concerto, che si chiude con una esilarante scalata di quasi tre ottave, dal MIb al DO.

Pur essendo materia contemporanea e non vecchia di secoli, anche qui ci sono diatribe infinite su alcuni particolari della partitura, alimentate da discrepanze fra l'edizione per orchestra e la riduzione per clarinetto e piano, e fra ciò che è scritto e ciò che diversi interpreti suonano (con l'avallo, fra l'altro, di Copland medesimo). Ma trattandosi di jazz (smile!) evidentemente tutto è… ammissibile. Francamente il ritmo è così travolgente che per me è difficile dire quali scelte abbia fatto Fröst sui vari punti controversi (bisognerebbe analizzare la registrazione al… rallentatore).

Ancora lui, subito dopo, alle prese con il breve Concerto composto da tale Arthur Jacob Arshawsky. Come dire: Carneade, chi era costui? In realtà un tipo assai famoso, ma con il nome d'artie di Artie Shaw. Questo concerto fu composto per essere suonato dall'Autore nel film musicale Second Chorus (1940) che aveva per protagonista Fred Astaire (che lo ricordò così: il peggior film che abbia mai fatto!)
Sono più o meno 9 minuti di musica, in tonalità principale di SIb (proprio quella naturale dello strumento) che è jazz allo stato puro, a parte un iniziale tempo di Allegro, che è seguito da un Boogie-woogie e quindi dallo Swing, che incorporano anche un paio di cadenze. Ma anche tutta la prima parte dello Swing è in pratica una micidiale cadenza solistica (l'accompagnamento è del solo tom-tom) che mette davvero a dura prova l'abilità dell'interprete.

Nell'Allegro iniziale pare che il solista stia attaccando un tema della Gazza ladra; gli rispondono gli archi con una cosa che ricorda Voci di primavera (smile!) Ma è tutto uno scherzo, evidentemente, poiché il Boogie-woogie arriva presto a chiarire le cose in modo inequivocabile:

Ma per Fröst tutte queste paiono essere delle quisquilie, tanta è la facilità e la naturalezza con cui le affronta. Un autentico trionfo per lui. Che dopo due pezzi così è ancora più fresco (smile!) di una rosa, tanto da permettersi, con l'orchestra, un bis di questo tipo.

Dopo la pausa, tutto Gershwin. Dapprima ecco arrivare An American in Paris. Scritto nel 1928 dopo un viaggio nella capitale francese, questo balletto rapsodico subito si presenta con baldanza mista a spensieratezza:
È il turista che se ne va a spasso per la città, col naso all'insù e le orecchie tese. Parigi è una città dal traffico già caotico, e non mancano quindi automobili e taxi che strombazzano allegramente. In mezzo al trambusto arrivano anche le note di una filastrocca (Che cosa importa a me, se non son bella) forse nota altrettanto bene in Italia che a Parigi:

Ora, stanco per la lunga camminata, l'americano si riposa un poco e inevitabilmente sogna il suo paese, e il blues in primo luogo:

Si noti la prescrizione di coprire la campana della trombetta con una guaina di feltro (cosa che il bravissimo Alessandro Ghidotti ha prontamente eseguito). Questo è il motivo che rimane poi al centro del brano, e che pure lo concluderà. Accanto ad esso però arriva anche un ricordo allegro, il charleston della Louisiana:

Un'ultima veloce scorribanda per le strade della Ville lumière culmina nel Grandioso dove corno inglese, clarinetti e sax contralto ribadiscono per l'ultima volta il tema americano, prima del poderoso accordo di FA maggiore che chiude il brano, fra uno scroscio di applausi.

Per finire, ancora Gershwin, a mezzo Robert Russell Bennett, con un estratto sinfonico da Porgy and Bess (già eseguita qui in forma ridotta e semi-scenica sotto la guida di Wayne Marshall).

A symphonic picture è il titolo della suite, dove compaiono i principali e arcinoti motivi conduttori dell'opera: da Summertime a I Got Plenty O' Nuttin'; da Bess, You is My Woman Now a Oh, I Can't Sit Down; da It Ain't Necessarily So a There's a Boat Dat's Leavin' Soon for New York; e per finire Oh Lawd, I'm on My Way.

Zhang pensa bene di accorciarla e distillarvi proprio il-meglio-del-meglio. Successo strepitoso e immancabile bis, con la ripetizione dello struggente motivo che accompagna Porgy mentre si allontana, sul suo carretto, per rincorrere il suo improbabile sogno.

Ora non resta che dire arrivederci a settembre per una nuova emozionante avventura con laVerdi.
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