Otto stagioni sono
l’oggetto del concerto di questa settimana, per il quale torna sul podio Jader Bignamini in (bella, ad onor del
vero!) compagnia della violinista Natasha
Korsakova, un’ospite non nuova de laVerdi
(l’avevamo ascoltata un paio di anni fa in Shostakovich) che si presenta fasciata da
un lungo nero dotato di spacco
vertiginoso. Chissà se è per vedere (e ascoltare, ovviamente) lei che
l’Auditorium di Largo Mahler, a dispetto del nevischio imperversante su Milano,
è stato letteralmente preso d’assalto (ed esaurite risultano anche le due
prossime repliche)!
Quattro sono
le celeberrime Stagioni di Antonio
Vivaldi, e le altre quattro sono Las cuatro estaciones porteñas di un re del tango, Astor Piazzolla. In questo video Bignamini
spiega l’approccio usato per presentarcele: un approccio non certo nuovo,
dacchè l’accostamento fra le stagioni vivaldiane e quelle bairensi non è una
primizia, essendo spesso oggetto di concerti ed esibizioni. Quindi l’ordine di
presentazione non ha poi moltissime possibili varianti: prima le une, poi le
altre; oppure, più spesso, una mescolanza delle otto stagioni ordinate per
calendario (primavera-primavera, etc.) oppure, come in questo caso, per
contemporaneità fra le stagioni dei due emisferi.
___
I concerti
vivaldiani fanno parte dell’op.8, stampata in Amsterdam attorno
al 1725 e pomposamente consacrata a
tale Venceslao, Conte di Marzin (o Morzin)
un nobile mecenate boemo che aveva incontrato e apprezzato Vivaldi durante uno
dei suoi soggiorni italiani:
Vivaldi
scrisse personalmente (o forse impiegò farina del sacco di altri, chissà…) i
testi poetici richiamati nei quattro concerti tripartiti, trascrivendo i
singoli versi sui corrispondenti righi delle partiture, ed aggiungendo sulle
stesse alcuni sottotitoli, come schematicamente rappresentato nelle figure che
seguono.
I tentativi di
Vivaldi di imitare la natura (e/o le reazioni e i sentimenti che si provano al
contatto di essa) oggi ci possono sembrare patetici, ma non va dimenticato che
il nostro aveva a disposizione mezzi assai limitati, e non certo le macchine
del vento (vedi Strauss) né tanto
meno i nastri magnetici registrati col cinguettar di un usignolo (Respighi)! Inoltre i concerti sono per
complessi di soli archi, quindi il reverendo
nemmeno si potè giovare (come Beethoven nella Pastorale) di flauti-usignoli,
oboi-quaglie e clarinetti-cuculi! Né di timpani o di grancasse a
simulare tuoni e temporali.
Nell’Allegro iniziale c’è la scena dei
ruscelli (le fonti) dove Vivaldi
impiega quartine di semicrome ad evocare lo scorrere calmo ma continuo delle
acque. Qualcosa di simile sentiremo 150 anni più tardi nella Moldava… In compenso simili semicrome
(in sestine) verranno impiegate da Wagner per evocare lo stormir di fronde (il Waldweben nel Siegfried); il quale
mormorio è invece rappresentato da Vivaldi (all’inizio del Largo) con semicrome
puntate seguite da biscrome, proprio a darci l’idea dell’incresparsi irregolare
del fogliame.
Insomma,
fenomeni diversi possono essere evocati dallo stesso stilema musicale, e uno
stesso fenomeno da stilemi diversi. A dimostrazione, ce ne fosse ancora
bisogno, che la musica mai e poi mai può descrivere
alcunché, ma soltanto richiamare vagamente alla nostra sensibilità oggetti,
fenomeni o personaggi. I quali, se non esplicitamente e preventivamente esposti
in un programma o in didascalie, ci rimarrebbero del tutto indecifrabili al
puro udirne i motivi musicali.
Nell’Allegro compaiono (come in Beethoven)
tre volatili (cucù, tortorella e cardellino): è invariabilmente il violino
solista a doverli impersonare, e non può far altro che differenziarne il canto
attraverso il ritmo impresso alla melodia, mancandogli la qualità fondamentale,
il diverso timbro. E Vivaldi fa
effettivamente miracoli, nel tentativo di presentarci tutta questa varietà
ornitologica con questi limitatissimi mezzi…
Nell’Adagio-Presto centrale e poi nel Presto finale abbiamo l’evocazione di tuoni
e di un classico temporale, e guarda caso molti dei mezzi musicali impiegati da
Vivaldi sono analoghi, se non identici, a quelli relativi ai tuoni del movimento iniziale della
Primavera. Simili urla di vento udiremo infine anche nell’Inverno. Certo che la
mancanza di timpani (tuoni) e di un bell’ottavino (per lampi e saette) si fa
sentire, e come!
Nell’Allegro iniziale, curiosa la
rappresentazione di ubriachi, dove il violino cerca di mostrare l’effetto dei fumi
dell’alcol, i giramenti di testa e il barcollare incerto della persona:
L’Allegro conclusivo, che dovrebbe
rappresentare la caccia, in effetti è un menuetto
dietro il quale inizialmente si intravedono, più che preparativi di carattere
venatorio, leziosi balletti di corte! Poi l’atmosfera si muove assai con la
comparsa di schioppi e cani e le terzine che evocano la belva fuggente. Però ci
vuole una bella fantasia per associare questa musica allo scenario proposto!
Nell’iniziale Allegro non molto è curiosa e meticolosa
allo stesso tempo la cura che Vivaldi pone nel differenziare due fenomeni di battimento (di piedi e di denti) legati
alle basse temperature. Per rappresentare i secondi il prete rosso introduce una rudimentale poliritmia, con il violino
solista che suona in corda doppia 32 biscrome a battuta (4/4), i violini che
suonano 16 semicrome e le viole che suonano 8 crome.
Nel Largo, il sottotitolo La Pioggia è scritto sulla parte dei
violini (primi e secondi) che suonano arpeggi di MIb in pizzicato, proprio ad evocare il rumore di sgocciolamento che arriva
alle nostre orecchie, ovattato, mentre ce ne stiamo al calduccio davanti al
caminetto!
Nelle sezioni
estreme tornano venti e maltempo, ma anche corse e scivolate sul ghiaccio: e il
povero violino solista, con i colleghi, deve far miracoli per rappresentarli
plausibilmente, anche se il risultato, ammettiamolo pure, non cambierebbe se le
diverse didascalie venissero magari rimescolate a piacere!
___
Quanto ai tanghi di Piazzolla, che non sono stati
propriamente concepiti come un corpus organico,
non hanno certo pretese descrittive, ma sono più che altro rievocazioni
poetiche della vita del porto di Baires.
Musicalmente,
uno degli stilemi ricorrenti è un inciso di due semicrome che ricompare quasi
come un tic in tutte le stagioni:
La versione
che ascoltiamo in questa occasione (ci sono svariati arrangiamenti di questi
tanghi) è opera abbastanza recente di un russo (Leonid Desyatnikov) che ha voluto evidentemente rivestire Piazzolla
con qualcosa di Vivaldi, a cominciare dal violino principale, che diventa
protagonista dei quattro tanghi, nei quali Desyatnikov ha pure infilato qualche
chiara reminiscenza vivaldiana, a costo di qualche forzatura, come il MI maggiore
del veneziano messo in chiusura del SOL minore della Primavera di Piazzolla.
___
La coppia
Bignamini-Korsakova fa davvero scintille: lui sempre impeccabile e pulitissimo
nel gesto (ed avendo sia Vivaldi che Piazzolla mandati a memoria…) lei a
sfoggiare la sua tecnica sopraffina, ma anche una grande sensibilità di
interprete. Ai lodati sono da aggiungere il violoncello di Tobia Scarpolini (in particolare nell’Autunno bairense) la viola di
Gabriele Mugnai e il violino di Luca Santaniello.
Il successo è
tale che non può mancare un bis, con
la ripetizione del Largo dall’Inverno: che, devo dire, a me più che la
pioggia ha sempre richiamato alla mente la classica slitta di SantaKlaus che se ne scivola dolcemente
sulla neve diffondendo cullanti suoni di sonagli.
Ma non finisce
qui, poiché la fascinosa discendente del grande Rimsky ci regala anche la Sarabanda
in RE minore, dalla seconda Partita
bachiana.
___
A fine mese,
in singolare coincidenza con il prepensionamento del Papa (per il quale laVerdi
ha più volte suonato) una sesquipedale costruzione sonora del
tardoromanticismo: la Terza di Mahler!
Nessun commento:
Posta un commento