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22 febbraio, 2013

Orchestraverdi – concerto n.23


Otto stagioni sono l’oggetto del concerto di questa settimana, per il quale torna sul podio Jader Bignamini in (bella, ad onor del vero!) compagnia della violinista Natasha Korsakova, un’ospite non nuova de laVerdi (l’avevamo ascoltata un paio di anni fa in Shostakovich) che si presenta fasciata da un lungo nero dotato di spacco vertiginoso. Chissà se è per vedere (e ascoltare, ovviamente) lei che l’Auditorium di Largo Mahler, a dispetto del nevischio imperversante su Milano, è stato letteralmente preso d’assalto (ed esaurite risultano anche le due prossime repliche)!

Quattro sono le celeberrime Stagioni di Antonio Vivaldi, e le altre quattro sono Las cuatro estaciones porteñas di un re del tango, Astor Piazzolla. In questo video Bignamini spiega l’approccio usato per presentarcele: un approccio non certo nuovo, dacchè l’accostamento fra le stagioni vivaldiane e quelle bairensi non è una primizia, essendo spesso oggetto di concerti ed esibizioni. Quindi l’ordine di presentazione non ha poi moltissime possibili varianti: prima le une, poi le altre; oppure, più spesso, una mescolanza delle otto stagioni ordinate per calendario (primavera-primavera, etc.) oppure, come in questo caso, per contemporaneità fra le stagioni dei due emisferi.
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I concerti vivaldiani fanno parte dell’op.8, stampata in Amsterdam attorno al 1725 e pomposamente consacrata a tale Venceslao, Conte di Marzin (o Morzin) un nobile mecenate boemo che aveva incontrato e apprezzato Vivaldi durante uno dei suoi soggiorni italiani:


Vivaldi scrisse personalmente (o forse impiegò farina del sacco di altri, chissà…) i testi poetici richiamati nei quattro concerti tripartiti, trascrivendo i singoli versi sui corrispondenti righi delle partiture, ed aggiungendo sulle stesse alcuni sottotitoli, come schematicamente rappresentato nelle figure che seguono.

I tentativi di Vivaldi di imitare la natura (e/o le reazioni e i sentimenti che si provano al contatto di essa) oggi ci possono sembrare patetici, ma non va dimenticato che il nostro aveva a disposizione mezzi assai limitati, e non certo le macchine del vento (vedi Strauss) né tanto meno i nastri magnetici registrati col cinguettar di un usignolo (Respighi)! Inoltre i concerti sono per complessi di soli archi, quindi il reverendo nemmeno si potè giovare (come Beethoven nella Pastorale) di flauti-usignoli, oboi-quaglie e clarinetti-cuculi! Né di timpani o di grancasse a simulare tuoni e temporali.


Nell’Allegro iniziale c’è la scena dei ruscelli (le fonti) dove Vivaldi impiega quartine di semicrome ad evocare lo scorrere calmo ma continuo delle acque. Qualcosa di simile sentiremo 150 anni più tardi nella Moldava… In compenso simili semicrome (in sestine) verranno impiegate da Wagner per evocare lo stormir di fronde (il Waldweben nel Siegfried); il quale mormorio è invece rappresentato da Vivaldi (all’inizio del Largo) con semicrome puntate seguite da biscrome, proprio a darci l’idea dell’incresparsi irregolare del fogliame.

Insomma, fenomeni diversi possono essere evocati dallo stesso stilema musicale, e uno stesso fenomeno da stilemi diversi. A dimostrazione, ce ne fosse ancora bisogno, che la musica mai e poi mai può descrivere alcunché, ma soltanto richiamare vagamente alla nostra sensibilità oggetti, fenomeni o personaggi. I quali, se non esplicitamente e preventivamente esposti in un programma o in didascalie, ci rimarrebbero del tutto indecifrabili al puro udirne i motivi musicali.


Nell’Allegro compaiono (come in Beethoven) tre volatili (cucù, tortorella e cardellino): è invariabilmente il violino solista a doverli impersonare, e non può far altro che differenziarne il canto attraverso il ritmo impresso alla melodia, mancandogli la qualità fondamentale, il diverso timbro. E Vivaldi fa effettivamente miracoli, nel tentativo di presentarci tutta questa varietà ornitologica con questi limitatissimi mezzi…

Nell’Adagio-Presto centrale e poi nel Presto finale abbiamo l’evocazione di tuoni e di un classico temporale, e guarda caso molti dei mezzi musicali impiegati da Vivaldi sono analoghi, se non identici, a quelli relativi ai tuoni del movimento iniziale della Primavera. Simili urla di vento udiremo infine anche nell’Inverno. Certo che la mancanza di timpani (tuoni) e di un bell’ottavino (per lampi e saette) si fa sentire, e come!


Nell’Allegro iniziale, curiosa la rappresentazione di ubriachi, dove il violino cerca di mostrare l’effetto dei fumi dell’alcol, i giramenti di testa e il barcollare incerto della persona:


L’Allegro conclusivo, che dovrebbe rappresentare la caccia, in effetti è un menuetto dietro il quale inizialmente si intravedono, più che preparativi di carattere venatorio, leziosi balletti di corte! Poi l’atmosfera si muove assai con la comparsa di schioppi e cani e le terzine che evocano la belva fuggente. Però ci vuole una bella fantasia per associare questa musica allo scenario proposto!


Nell’iniziale Allegro non molto è curiosa e meticolosa allo stesso tempo la cura che Vivaldi pone nel differenziare due fenomeni di battimento (di piedi e di denti) legati alle basse temperature. Per rappresentare i secondi il prete rosso introduce una rudimentale poliritmia, con il violino solista che suona in corda doppia 32 biscrome a battuta (4/4), i violini che suonano 16 semicrome e le viole che suonano 8 crome.

Nel Largo, il sottotitolo La Pioggia è scritto sulla parte dei violini (primi e secondi) che suonano arpeggi di MIb in pizzicato, proprio ad evocare il rumore di sgocciolamento che arriva alle nostre orecchie, ovattato, mentre ce ne stiamo al calduccio davanti al caminetto!

Nelle sezioni estreme tornano venti e maltempo, ma anche corse e scivolate sul ghiaccio: e il povero violino solista, con i colleghi, deve far miracoli per rappresentarli plausibilmente, anche se il risultato, ammettiamolo pure, non cambierebbe se le diverse didascalie venissero magari rimescolate a piacere!
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Quanto ai tanghi di Piazzolla, che non sono stati propriamente concepiti come un corpus organico, non hanno certo pretese descrittive, ma sono più che altro rievocazioni poetiche della vita del porto di Baires.

Musicalmente, uno degli stilemi ricorrenti è un inciso di due semicrome che ricompare quasi come un tic in tutte le stagioni:


Qui una interessante interpretazione del Quartetto Artemis.

La versione che ascoltiamo in questa occasione (ci sono svariati arrangiamenti di questi tanghi) è opera abbastanza recente di un russo (Leonid Desyatnikov) che ha voluto evidentemente rivestire Piazzolla con qualcosa di Vivaldi, a cominciare dal violino principale, che diventa protagonista dei quattro tanghi, nei quali Desyatnikov ha pure infilato qualche chiara reminiscenza vivaldiana, a costo di qualche forzatura, come il MI maggiore del veneziano messo in chiusura del SOL minore della Primavera di Piazzolla.
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La coppia Bignamini-Korsakova fa davvero scintille: lui sempre impeccabile e pulitissimo nel gesto (ed avendo sia Vivaldi che Piazzolla mandati a memoria…) lei a sfoggiare la sua tecnica sopraffina, ma anche una grande sensibilità di interprete. Ai lodati sono da aggiungere il violoncello di Tobia Scarpolini (in particolare nell’Autunno bairense) la viola di Gabriele Mugnai e il violino di Luca Santaniello.

Il successo è tale che non può mancare un bis, con la ripetizione del Largo dall’Inverno: che, devo dire, a me più che la pioggia ha sempre richiamato alla mente la classica slitta di SantaKlaus che se ne scivola dolcemente sulla neve diffondendo cullanti suoni di sonagli.

Ma non finisce qui, poiché la fascinosa discendente del grande Rimsky ci regala anche la Sarabanda in RE minore, dalla seconda Partita bachiana.
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A fine mese, in singolare coincidenza con il prepensionamento del Papa (per il quale laVerdi ha più volte suonato) una sesquipedale costruzione sonora del tardoromanticismo: la Terza di Mahler! 

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