Il Direttore principale John Axelrod fa il suo esordio
stagionale sul podio dirigendo due quarte
piuttosto distanti fra loro. E non solo per i quasi 80 anni che le separano
(1806-1885), ma per la diversissima collocazione che hanno nella produzione di
Beethoven e Brahms.
La sinfonia beethoveniana, pur venendo
dopo l’epocale tappa dell’Eroica (o forse proprio per questo) rappresenta un
momento di riflessione (anche se non è di certo un riflusso) nel percorso estetico del
genio di Bonn, che di lì a poco (anzi praticamente in contemporanea) riprenderà
slancio e vigore con la sconvolgente Quinta;
l’ultima di Brahms rappresenta invece (e non per nulla fu l’ultima…) l’apice
della sua ascesa verso l’Olimpo della sinfonia.
Due opere che da tempo sono nel
repertorio dell’Orchestra, che ormai le deve conoscere a memoria, dovendo
quindi di volta in volta modularne semplicemente (si fa per dire!) l’interpretazione a fronte dell’approccio
del Kapellmeister di turno.
L’ultima esecuzione qui di entrambe le
sinfonie vide sul podio Zhang Xian: l’Op.60
di Beethoven ormai quasi
tre anni fa, con la cinesina che era al termine della sua prima stagione
come Direttore Musicale; l’Op.98 di Brahms poco più di sei
mesi fa, in chiusura della stagione ultima. Le ricordo come due
interpretazioni di altissimo livello, caratterizzate la prima da grande grinta
e cipiglio, la seconda da un’assoluta aderenza allo spirito, oltre che alla
lettera, della partitura dell’amburghese.
John
Axelrod
viene (più o meno) dallo stesso ambiente yankee
(smile!) in cui si è formata anche la
Xian (è presumibile che questa comunanza di radici abbia anche giocato un certo
ruolo, due anni fa, nell’orientare la scelta del nuovo Direttore principale…)
In realtà mi sembra però che il suo approccio si discosti abbastanza da quello
della Xian.
In particolare riguardo a Beethoven,
che mi è parso, guarda caso… brahms-izzato
(smile!) Sarà forse perché Axelrod in questo periodo
sta registrando l’integrale sinfonica di Brahms (anche ieri sera il palco era
ingombro di microfoni e cineprese) e avrà fatto full-immersion a gogò della musica dell’amburghese. Sta di fatto
che il texano si permette un po’ di
libertà (per non chiamarle gigionerìe) come un evidente quanto indebito rallentando e conseguente successivo accelerando nella transizione fra i due
temi dell’Allegro vivace iniziale
(cosa che è quanto di meno beethoveniano si possa immaginare). Nel Finale poi mi è parso un tantino molle,
e forse per… recuperare tempo ha omesso il da-capo.
Molto meglio Brahms, dove mi sembra
che Axelrod abbia, come dire, tenuto buoni gli effetti dell’approccio adottato
lo scorso anno da Xian: esecuzione dignitosa accolta da applausi convinti.
Ancora Axelrod fra una settimana con
un programma
assai variegato e – per me – interessantissimo.
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