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15 febbraio, 2013

Orchestraverdi – concerto n.22


Un  programma abbastanza inconsueto caratterizza l’appuntamento stagionale n° 22 de laVerdi, ancora guidata dal texano (franco-italiano d’adozione) John Axelrod.

Ieri la prima delle tre repliche è stata preceduta da una specie di cerimonia celebrativa del capodanno cinese (che corrisponde più o meno al nostro carnevale…) presente il console a Milano, signora Liang Hui, cui hanno fatto da anfitrioni due vecchie… cariatidi (smile!) della nostra società politica e civile: Gianni Cervetti - presidente del CdA della Fondazione dell’Orchestra ed ex-amministratore pubblico della città - che ha tracciato un bilancio per la verità assai edulcorato per non dire idilliaco (noblesse oblige) della storia della comunità cinese a Milano, e Cesare Romiti in doppia qualità di Presidente della Fondazione Italia-Cina e di Presidente del Consiglio Generale della Fondazione dell’Orchestra. Con tanto di traduzione semi-simultanea in cinese ad uso e consumo dei numerosi nipotini di Mao (stra-smile!) presenti in sala. Peccato che alla festa mancasse Zhang Xian, che però è stata puntualmente evocata.  

Come spiega lo stesso Direttore in questo simpatico video di presentazione del palinsesto del concerto, la sua idea è stata di assemblare alcuni brani musicali che in qualche modo evocano la figura della Femme fatale. E la scelta (che davvero comporta solo l’imbarazzo…) è caduta su quattro personaggi: Medea, Salome, Candelas (e/o… Lucia?) e Sheherazade.

Per la verità l’unica vera e autentica donna fatale qui è Salome (che infatti, per contrappasso, è anche l’unica a finire assai male). La prima e l’ultima paiono più (o prima, o insieme) vittime che carnefici (smile!) essendo piuttosto donne un filino… bistrattate dai rispettivi compagni (o padroni) e che reagiscono con armi diverse (quanto a tasso di sanguinolenza) rapportate alle circostanze. Le gitane Candelas e Lucia (sua sodale) diciamo che stanno a metà strada.

Quanto ai compositori, da buon patriota Axelrod ha cominciato con un’opera americana: Medea's Meditation and Dance of Vengeance (Meditazione e danza della vendetta di Medea) di Samuel Barber. Ecco la registrazione della prima esecuzione (2 febbraio 1956) diretta da Mitropoulos con la NYPO.

Ci si potrebbe chiedere che c’entri la danza con Medea (a differenza di Salome o di Elektra, la protagonista della tragedia di Euripide non si abbandona a questo tipo di esternazioni) ma in questo caso c’entra poiché in realtà il brano è tratto da un balletto (Op.23, ispirato al triangolo Medea-Giasone-Glauce) che Barber aveva composto nel 1946 e che era stato presentato dapprima con il titolo The Serpent Heart (Il cuore della serpe) e successivamente con quello Cave of the Heart (La caverna del cuore). La partitura prevedeva una piccola orchestra da camera (Flauto-Ottavino, Oboe-CornoInglese, Clarinetto, Fagotto, Corno, Pianoforte e archi, in tutto 13-15 strumenti al massimo).

Dalla musica per il balletto – con una prima re-strumentazione - l’Autore aveva poi tratto anche una Suite per orchestra (eseguita originariamente da Ormandy con la Philadelphia nel dicembre del 1947) a cui aveva imposto il titolo di Medea, in omaggio al personaggio mitologico. E da qui l’idea di estrarre la Meditation (Op. 23a) ora per grande orchestra, con nutrita sezione di percussioni e strumentazione assai rinnovata.

Nella prefazione alla partitura del balletto si chiarisce in modo netto che né Barber né la signora Martha Graham (la coreografa-danzatrice che era stata di fatto l’ispiratrice dell’opera) intendevano in alcun modo fare un esplicito riferimento alla vicenda del mitologico triangolo, ma semplicemente evocarne i caratteri legati ai concetti di gelosia e di vendetta (moventi dell’orripilante strage compiuta da Medea) visti come archètipi di sentimenti assai diffusi in ogni tempo e luogo. Al punto che nella coreografia (ma anche nella musica!) i personaggi alternativamente appaiono nella propria natura mitica e in quella umana. Però il buon Barber non doveva proprio essere del tutto convinto di quella perentoria affermazione, altrimenti non si spiegherebbe perché la Suite tratta dal balletto (i cui 9 numeri non recano alcun titolo) oltre ad intitolarsi Medea rechi chiare indicazioni dei personaggi mitologici nei 7 numeri che la compongono.
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Il balletto originale si struttura per l'appunto in 9 numeri (non titolati) che vengono accorpati a 7 nella Suite (dove peraltro viene tagliato abbastanza poco, in pratica una porzione del n. III del balletto, le prime 71 battute). La quale Suite reca i seguenti titoli:

1. Parodos: una sorta di introduzione (corrisponde al n. I del balletto);
2. Choros. Medea and Jason: il Coro presenta i due protagonisti principali e la vicenda che si va a dipanare (n.II e III, da battuta 72, del balletto). 27 battute del n. II (da 29 a 56) che evocano Medea, vengono riprese, leggermente variate nella strumentazione, nel n. VI (48-75);
3. The Young Princess. Jason: ora compare anche Glauce, la figlia di Creonte per amore della quale Giasone tradì Medea (n. IV e V del balletto);
4. Choros: prepara mestamente il covare della gelosia e il montare della sete di vendetta di Medea (n. VI del balletto). Vi ritroviamo il passo citato del n. II;
5. Medea: qui abbiamo lo scatenarsi della sua furia (n. VII del balletto);
6. Kantikos Agonias: lamenti dopo il massacro (n. VIII del balletto);
7. Exodos: commenta il tremendo epilogo della vicenda, ma chiude con il rientro dei protagonisti nel mito, dove… tutto è sempre concesso e perdonato (n. IX del balletto).

La Meditation di fatto è costruita assemblando in un unico corpo alcuni brani del balletto (o della Suite) più direttamente riferiti a Medea. Vi troviamo, in sequenza:

- una breve Introduzione: sono le prime 5 battute del n. I, ripetute, dove si nota l’uso sapiente di strumentini e pianoforte (rinforzato dallo xilofono) per creare un’atmosfera di sonorità arcaiche e… mitologiche:

Segue la parte centrale (battute 36-43) del n. I, che prolunga e chiude l’introduzione in questo scenario bucolico;

- la Meditazione di Medea: è quasi l’intero n. VI (battute 1-79) caratterizzato da languide melodie del violino solo con sordina, imitato dal flauto, poi dal fagotto e quindi dall’oboe e dal clarinetto. Qui la scrittura è ancora rarefatta, l’atmosfera contemplativa:

Ora gli archi allargano la melodia, alternandosi ai fiati, finchè un’improvvisa irruzione di un MI chiuso del corno non innesca (n. III, battute 99-107) una nervosa serie di incisi degli strumentini (incluso lo stridulo ottavino) che culmina in una maestosa perorazione (FA-SOLb-LAb) dei corni (n. I, battute 28-32). L’atmosfera torna apparentemente calma, ma una calma piena di tensione (n. VIII, battute 1-13 e poi 25-30) con note insistite negli archi, che fanno pensare a dolorose fitte di un cuore esacerbato; il tutto inframmezzato da accenti decisamente mesti (n. II, battute 68-80). Un altro richiamo dei corni (MIb-RE-MIb-RE) introduce quello di pianoforte e xilofono (SIb-LA-SIb-LA) che apre la successiva…

- la Danza di vendetta di Medea: è in realtà una profonda rivisitazione del n. VII, di cui conserva la struttura, ma variandone i contenuti (e anche la tonalità, alzata per buona parte di un semitono) oltre che la strumentazione. La caratteristica principale è un continuo montare del ritmo, con passi fortemente sincopati, che ben dipinge lo scatenarsi della folle determinazione di Medea di sopprimere i figli avuti da Giasone; qui pare di distinguere addirittura le feroci coltellate inferte dalla madre snaturata ai due pargoli:


Dopo la chiusa originaria - che nel balletto come nella Suite vede una rarefazione del suono e del tempo (prima allargando, poi sostenuto) poiché seguiranno ancora due numeri musicali - Barber qui aggiunge una breve ma indemoniata coda, costruita con lo stesso materiale, che serve a chiudere il brano in modo precipitoso e violento.  
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In pratica, mentre il balletto (e la Suite) raccontano – nonostante l’avvertenza minimizzante di autore e destinataria - lo scenario completo della vicenda di Medea, Giasone e Glauce, la Meditation si concentra esclusivamente sul dramma di Medea e presenta un percorso sinfonico assai conciso ed efficace, che parte da un movimento lento – quasi debussy-iano - per crescere progressivamente fino ad una parossistica conclusione, degna di Stravinski.

Barber vi impiega una grande orchestra e soprattutto fa vasto uso delle percussioni (del tutto assenti nella partitura del balletto, ivi sostituite dal solo pianoforte) e in particolare dello xilofono. Anche se la partitura reca spesso e volentieri gli accidenti in chiave, la scrittura è (prevalentemente) atonaleIl brano è anche entrato nel repertorio di una famosa band dell’Indiana… 

Axelrod mi è parso cogliere al meglio lo spirito di quest’opera, evitando eccessi da band (appunto…) e seguendo in modo coerente il percorso tutto psicologico (dal paradiso all’inferno) della protagonista di questa specie di poema sinfonico. Meritati gli applausi a lui e ai ragazzi dell’orchestra. 
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A differenza di altri brani estratti da opere, la Danza dei sette veli, pur entrata stabilmente nel repertorio delle principali orchestre sinfoniche, non ha di certo oscurato la notorietà e la popolarità della straussiana Salome, continuamente rappresentata in tutto il mondo.

Ascoltandola subito dopo Barber, vien proprio da domandarsi chi dei due, fra lui e Strauss, fosse il più all’avanguardia (!): tanta e tale è la sconvolgente modernità di Salome, nonostante i più di 40 anni di anticipo (e due guerre mondiali!) sulla Medea yankee… 

Per laVerdi si tratta solo (si fa per dire) del terzo approccio in 20 anni con questa partitura davvero impegnativa. Ma il risultato è sicuramente apprezzabile e così deve averla pensata anche il pubblico.
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El amor brujo di Manuel DeFalla , di cui ascoltiamo qui la celebre Danza rituale del fuoco, ha una storia abbastanza complicata, tipo la Medea di Barber, essendo nato nel 1915 come gitanerìa (scene gitane per voce, piccola orchestra e danza) e poi evoluto anni dopo a balletto (sempre con interventi vocali di mezzosoprano) da cui fu in seguito estratta una Suite per orchestra (con/senza la voce).

Le umane vicende che sono dietro alla gitanerìa e al balletto sono assai diverse fra loro, ed anche i testi impiegati divergono. Nella prima – scritta da Gregorio Martínez Sierra (anzi pare dalla di lui moglie María de la O Lejárraga) - la protagonista Candelas è una gitana che deve impiegare tutte le arti della seduzione e pure quelle della magia per far cascare finalmente ai suoi piedi un amato piuttosto riluttante a farsi accalappiare: insomma, è una femme fatale un po’ deboluccia, bisogna ammetterlo, se ha bisogno di tali coadiuvanti per farsi apprezzare!

Nel secondo invece – nel cui testo mise un po' le mani lo stesso DeFalla, per aggiustare l’originale al nuovo plot - ci sono quattro personaggi: Candelas, piacente vedova di un innominato marito che la perseguita anche da morto, apparendole continuamente in sogno; Carmelo, un giovane di lei innamorato (e corrisposto, ma ostacolato dalle apparizioni dello spettro!) e Lucia, amica di Carmelo, che viene assoldata da costui per… neutralizzare il defunto, seducendone lo spettro e spianando così la strada al lieto-fine fra Candelas e Carmelo. Quindi qui di donne fatali ce ne sarebbero addirittura due in uno spazio angusto! Per la verità, volendo restare in campo gitano-ispanico, forse una donna fatale più consistente di costoro la troveremmo in Carmen, da cui non sarebbe difficile estrarre musiche altrettanto accattivanti di quelle di DeFalla…   
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Il famoso brano che ascoltiamo (ecco Barenboim con la CSO) è l’ottavo dei tredici numeri del balletto, in tempo Allegro ma non troppo e pesante. I temi che lo caratterizzano sono essenzialmente due (A e B, più un terzo – A’ - chiaramente derivato dal primo): uno suonato principalmente dagli strumentini (poi ripetuto anche dagli archi) nel registro acuto, caratterizzato da un andamento nervoso, con parecchie acciaccature; l’altro invece esposto dai corni (poi dagli strumentini) e di piglio enfatico e quasi protervo.


Le entrate dei diversi temi (la cui disposizione schematicamente è: AA-B-A’A’-AA-B-A’-A-Coda) sono collegate da brevi transizioni. I temi ricompaiono sempre nella stessa tonalità, salvo la prima ripetizione di A’ (a distanza di una quinta) e l’ultima apparizione di A (variato) che sale di un semitono rispetto alle precedenti. Alle viole è prevalentemente assegnato il compito di evocare il fuoco, con insistenti figurazioni in tremolo che si muovono a distanza di semitoni. Il pianoforte ha quasi esclusivamente funzione di sostegno del ritmo.
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Gran successo per tutti, con l’oboe di Greci e i corni di Ceccarelli e Cardone sugli scudi.

Chiude la serata Sheherazade, l’autentico capolavoro di Rimski suonato qui poco più di due anni orsono sotto la bacchetta di un conterraneo della Xian.  

Bravo Axelrod a cavare il massimo da questa lussureggiante partitura, in cui spiccano su tutti le parti solistiche di violino, clarinetto, flauto, oboe e fagotto. Un vero piacere per l’orecchio questa musica dai tratti orientaleggianti innestati sul grande tronco del sinfonismo mitteleuropeo. Successo calorosissimo.
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Il sempre più convincente Jader Bignamini sarà prossimamente protagonista, con la solista Natasha Korsakova, di una specie di challenge quattro-stagionale fra Vivaldi e… Piazzolla!

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