affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

15 settembre, 2019

MITO-2019 - Marin rimpiazza Temirkanov al Conservatorio


Altra stazione del MITO, in un Conservatorio stracolmo, dove purtroppo il venerabile Yuri Temirkanov, annunciato sul programma originario, ha dovuto dare forfait (ancora una volta... managgia, ma mica si può criminalizzare un 81enne dalla salute malferma se si vede costretto a disdire appuntamenti; o lo giudichiamo alla stregua di una qualunque starlette capricciosa che si prende gioco di tutto e di tutti?) sostituito dal solido, ma non ancora venerabile, austro-rumeno Ion Marin a dirigere i Filarmonici di SanPietroburgo.

Programma testa-coda: una prima italiana e una... millesima mahleriana.

L’apertura è stata però una... cerimonia: presenti la Presidente e il Direttore artistico del MITO, nonchè l’immancabile maieuta Gaia Varon, l’Assessore DelCorno ha infatti premiato il compositore James MacMillan con il prestigioso Sigillo della città, in omaggio al suo consolidato sodalizio con Milano. E proprio del compositore scozzese abbiamo ascoltato la prima italiana del Larghetto for Orchestra, trascrizione strumentale di un brano per coro a cappella del 2009 (originariamente dedicato al complesso londinese The Sixteen) intitolato Miserere (tratto dal Salmo 51). La strumentazione è del 2017 e fu dedicata al 10° anniversario di Manfred Honeck come guida della Pittsburgh Symphony, dei quali si può apprezzare proprio la prima esecuzione (suggerisco di scaricare l’mp3 per poi ascoltarlo su iTunes o altro player).

Mentre il Miserere può essere scambiato - ad un ascolto naïf - per gregoriano o fiammingo, il Larghetto, introducendo modiche dosi di armonia, si presenta quasi come un lavoro di primo-novecento, sospeso fra diatonismo e atonalità. Lo schema che segue consente di allineare i versi del Miserere al Larghetto: i tempi indicati si riferiscono alla citata esecuzione di Honeck a Pittsburgh.

Larghetto
Miserere
21”
.
1’11”
.
2’02”
.
2’40”
.
3’40”
.
4’22”
.
5’08”
.
5’50”
.
6’28”
.
7’04”
.
7’34”
.
8’01”
.
8’32”
.
9’42”
.
10’06”
.
10’41”
.
11’18”
.
11’57”
.
12’39”
.
13’31”
.
Miserere mei, Deus,
secundum magnam misericordiam tuam.
Et secundum multitudinem miserationum tuarum,
dele iniquitatem meam.
Amplius lava me ab iniquitate mea:
et a peccato meo munda me.
Quoniam iniquitatem meam ego cognosco:
et peccatum meum contra me est semper.
Tibi soli peccavi, et malum coram te feci:
ut justificeris in sermonibus tuis, et vincas cum judicaris.
Ecce enim in inquitatibus conceptus sum:
et in peccatis concepit me mater mea.
Ecce enim veritatem dilexisti:
incerta et occulta sapientiae tuae manifestasti mihi.
Asperges me hyssopo, et mundabor:
lavabis me, et super nivem dealbabor.
Auditui meo dabis gaudium et laetitiam:
et exsultabunt ossa humiliata.
Averte faciem tuam a peccatis meis:
et omnes iniquitates meas dele.
Cor mundum crea in me, Deus:
et spiritum rectum innova in visceribus meis.
Ne projicias me a facie tua:
et Spiritum sanctum tuum ne auferas a me.
Redde mihi laetitiam salutaris tui:
et spiritu principali confirma me.
Docebo iniquos vias tuas:
et impii ad te convertentur.
Libera me de sanguinibus, Deus, Deus salutis meae:
et exsultabit lingua mea justitiam tuam.
Domine, labia mea aperies:
et os meum annuntiabit laudem tuam.
Quoniam si voluisses sacrificium, dedissem utique:
holocaustis non delectaberis.
Sacrificium Deo spiritus contribulatus:
cor contritum, et humiliatum, Deus, non despicies.
Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua Sion:
ut aedificentur muri Jerusalem.
Tunc acceptabis sacrificium justitiae, oblationes, et holocausta:
tunc imponent super altare tuum vitulos.

Brano davvero di grande effetto, che i sanpietroburghesi hanno perfettamente introiettato per poi restituirlo ad un pubblico che ha ascoltato in religioso silenzio, prorompendo alla fine in un calorosissimo applauso: per gli esecutori e per l’Autore, tornato sulla ribalta a ringraziare.
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La super-inflazionata Titan-Sinfonie ha poi chiuso la parte ufficiale della serata. A partire dalla Mahler-renaissance del dopoguerra, chissà quante volte le pareti della vetusta Sala Verdi hanno accolto e riverberato i Naturlaute e i fracassi di quest’opera... ricordo personalmente un’esecuzione degli anni ’70, con l’Orchestra RAI-MI e un ventenne israeliano di belle speranze (quel Daniel Oren che in questi giorni è protagonista del Rigoletto alla Scala) dirigerla danzando sul podio come un orso da circo ed accompagnandola con rantoli e urla strozzate! 

Ieri sera i Filarmonici-della-Neva, pur orfani del loro condottiero, hanno offerto una prova magistrale: grazie ai buoni uffici del compassato ma un po’ gigionesco Marin, naturalmente, ma soprattutto - credo io - alla loro perfetta intesa, che li fa assomigliare ad una macchina (come si cerca di fare oggi nel campo automobilistico) che sa perfettamente districarsi da sola anche in mezzo al traffico più caotico! Insomma: difficile stabilire il nesso causa-effetto fra i suoni prodotti dall’Orchestra e le mossette del Direttore... 

Trionfo assicurato e congedo con un Brahms ungherese

14 settembre, 2019

Scala: un Rigoletto accademico.


Ieri sera alla Scala terz’ultima recita dell’ultima (per la stagione) puntata del Progetto Accademia, con il Rigoletto di Nucci-Oren (i due tutor che Pereira ha affiancato per l‘occasione ai giovani accademici).

Teatro pieno se non strapieno (la sesta di Rigoletto-Nucci batte anche la prima di Elisir di parecchie decine di posti...) per questa decima consecutiva (!) ripresa dello spettacolo di Gilbert Deflo, dopo il debutto nell’ormai giurassico 1994: altro che museo! Personalmente ho visto solo 3 di queste 10 riprese e devo dire che non mi sono per nulla annoiato, pur ricordando quasi nei dettagli tutto ciò che scorre in scena: l’interesse (come è naturale, credo, trattandosi di teatro musicale) è per ciò che arriva alle orecchie e l’occhio non se la prende troppo se l’eccipiente è sempre lo stesso.

Nulla scrivo quindi della (lodevole, come ormai assodato da decenni) regìa, e passo direttamente ai suoni. Tenendo ovviamente presente che il grosso degli interpreti è rappresentato da allievi dell’Accademia, e non da navigati frequentatori di buca e palco della Scala.

Le due eccezioni (i fuori-quota, haha!) devono aver fatto un buon lavoro sui giovani, a giudicare dai confortanti risultati dell’impresa. E arrivo quasi a dire che gli allievi abbiano superato i maestri... Perchè Nucci sarà sempre (per altri 500 Rigoletti) un Rigoletto carismatico, però ormai declama più che cantare e le note di arrivo di intervalli ascendenti le prende con un semitono, minimo, di avvicinamento: il che è francamente tipico di schiamazzi da osteria e lascia una sgradevole impressione (per la cronaca: niente bis vendicativo... meglio così). Quanto ad Oren, ora che ha passato abbondantemente i 60, non emette più grugniti da scimpanzè, nè prende il podio come un tappeto elastico, però la sua concertazione mi è parsa un tantino approssimativa, ecco.

Gli allievi sono tutti da elogiare, se non altro per non essersi fatti attanagliare dall’emozione: è evidente che debbano ancora studiare assai per aspirare a salire in SerieA. In particolare i due deuteragonisti Rodrigo Porras Garulo e Francesca Manzo sembrano promettere bene: lui ha una voce da lirico che forse si adatta meglio a un certo Rossini; lei pure tende a volte a pigolare, ma ha anche staccato un paio di acuti non disprezzabili. Gli altri, così come il coro di Salvo Sgrò, non hanno affatto sfigurato.

Bene anche l’Orchestra, che Oren ha gestito con prudenza, salvo pochi sconfinamenti nel fracasso gratuito.

Successo calorosissimo (un po’ meno per Oren) non sai se dettato da... superficialità di un pubblico di turisti o da comprensibile atteggiamento incoraggiante verso questi giovani virgulti. Pereira - conti alla mano - credo stia gongolando.

12 settembre, 2019

MITO-2019 - Chung-Romanovsky agli Arcimboldi


Ieri sera il vasto anfiteatro degli Arcimboldi - riempito più di un uovo! - ha ospitato la Filarmonica scaligera per un concerto tutto russo. Sul podio il redivivo orientale-estremo Myung-Whun Chung e alla tastiera l’orientale-semplice (ma svezzato qui da noi, nel bolognese) Alexander Romanovsky.

É curioso ricordare il diverso atteggiamento tenuto (ai suoi tempi) verso i due brani in programma da tale Gustav Mahler. Il quale, nel 1911 a New York, si adoperò allo spasimo per ribadire il successo al nuovissimo Terzo concerto di Rachmaninov con la NY Philharmonic, un paio di mesi dopo la prima eseguita dalla NY Symphony con Damrosch sul podio. Lo stesso Autore (e interprete) rimase stupefatto dal rigore e dal perfezionismo di Mahler, che non esitò a strapazzare gli orchestrali, costringendoli ad un super-lavoro nelle prove per raggiungere l’eccellenza nell’esecuzione.

Ecco invece come lo stesso Mahler, nell’estate di 10 anni avanti, a Vienna, aveva descritto a Guido Adler la Patetica ciajkovskiana:

Si tratta di un lavoro superficiale e senza profondità. Anche il colore dovrebbe darci qualcosa di più di se stesso, altrimenti rimane un mero ornamento e polvere negli occhi! Osservandolo da vicino, non ne resta poi gran cosa. Questi arpeggi, che vanno dal grave all’acuto, queste concatenazioni armoniche insignificanti non possono dissimulare il vuoto e l’assenza di invenzione.

Apperò!
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Dopo il consueto pistolotto (in senso non salviniano!) della maestrina Gaia Varon, che è incorsa in un tipico lapsus da lateral-thinking (attribuendo l’idea di appiccicare alla Sesta il titolo di Patetica a Modest... ehm, Musorgski) il 35enne ukraino si è quindi cimentato con il famigerato Rach3, da lui caricato di tutto il possibile tardo-decadente-romanticismo, che da sempre suscita nel pubblico e nei critici ampie divisioni, fra ammiratori estasiati e detrattori nauseati. Ma il ragazzo (non sembra cambiato molto dal lontano 2001 quando si impose al Premio Busoni) ha una tal carica espressiva, coniugata con una innata modestia (temprata dagli anni duri che lui e famiglia passarono dopo l’emigrazione) da garantirsi un successo clamoroso e ripetute chiamate, alle quali risponde dapprima con un altro Rachmaninov e poi con un Bach... adulterato!      
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Chiusura quindi in grande con la Patetica, dove Chung ha avuto modo di smentire ampiamente il velenoso giudizio di Mahler, mettendo in risalto di questa ormai inflazionata partitura il carattere di sguardo-all’indietro (come sarà, ma guarda un po’ la nemesi, la Nona mahleriana) a ripercorrere una vita artistica accidentata e costellata di grandezze - lo spontaneo applauso arrivato alla fine dell’Allegro molto vivace ne è stato testimone - e di miserie, destinata inesorabilmente a chiudersi nel silenzio, dopo le ultime battute della triade di SI minore esalate dagli archi bassi, sull’indicazione Molto ritenuto (e non... Morendo, come la simpatica Gaia ha inventato, anche qui parlando di Mahler!)   

Pubblico entusiasta e prodigo di battimani e ovazioni per Direttore e Professori.

11 settembre, 2019

Un frizzante Elisir mette la Scala di buonumore.


Sarà forse perchè i contestatori seriali delle prime hanno prolungato le vacanze, fatto sta che L’elisir d’amore andato in scena ier sera al Piermarini (peraltro con diverse poltrone vuote in platea...) è stato accolto con pieno consenso di pubblico, senza se e senza ma. Intendiamoci, nulla di storico o di strabiliante, ma uno spettacolo che nel complesso si è rivelato di buon livello, in tutte le sue componenti: voci, orchestra e allestimento.

Allestimento di Grischa Asagaroff già ampiamente e positivamente collaudato alla sua comparsa nel 2015, con le poetiche e favolistiche scene e gli sgargianti quanto esilaranti costumi di Tullio Pericoli, il tutto sapientemente illuminato da Hans-Rudolf Kunz.

Alla grande come sempre il Coro di Mario Casoni, che Donizetti qui impegna corposamente ad interloquire con i protagonisti, o a creare le tipiche atmosfere contadine in cui prende piede la patetica vicenda di Nemorino e Adina.

E i protagonisti di questo lieto fine hanno riscosso un caloroso consenso di pubblico: lo yankee René Barbera per la sua voce squillante che ha messo al servizio del rustico e ingenuo personaggio, prestazione culminata con un trionfo dopo la Lagrima; la casertana Rosa Feola (non proprio impeccabile soprattutto nelle note gravi) per la civetteria e la verve di cui ha ricoperto la sua parte di ragazza un po’ viziatella ma alla fine... innamorata.

Ambrogio Maestri sembra nato per parti come questa di Dulcamara (o di Schicchi o Falstaff): le fa con tanta efficacia che poi rischia di... compromettere personaggi seri o truci come Amonasro, per dire. Per lui, ormai beniamino della Scala e deus-ex-machina della vicenda, accoglienza poco meno che trionfale.

Discreto anche Massimo Cavalletti, efficace nell’impersonare il tronfio Belcore: qualche forzatura di tono magari poteva essere evitata.

L’accademica Francesca Pia Vitale ha dignitosamente interpretato Giannetta, un ruolo tutt’altro che di contorno.

Per tutti, incluso il mimo Stefano Guizzi (tirapiedi di Dulcamara) applausi e bravo! si sono sprecati.

Positivo anche il ritorno sul podio del 35enne Michele Gamba, che ha guidato un’orchestra in gran spolvero (qualche eccesso di decibel si può perdonare, e comunque non è mai andato troppo a discapito delle voci) e concertato con cura e precisione singoli e masse sul palco (lavorare con gente come Pappano e Barenboim evidentemente fa bene alla salute!) Lo si rivedrà nel sinfonico, il 3 ottobre in Auditorium quando inaugurerà Milano Musica con laVerdi in Francesconi e Mahler.

Come ripeto: tutto sommato una serata più che positiva.

04 settembre, 2019

A Rimini un po’ di Rotterdam


Il glorioso e centralissimo Teatro Amintore Galli di Rimini - che aveva ospitato nel 1857 la prima rappresentazione nientemeno che di un’opera di Giuseppe Verdi (Aroldo) - a seguito dei bombardamenti della seconda guerra mondiale era caduto praticamente nel dimenticatoio. Fino a quando (pochi mesi orsono) è finalmente stato riportato al suo antico splendore: Cecilia Bartoli lo ha re-inaugurato nell’ottobre 2018.

Così ora può ospitare, oltre a rappresentazioni di opere, anche i concerti della Sagra musicale malatestiana (arrivata quest’anno alla 70ma edizione) che si tenevano tradizionalmente nelle sale alquanto anonime dei Palazzi dei Congressi (vecchio e poi nuovo) della periferica via della Fiera. Quest’anno la Sagra ha già ospitato Riccardo Muti (spostatosi di pochi chilometri dalla sua casa di Ravenna) e la London Symphony con Simon Rattle.

Ieri sera è stata la volta della prestigiosa Rotterdam Philharmonic, in tournèe estiva, proveniente da Gstaad e poi diretta (domani) a Verona ad offrire ad un pubblico folto quanto entusiasta un interessante programma otto-novecentesco.

Lahav Shani, trentenne israeliano pupillo di Mehta, fresco di nomina a Direttore musicale dell’Orchestra - uno che dirige fcendo uso assai parco della mano sinistra - ha presentato dapprima le musiche dallo stravinskiano Petruška, che hanno consentito ai professori della sua Orchestra di mettere in luce le loro grandi qualità, i fiati e le percussioni in particolare.

Poi la bella e brava 33enne violinista norvegese Vilde Frang ha interpretato quell’autentico distillato e concentrato di romanticismo virtuosistico che risponde al nome di Concerto op.26 di Max Bruch. E lei ne ha fatto emergere proprio il lato più dolciastro (detto nel bene e nel male) mentre Shani, quando era l’Orchestra a prendere la scena, ha un po’ troppo esagerato con il fracasso. Ma il successo non è mancato e i due protagonisti si sono poi esibiti in un bis di duo piano-violino.

Ha chiuso la serata ufficiale il Walzeraccio di Ravel, dove ancora Shani ha lasciato briglia sciolta all’Orchestra, davvero compatta e dal suono tagliente, proprio adatto ad esaltare le impertinenze di questa bizzarra partitura raveliana. Per mandarci a letto contenti, l’Orchestra ha offerto una bis... sognante.

Fra poche settimane toccherà a Jordi Savall, che proporrà un insolito - fino a poco tempo fa, per lui - programma beethoveniano: 3-5; e poi - a dicembre - alla Santa Cecilia (con Dudamel) chiudere il ciclo dei 5 concerti sinfonici della Sagra-70.

24 agosto, 2019

ROF-XL live: chiude Demetrio & Polibio


Ieri sera il ROF-XL ha chiuso i battenti, in un Teatro Rossini abbastanza affollato, con la quarta recita di Demetrio&Polibio. Produzione ripresa da Alessandra Premoli da quella originale del 2010, ideata da Davide Livermore.

Un allestimento bizzarro assai, ambientato nel retro-scena di un teatro, ingombro di bauli, macchine di scena e di centinaia di costumi appesi sull’intera altezza. In più, le magie di Alexander (specchi che si animano, fiamme che vagano nello spazio o che si accendono in mano ai personaggi) e lo sdoppiamento degli stessi, che hanno sempre un mimo alter-ego che li segue ovunque, apparendo e scomparendo magicamente. Costumi (dell’Accademia di Urbino, come le scene) più da farsa che da dramma serio quale l’opera pretenziosamente venne presentata dai Mombelli e musicata dal Rossini ancora ragazzino. Efficaci le luci (e i... bui) di Nicolas Bovey. Uno spettacolo comunque godibile, che già a suo tempo trovò giustificazione nell’approccio low-cost imposto dalle circostanze.

Se però nel 2010 anche il cast era, diciamo così... da discount (senza offesa per alcuno, s’intende, e detto da uno che i discount li apprezza assai) in questa ripresa non si è badato a spese: a cominciare dalla presenza della star Jessicona Pratt, che è tornata al ROF dopo 4 anni e ha trascinato all’entusiasmo i suoi numerosi fan.

Da validissime spalle le hanno fatto Juan Francisco Gatell e la mia conterranea benacense Cecilia Molinari, entrambi alla loro terza presenza nel cartellone principale del Festival. E Carlo Fassi, esordiente al ROF ma già passato da teatri importanti (Scala, Carlo Felice, Vienna...)

Fra i momenti salienti dell’esibizione canora ricorderò la bellissima Pien di contento in seno (Molinari) poi il rapinoso duetto Odio, furor, dispetto (Fassi e Gatell); quindi la Pratt in Alla pompa già m’appresso e (con la Molinari) nell’ispirato duetto Questo cor ti giura amore; ancora la Pratt alle prese con i virtuosismi di cui è costellata Sempre teco ognor contenta. Gatell convince nell’impegnativa aria con coro All’alta impresa tutti, e a chiusura del primo atto ecco la coppia Pratt-Gatell con Ohimè, crudel, che tenti, prima del grande concertato di chiusura.

Nell second’atto da rimarcare Come sperar riposo (Fassi) e il successivo duetto con Molinari Venite, o fidi miei. Poi il grande quartetto Donami omai Siveno. Una vera perla è l’aria davvero irta di difficoltà e costellata di acuti (Superbo, ah tu vedrai) dove la Pratt si ritrova proprio... a casa sua, suscitando entusiasmi.

Infine è sempre alla Pratt cui tocca ancora di aprire il coro finale (Quai moti al cor io sento) sul quale si chiude in bellezza.

Aggiungo lodi per i 20 componenti del coro di Mirca Rosciani  e per i ragazzi della Filarmonica Rossini, che Paolo Arrivabeni ha guidato con leggerezza e leziosità proprio... settecentesche.

Trionfo per tutti, con ripetute chiamate e ovazioni per i quattro protagonisti e per Arrivabeni e Rosciani.
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Ecco, anche per quest’anno, alle 22:38, il vetusto portone ligneo del Teatro Rossini si è chiuso sul ROF. In attesa di riaprire il giorno 8 agosto 2020 (ma sarà poi così... anche lo scorso anno la data annunciata fu quella, ma poi si è iniziato l’11) per l’edizione icsli (?!) che ci propinerà Moïse et Pharaon (allestito da Pier Luigi Pizzi, ieri sera in platea per... imparare il mestiere, haha) Elisabetta e Cambiale. E magari... un’altra crisi di governo balneare, perchè no?

22 agosto, 2019

ROF-XL: il Gala in streaming


Coniugando l’utile (costo zero) e il dilettevole (l’accogliente centro cittadino invece della mostruosa Vitrifrigo arena) ieri sera ho assistito al gran Gala del ROF XL stando in mezzo al popolo di... Piazza del popolo, davanti al grande schermo sul quale è stato proiettato lo spettacolo. Qualche latrato di cane, la sirena di un’ambulanza, un antifurto e isolate intemperanze di pargoletti insofferenti hanno creato una simpatica (tutto sommato) polifonia con i suoni provenienti dai diffusori hi-fi dell’impianto.

Pubblico assai folto, anche in piedi, a circondare la zona seggiolata della parte est della grande piazza; pubblico che ha spesso applaudito come ad aggiungere anche il suo consenso a quello dell’arena. Dove si sono esibiti le compagini orchestrali, corali e il Direttore già protagonisti dell’apprezzata produzione de L’equivoco stravagante: OSN-RAI, il Coro Ventidio Basso di Giovanni Farina e Carlo Rizzi.

Quanto alle voci, non sono mancati un paio di forfait: il primo già annunciato dal sito del ROF, quello di Mirco Palazzi, rimpiazzato da Carlo Cigni; l’altro, arrivato in extremis, quello di Sergey Romanovsky, in parte sostituito da Ruzil Gatin, che ha rilevato il connazionale nel duetto del Reims, da lui conosciuto per averlo interpretato con l’Accademia nel 2017; invece l’aria di Pirro dall’Ermione ha dovuto essere cancellata, col che ha perso il posto anche Alessandro Luciano. Contando solo apparizioni in opere del cartellone principale si andava da ormai storici veterani del ROF (Pertusi-1992, Florez-1996) ad ospiti consolidati (Bordogna-2005, Palazzi-2007, Alaimo-2010, Brownlee-2010) ad altri di più recente arrivo (Goryachova-2012, Luciano-2013) o di recentissima presenza (Romanovsky-2017, Cigni-2017, Gatin-2018, Muschio-2019). Poi erano presenti cantanti già passati da Pesaro per eventi collaterali del Festival (Girardello-2017) e infine un paio di illustri esordienti al ROF (Vassallo, Meade). 

Questo il programma completo (con le variazioni intercorse):


Prima parte

Da Il barbiere di Siviglia

- Sinfonia
- Largo al factotum - Franco Vassallo
- A un dottor della mia sorte - Paolo Bordogna
- Cessa di più resistere - Lawrence Brownlee e Coro

Da Il viaggio a Reims

- Di che son reo?
- D’alma celeste, o Dio
Anna Goryachova e Sergey Romanovsky Ruzil Gatin

Da La Cenerentola

- Sia qualunque delle figlie - Nicola Alaimo
- Sì, ritrovarla io giuro - Juan Diego Florez e Coro

Da L’Italiana in Algeri

- Pria di dividerci da voi, Signore
Claudia Muschio, Valeria Girardello, Lawrence Brownlee, Anna Goryachova, Mirco Palazzi Carlo Cigni, Paolo Bordogna, Michele Pertusi e Coro

Seconda parte

Da Ermione

- Balena in man del figlio (soppressa)
Sergey Romanovsky, Angela Meade, Lawrence Brownlee, Anna Goryachova, Ruzil Gatin, Alessandro Luciano, Mirco Palazzi e Coro
- Essa corre al trionfo!
Angela Meade, Claudia Muschio, Ruzil Gatin, Mirco Palazzi Carlo Cigni e Coro

Da Guillaume Tell

- Ouverture
- Ou vas tu? Quel transport t’agite - Juan Diego Florez e Michele Pertusi
- Sois immobile, et vers la terre - Franco Vassallo
- Asile héreditaire - Juan Diego Florez e Coro
- Tout change et grandit en ces lieux
Michele Pertusi, Valeria Girardello, Claudia Muschio, Angela Meade, Juan Diego Florez, Mirco Palazzi Carlo Cigni e Coro

I trionfatori assoluti sono stati JDF (ma c’era da immaginarlo, dato il rapporto ultra-ventennale col Festival) e la straordinaria Angela Meade che ha suscitato entusiasmi e ricevuto ovazioni a valanga per la sua strepitosa aria dall’Ermione. Ma tutti i protagonisti sono stati accolti da applausi scroscianti, sia da parte del pubblico dell’arena che - come detto - da quello della piazza.
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Bene, dopo questa allegra kermesse, a me non resta ora da seguire che l’ultima recita del Demetrio, con la quale il ROF-XL chiuderà i battenti.

20 agosto, 2019

ROF-XL live: L’equivoco stravagante


Ieri alla Vitrifrigo arena (non proprio esaurita) terza recita de L’equivoco stravagante. Non ho ancora visto il Demetrio (che però ricordo bene dal 2010) ma mi sento di affermare senza tema di smentita che lo spettacolo cui ho assistito ieri è di gran lunga il migliore di questo ROF e forse uno dei migliori in assoluto nella storia del Festival.

Con i soggetti seri o tragici il rischio che si corre oggi è di trovare un regista che si diverte (lui solo, però) ad interpretarli in modo diciamo... personale, spesso creando autentici mostri, come è accaduto proprio qui a Vick con la Semiramide. E come accadde anche a SantAmbrogio 2015 alla coppia Leiser-Caurier, responsabili di una Giovanna d’Arco invero... invereconda.

Viceversa, con le opere leggere (drammi giocosi, farse) il rischio è che vengano trasformate in volgari pezzi da avanspettacolo, e l’Equivoco ci si presta benissimo, con quel testo che Gasbarri infarcì (peraltro con raffinato humor) di doppi sensi, battute salaci e ammiccamenti da barzelletta sporca. Ci vorrebbe poco a trasformare l’opera in una goliardata tipo Ifigonia in Culide, ecco.

E invece - sorpresa sorpresa - il due registi hanno messo in piedi uno spettacolo di alto livello, senza mai cadere nel grossolano e nel becero, ma mantenendolo sempre su un piano di eleganza e buon gusto che davvero ha conquistato il pubblico.

Sobria ma intelligente ed efficace la scenografia di Christian Fenouillat: scena praticamente fissa, incorniciata come un grande quadro, nella casa di Gamberotto; pochissime suppellettili (tre sedie, un letto per parte del second’atto e nulla più); un (apparente) quadro gigante, raffigurante un paesaggio rurale con vacche pascolanti, che però si rivela essere un finestrone affacciato sulla campagna: lì circoleranno Ermanno ed Ernestina dopo la fuga dalla casamatta e soldati e servitori. Una quinta sulla destra della scena si apre temporaneamente per creare l’oscuro e angusto spazio della prigione in cui è chiusa Ernestina, poi liberata da Ermanno. Eleganti e simpatici i costumi di Agostino Cavalca. Elementari, ma ben gestite da Christophe Forey, le luci.

Molto curata la recitazione dei personaggi: Ernestina in particolare è efficacemente presentata come una ragazza un po’ snob, abbigliata (nella sua immaginazione) come una principessa e alla quale la cultura deve aver creato più complessi che maturità. Gamberotto e Buralicchio sono due ricchi, il primo però è un parvenu, grazie a tanto olio di gomito; l’altro probabilmente un nullafacente figlio-di-papà. Ermanno è il (futuro) Nemorino della situazione. Centrate anche le figure dei due domestici-amanti Frontino (che non si capisce dal libretto per quali ragioni sia confidente ed alleato del povero Ermanno) e Rosalia. Appropriati ed intelligenti i movimenti dei 14 coristi maschi, ora impersonanti la servitù di Gamberotto, ora i militari della guarnigione. Tutti i protagonisti sono dotati di lunghi nasi alla Cyrano, dei quali si disferanno platealmente sull’ultimo accordo di SIb maggiore dell’orchestra. 

In definitiva, un allestimento di gran classe (che sembra evocare certi spettacoli di Ponnelle...) che il pubblico ha mostrato di apprezzare assai. E che è auspicabile venga ripreso al ROF negli anni a venire.
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Ma altrettanto se non maggiore apprezzamento è andato alla prestazione musicale, che ha valorizzato in pieno questa partitura colma di cavatine, ariette, concertati e cori con la quale Rossini inaugurò la consuetudine dell’auto-imprestito, sia in... entrata (passaggi dal Demetrio e l’intera Sinfonia, più altri brani, dalla Cambiale); e poi (complice lo stop imposto all’Equivoco dalla censura) in... uscita, verso il vicino Inganno, ma anche verso una mezza dozzina di opere successive.

Le voci mi son parse tutte all’altezza del compito. Una classifica va comunque fatta (e l’ha fatta anche il pubblico con l’applausometro). Io ci metto in cima la Teresa Iervolino, che ha messo in mostra la sua bella voce contraltile, coniugata ad una efficace resa della bizzarra personalità della protagonista.

Poi Davide Luciano, un Buralicchio assai apprezzabile per sonorità e corposità di timbro. Con lui, benissimo l’ormai veterano Paolo Bordogna, una sicurezza assoluta in questi ruoli di buffo (dal 2005 ne ha interpretati qui quasi una dozzina!)

Pavel Kolgatin ha una voce piccola e con un timbro un pò chioccio, ma se l’è cavata più che discretamente, in una parte che non presenta le proverbiali arditezze cui Rossini costringerà i tenori in futuro.

Assai bene anche i due servitori-lenoni Claudia Musco e Manuel Amati. Perfetti i 14 esponenti del Ventidio Basso diretti da Giovanni Farina.

Carlo Rizzi ha guidato con sicurezza la splendida OSN-RAI (menzione speciale per il corno di Giovanni Urso nella Sinfonia). Dal Direttore avrei gradito solo un filino in più di verve nei passaggi più... tranquilli, ecco.

Per tutti applausi a scena aperta dopo (e anche all’interno di) ogni numero e poi finali ovazioni e ripetute chiamate al proscenio.

18 agosto, 2019

ROF-XL live: Semiramide, ovvero: Vick in galera!


Eccomi quindi a commentare la (terza recita di) Semiramide, in una Vitrifrigo-Arena con diverse poltrone vuote.

Ascoltare uno dei più grandi monumenti musicali di ogni tempo più che discretamente eseguito da Direttore, Orchestra e Voci, ma rappresentato in scena come un esercizio da oratorio parrocchiale non è proprio il massimo... ma si sa, i Festival son fatti per stupire e scandalizzare (o almeno così dice la vulgata). Quindi take-it-easy e ridiamoci sopra!

Testuali parole di Vick: Nel 2019 mi pare imbarazzante fare l'imitazione di un uomo interpretato da una donna, magari con le gambe aperte. È una convenzione tramontata.

Ah davvero? A parte il fatto che il nostro mondo del 2019 (e la tendenza è a crescere...) è pieno di travestiti nobili e proletari, ricchi e poveri, e di gente che cerca la loro compagnia, dall’imbambagiato in Ferrari Lapo Elkann al più sfigato dei derelitti, e quindi non si vede cosa ci sarebbe di imbarazzante in tutto ciò... il problema, caro il mio Graham, è di una semplicità disarmante: It’s the music, stupid!

Tu, caro Grahm, sarai anche un grande uomo di teatro (nessuno te lo nega) ma di MUSICA  capisci poco o nulla, o meglio, temo io, tu la musica - questa, per lo meno - la disprezzi! Come hai fatto, sempre qui a Pesaro nel 2011, impiegando quella del Mosè per rifilarci la storia della nascita dello Stato di Israele (Mosè=Jabotinski!) e nel 2013 travisando completamente l’estetica del Tell, ridotto a strumento di propaganda politico-ideologica di bassa lega.   

E quindi - tanto per limitarci a Rossini - immagino che sarai ben lieto in futuro di farci conoscere (basta che ti appaltino, a fronte di laute parcelle pagate da NOI, la regìa delle rispettive opere) anche l’eroina Tancreda, la regina Cira di Babilonia, la regina sfigata Sigismonda, la Pippa della Gazza ladra... e mi fermo qui per non coprire di ridicolo un’altra mezza dozzina di straordinari protagonisti en-travesti di opere del Gioachino. Che per te era evidentemente un depravato sessuale il quale, rimasto a secco con i poveri castrati, rivolse le sue morbose attenzioni ad altri esemplari targati LGBT...  Ascpide! L’idea che la scelta delle voci cui affidare i caratteri dei personaggi fosse per Rossini di natura squisitamente estetica non ti sfiora nemmeno, vero? Oppure, dato che l’estetica può cambiare - e cambia - nel tempo, ecco che tu ti permetti allegramente di adulterare l’opera originale per adattarla ad una presunta estetica di oggi! Quindi metti un piercing alla Gioconda e il tanga alla Primavera! Apperò! La tua Semiramide si trasforma nella storia in una catena lesbica: Semiramide-Arsace e Arsace-Azema. Geniale!
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Ma Arsace femmina è solo la punta dell’iceberg del colossale travisamento del soggetto perpetrato dal regista albionico che - forse per ammortizzare i costi delle sue fatiche - deve aver trattato Semiramide come corollario della Tote Stadt da lui recentemente inscenata alla Scala: tutta Freud, complessi edipici, visioni oniriche, isterie, allucinazioni (ma là ci stava bene, trovandosi precisamente nel libretto, prima che nella musica!) Il tutto in una strampalata ambientazione moderna, altro che la sontuosa e sfarzosa Babilonia! E dove il tragico, il magico e il soprannaturale - non si è sempre detto che con Semiramide Rossini abbandonò il suo innivativo modello di opera seria sperimentato a Napoli per tornare al tardo-barocco? - cedono il posto alla più ritrita riproposizione freudiana di turbe psichiche ingenerate in un infante, per il resto alle prese con orsacchiotti e gessetti: questo per spiegarci una... belinata, cioè come Arsace sia stato testimone oculare dell’omicidio del padre (azione oltretutto cruenta, come mostra il coltellaccio che lui pargoletto vede nelle mani insanguinate della madre!) e come quel ricordo continui ad emergere dal suo subconscio. Auto-imprestito, si dovrebbe dire (visto che siamo da Rossini): avendo Vick copiato se stesso, vedi l’Arnold del suo Tell che guarda i filmetti dell’infanzia. Così Arsace diventa ossessionato dal desiderio di vendicare la madre, cosa che finalmente gli riuscirà: e lo farà in piena luce, avendola ben visibilmente a tiro, non certo per sbaglio (mano divina) e nella completa oscurità del mausoleo di Nino.

In poche parole: una storia inventata di sana pianta, che contraddice alla grande il testo di Rossi (dove Arsace fino all’ultimo rifiuta ritorsioni sulla madre per rivolgere la sua sete di vendetta esclusivamente su Assur) e - soprattutto - la MUSICA di Rossini, che a quel testo e a quel soggetto si è mirabilmente ispirata. Se a Rossini fosse stata mostrata la messinscena di Vick, ammesso che non fosse scoppiato a ridere ed avesse acconsentito a musicarla, vi avrebbe composto musica totalmente diversa da quella che scrisse per la tragedia di Rossi, mutuata da Voltaire, se ne può star certi.

Oh, in certi momenti Vick è però rispettosissimo del libretto, come quando, nel drammatico confronto fra Semiramide e Assur del second’atto (da lui peraltro trasformato in una scena-di-petting-sul-divano da filmetto osé) ci mostra lei che, cantando La forza primiera ripiglia il mio core, Regina e guerriera punirti saprò, afferra e strizza ben bene i... coglioni di Assur! Quale poesia, quanta profondità di scavo psicologico...

Insomma, non saprei se definire questo spettacolo come irridente o irrispettoso, dissacrante o provocatorio, o semplicemente... una sciocchezza.   
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Beh, chiuso il discorso sulla carnevalata, veniamo alle cose serie, e per fortuna ad aspetti che giustificano (alle mie orecchie, per lo meno, visto che gli occhi sono stati... torturati) la spesa del biglietto. Mariotti si conferma ormai solido interprete di queste impervie partiture rossiniane, guidando la OSN-RAI con il suo proverbiale (quanto abbadiano) gesto della mano sinistra a dettare attacchi e sfumature. Cosa che fa anche con le voci, quasi sempre rispettate (cioè non coperte da fracassi orchestrali) e in particolare con i cori, che qui hanno un ruolo da protagonisti. E il Coro di Giovannni Farina si è da parte sua distinto in tutte le diverse apparizioni e configurazioni, meritandosi un lungo applauso alla riapertura del sipario dopo la fine dell’opera.

La voce che mi ha più impressionato è stata quella di Carlo Cigni (Oroe): grande potenza e profondità, ha piacevolmente invaso gli spazi dell’Arena, caratterizzando al meglio il personaggio del santone talebano che pilota tutta la vicenda, fino al suo tragico epilogo.

La diffusione radiofonica tende ad appiattire tutto, ed anche in questo caso è stato così: voci che dall’etere parevano corpose, dal vivo si rivelano assai meno penetranti. Così è stato per Nahuel Di Pierro, oltretutto esibitosi in alcuni schiamazzi molesti. Nel duetto del primo atto con Arsace, forse temendo di calare, ha invece stonato parecchio per eccesso, con acuti francamente sgradevoli. A lui darò una sufficienza risicata.

Salome Jicia è pure rimasta un filino al di sotto rispetto a quanto udito per radio alla prima: una prestazione onorevole la sua, ma inquinata da alcuni acuti sparati alla sperindio e da un paio di virtuosismi piuttosto approssimativi.

Meglio di lei Varduhi Abrahamyan, la cui voce dal vivo mi è apparsa meno penetrante, ma sempre ben impostata e senza sbavature. Si notano comunque progressi evidenti rispetto al suo esordio di qualche anno fa, quando vestì i panni di Malcom: segno che il mezzosoprano armeno non sta dormendo sugli allori...

Il trionfatore della serata è stato curiosamente... l’intruso (parlando di soggetto letterario): l’Idreno di Antonino Siragusa, che rivaleggia, anche per vetustà di presenza al ROF) con il leggendario JDF. Ha sciorinato le sue due arie con grande sicurezza, ricevendo lunghe ovazioni a scena aperta. La sfilza di DO, RE e DO# acuti (scritti dal signor Rossini o dalla signora... tradizione) gli è uscita alla grande, sia pur non senza evidenti sforzi.

Su discreti standard gli altri interpreti, che metterei in quest’ordine di merito (anche rispetto alla consistenza delle parti): Alessandro Luciano, Sergey Artamonov e Martiniana Antonie.

Per tutti accoglienza assai calorosa, con punte trionfali per Siragusa e Mariotti. Vick... non pervenuto.