Il bravissimo Stanislav Kochanovsky torna gradito ospite sul podio de laVerdi per dirigere un concerto
dall’impaginazione abbastanza inusuale: un romantico
che di più non si potrebbe e un... romantico piuttosto particolare. La
Fondazione si unisce al generale compianto per la scomparsa del venerabile Alberto Zedda, ricordando una sua
lontana (1999) collaborazione, che ebbe come oggetto la rossiniana Adelaide.
Il 27enne moscovita Philipp
Kopachevsky (che fa pure rima – ma anche coppia! - con Kochanovsky...) è uno degli astri nascenti (anzi,
ormai abbondantemente in orbita!) del pianismo internazionale; qui ci propone
una pietra miliare del concertismo romantico, il Primo di Chopin.
Come mostrano anche le registrazioni
pubblicate su Youtube, è già da qualce
anno che i due russi si esibiscono in questo concerto, ed anche ieri sera hanno
confermato alla grande il loro affiatamento, sciorinando una maiuscola prestazione.
Il solista poi sembra aver interiorizzato al meglio lo spirito chopiniano (e non
solo per l’impiego del rubato...) che
pervade anche i due bis generosamente
concessi.
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Béla Bartók è un romantico,
non solo nella formazione musicale (Liszt
su tutti) ma anche nella ricerca delle radici della musica popolare della sua
gente, e persino nell’affrontare le sofferenze che la vita gli ha procurato
(abbandono della patria, difficoltà economiche, malattie).
E proprio il Concerto per Orchestra
(1942-43) è una delle ultime composizioni di un Bartók ridotto piuttosto male (morirà pochi mesi
dopo la prima esecuzione con la Boston di Koussevitzky) ma dalla quale non traspare per nulla la precarietà
delle condizioni materiali e psicologiche del compositore, anzi ci si ritrova
una grande vitalità e un incrollabile ottimismo.
La struttura in 5 movimenti richiama di
lontano le Suite o i Concertini barocchi, dove gli strumenti
dell’orchestra assumono di volta in volta il ruolo di veri e propri solisti.
Così accade per l’arpa, già nell’Introduzione, poi alle 5 coppie di fiati dell’Allegretto scherzando; quindi
all’ottavino (Elegia) e persino
all’esecutore ai timpani, che nell’Intermezzo
interrotto deve suonare un passaggio che copre l’intera scala cromatica (SOL-DO-FA-SIb-MIb-LAb-DO-FA-MIb-REb-MI-RE#-SOL#-LA-RE-SOL)
agendo in tempo reale sui pedali di accordatura.
Impeccabile l’esecuzione,
accolta con calore, se non proprio con entusiasmo, da un pubblico abbastanza
folto, a dispetto del programma che non è fra i più attraenti.
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