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11 marzo, 2017

2017 con laVerdi – 11


Il bravissimo Stanislav Kochanovsky torna gradito ospite sul podio de laVerdi per dirigere un concerto dall’impaginazione abbastanza inusuale: un romantico che di più non si potrebbe e un... romantico piuttosto particolare. La Fondazione si unisce al generale compianto per la scomparsa del venerabile Alberto Zedda, ricordando una sua lontana (1999) collaborazione, che ebbe come oggetto la rossiniana Adelaide.   

Il 27enne moscovita Philipp Kopachevsky (che fa pure rima – ma anche coppia! - con Kochanovsky...) è uno degli astri nascenti (anzi, ormai abbondantemente in orbita!) del pianismo internazionale; qui ci propone una pietra miliare del concertismo romantico, il Primo di Chopin

Come mostrano anche le registrazioni pubblicate su Youtube, è già da qualce anno che i due russi si esibiscono in questo concerto, ed anche ieri sera hanno confermato alla grande il loro affiatamento, sciorinando una maiuscola prestazione. Il solista poi sembra aver interiorizzato al meglio lo spirito chopiniano (e non solo per l’impiego del rubato...) che pervade anche i due bis generosamente concessi.
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Béla Bartók è un romantico, non solo nella formazione musicale (Liszt su tutti) ma anche nella ricerca delle radici della musica popolare della sua gente, e persino nell’affrontare le sofferenze che la vita gli ha procurato (abbandono della patria, difficoltà economiche, malattie).

E proprio il Concerto per Orchestra (1942-43) è una delle ultime composizioni di un Bartók ridotto piuttosto male (morirà pochi mesi dopo la prima esecuzione con la Boston di Koussevitzky) ma dalla quale non traspare per nulla la precarietà delle condizioni materiali e psicologiche del compositore, anzi ci si ritrova una grande vitalità e un incrollabile ottimismo.

La struttura in 5 movimenti richiama di lontano le Suite o i Concertini barocchi, dove gli strumenti dell’orchestra assumono di volta in volta il ruolo di veri e propri solisti. Così accade per l’arpa, già nell’Introduzione, poi alle 5 coppie di fiati dell’Allegretto scherzando; quindi all’ottavino (Elegia) e persino all’esecutore ai timpani, che nell’Intermezzo interrotto deve suonare un passaggio che copre l’intera scala cromatica (SOL-DO-FA-SIb-MIb-LAb-DO-FA-MIb-REb-MI-RE#-SOL#-LA-RE-SOL) agendo in tempo reale sui pedali di accordatura.

Impeccabile l’esecuzione, accolta con calore, se non proprio con entusiasmo, da un pubblico abbastanza folto, a dispetto del programma che non è fra i più attraenti.

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