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17 marzo, 2017

I Maestri trionfano alla Scala

 

Dopo ben 27 anni ieri sera le note dei wagneriani Meistersinger sono tornate a risuonare dentro il Piermarini (ahinoi con ampi spazi vuoti...) accolte da un autentico trionfo. E il trionfatore primo è stato Daniele Gatti, autore di una direzione e concertazione di livello assoluto: dallo stacco perfetto dei tempi, alla certosina meticolosità dello scavo dei particolari; dall’autorevolezza nel guidare le colossali scene corali alla cura con cui ha accompagnato il canto dei singoli. E l’Orchestra (piccole sbavature negli ottoni a parte) lo ha splendidamente assecondato, inondando la sala di suoni ora strepitosi, ora delicati e raffinati; ora tronfi ed enfatici, ora languidi ed accorati. Restituendoci tutta l’emozionante ricchezza di questa mirabile partitura. A partire dal Preludio, che Gatti ha meritoriamente spogliato di ogni eccesso di retorica guglielmina, moderando i suoni quasi a livello cameristico, per continuare con il Preludio del terz’atto, dove la cavata dei violoncelli e poi l’ingresso di viole e violini hanno avuto del memorabile. Quando poi ce n’è stato bisogno, Gatti non ha esitato a fare esplodere tutta la santabarbara orchestrale insieme a quella del coro di Casoni, con effetti davvero straordinari.

Per il direttore milanese un successo indiscusso, già prefigurato dagli applausi e dai bravo! piovutigli addosso ai due rientri e suggellato dalla trionfale accoglienza finale.

Nel cast vocale le cose non sono andate tutte allo stesso modo. Per fortuna ci ha pensato Michael Volle a deliziarci con una perfetta resa della personalità di Sachs: i suoi lunghi (o brevi) monologhi sono stati autentiche perle di espressività, da far salire le lacrime agli occhi; e la voce non ha mai perso smalto e profondità. Insomma, una prestazione che merita il massimo dei voti.

Sul fronte opposto, che dire del Walther di Michael Schade? Che il suo stesso cognome è l’immagine della sua prestazione? Che si può spiegare soltanto con un’improvvisa (e non annunciata) indisposizione: non altrimenti può accadere ad un tenore di dover portare quasi regolarmente all’ottava inferiore ogni nota superiore al SOL! Peccato davvero...

Note ancora positive per il Beckmesser di Markus Werba: la sua voce chiara e sempre controllata, senza inflessioni sguaiate che la parte potrebbe facilmente indurre, gli ha permesso di offrirci un Merker di alto livello: da incorniciare tutto il finale dell’incontro con Sachs nel terz’atto, oltre alle due memorabili serenate.

La Eva di Jacquelyn Wagner non mi ha francamente entusiasmato: voce minuta (spesso coperta dall’orchestra, che pure Gatti cercava di tenere a bada) e piuttosto aspra e vetrosa; si è comunque difesa onorevolmente almeno nel quintetto.

Suo padre Pogner è stato un ottimo Albert Dohmen, uno che interpretando ruoli di cattivoni e bastardi spesso esagera in sguaiatezze, mentre qui, nei panni di un padre nobile (magari un filino ottuso, ecco) ha dato il meglio di sè. Da incorniciare il suo indirizzo ai Maestri nel primo atto.

Benino anche il David di Peter Sonn, che a differenza di Schade evidentemente stava... bene e ha onorevolmente impersonato il ragazzo un po’ ingenuo che se la fa con una zitella!

La quale Magdalene è stata un’onesta Anna Lapkovskaja, che mi è parsa dotata di voce più penetrante di quella della Wagner.

Fra i Maestri, da menzionare in particolare il Kothner di Detlef Roth, tutti gli altri hanno... risposto bene al suo appello!

Efficace, nella minuscola ma importante parte del guardiano notturno, Wilhelm Schwinghammer.   

Da lodare tutti gli apprendisti(/e), allievi delle Accademie (scaligera, del Mozarteum e di Zurigo). Come detto, perfetto il coro di Casoni, con la perla del Wach’ auf!
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L’allestimento di Harry Kupfer (il cui gruppo di lavoro è stato pure calorosamente applaudito alla fine) va dritto al sodo, senza pretendere di scoprire chissà quali astrusi significati si nascondano nelle pieghe del libretto. Scene ridotte all’osso (ruderi della Katharinenkirche e ponteggi praticabili), costumi moderni, luci efficacemente dosate. Ma soprattutto: eccellente caratterizzazione dei personaggi e aderenza quasi maniacale (complice il concertatore) alle minuziose indicazioni che Wagner dissemina sulla partitura. Un esempio su tutti: la scena dell’arrivo di Beckmesser in casa Sachs nel terz’atto, dove ogni minimo dettaglio delle didascalie originali (che richiede perfetta sincronia tra ciò che si ode in orchestra e ciò che si vede sul palco) è stato restituito in modo a dir poco mirabile.

Qualche invenzione del regista non disturba più di tanto: mi limito a citare il Beckmesser che resta in scena dopo il fiasco della prova finale per ricevere una stretta di mano di Sachs.

All-in-all: uno spettacolo di assoluto livello che francamente non merita tutti i vuoti registrati ieri alla prima.

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