Dopo ben 27 anni ieri
sera le note dei wagneriani Meistersinger sono tornate a risuonare dentro il Piermarini (ahinoi con
ampi spazi vuoti...) accolte da un autentico trionfo. E il trionfatore primo è
stato Daniele Gatti, autore di una
direzione e concertazione di livello assoluto: dallo stacco perfetto dei tempi,
alla certosina meticolosità dello scavo dei particolari; dall’autorevolezza nel
guidare le colossali scene corali alla cura con cui ha accompagnato il canto
dei singoli. E l’Orchestra (piccole sbavature negli ottoni a parte) lo ha
splendidamente assecondato, inondando la sala di suoni ora strepitosi, ora
delicati e raffinati; ora tronfi ed enfatici, ora languidi ed accorati. Restituendoci
tutta l’emozionante ricchezza di questa mirabile partitura. A partire dal Preludio, che Gatti ha meritoriamente
spogliato di ogni eccesso di retorica guglielmina, moderando i suoni quasi a
livello cameristico, per continuare con il Preludio del terz’atto, dove la
cavata dei violoncelli e poi l’ingresso di viole e violini hanno avuto del memorabile.
Quando poi ce n’è stato bisogno, Gatti non ha esitato a fare esplodere tutta la
santabarbara orchestrale insieme a quella del coro di Casoni, con effetti davvero straordinari.
Per il direttore milanese
un successo indiscusso, già prefigurato dagli applausi e dai bravo! piovutigli addosso ai due rientri
e suggellato dalla trionfale accoglienza finale.
Nel cast vocale le cose
non sono andate tutte allo stesso modo. Per fortuna ci ha pensato Michael Volle a deliziarci con una perfetta
resa della personalità di Sachs: i suoi lunghi (o brevi) monologhi sono stati
autentiche perle di espressività, da far salire le lacrime agli occhi; e la
voce non ha mai perso smalto e profondità. Insomma, una prestazione che merita
il massimo dei voti.
Sul fronte opposto, che
dire del Walther di Michael Schade? Che
il suo stesso cognome è l’immagine della sua prestazione? Che si può spiegare
soltanto con un’improvvisa (e non annunciata) indisposizione: non altrimenti
può accadere ad un tenore di dover portare quasi regolarmente all’ottava
inferiore ogni nota superiore al SOL! Peccato davvero...
Note ancora positive per il
Beckmesser di Markus Werba: la sua
voce chiara e sempre controllata, senza inflessioni sguaiate che la parte potrebbe
facilmente indurre, gli ha permesso di offrirci un Merker di alto livello: da
incorniciare tutto il finale dell’incontro con Sachs nel terz’atto, oltre alle
due memorabili serenate.
La Eva di Jacquelyn Wagner non mi ha francamente
entusiasmato: voce minuta (spesso coperta dall’orchestra, che pure Gatti
cercava di tenere a bada) e piuttosto aspra e vetrosa; si è comunque difesa
onorevolmente almeno nel quintetto.
Suo padre Pogner è stato
un ottimo Albert Dohmen, uno che interpretando
ruoli di cattivoni e bastardi spesso esagera in sguaiatezze, mentre qui, nei
panni di un padre nobile (magari un filino ottuso, ecco) ha dato il meglio di
sè. Da incorniciare il suo indirizzo ai Maestri nel primo atto.
Benino anche il David di Peter Sonn, che a differenza di Schade evidentemente
stava... bene e ha onorevolmente impersonato il ragazzo un po’ ingenuo che se
la fa con una zitella!
La quale Magdalene è
stata un’onesta Anna Lapkovskaja, che
mi è parsa dotata di voce più penetrante di quella della Wagner.
Fra i Maestri, da
menzionare in particolare il Kothner di Detlef
Roth, tutti gli altri hanno... risposto bene al suo appello!
Efficace, nella minuscola
ma importante parte del guardiano notturno, Wilhelm
Schwinghammer.
Da lodare tutti gli
apprendisti(/e), allievi delle Accademie (scaligera, del Mozarteum e di Zurigo).
Come detto, perfetto il coro di Casoni, con la perla del Wach’ auf!
___
L’allestimento di Harry Kupfer (il cui gruppo di lavoro è
stato pure calorosamente applaudito alla fine) va dritto al sodo, senza pretendere
di scoprire chissà quali astrusi significati si nascondano nelle pieghe del
libretto. Scene ridotte all’osso (ruderi della Katharinenkirche e ponteggi praticabili), costumi moderni, luci
efficacemente dosate. Ma soprattutto: eccellente caratterizzazione dei
personaggi e aderenza quasi maniacale (complice il concertatore) alle minuziose
indicazioni che Wagner dissemina sulla partitura. Un esempio su tutti: la scena
dell’arrivo di Beckmesser in casa Sachs nel terz’atto, dove ogni minimo dettaglio
delle didascalie originali (che richiede perfetta sincronia tra ciò che si ode
in orchestra e ciò che si vede sul palco) è stato restituito in modo a dir poco
mirabile.
Qualche invenzione del
regista non disturba più di tanto: mi limito a citare il Beckmesser che resta
in scena dopo il fiasco della prova finale per ricevere una stretta di mano di
Sachs.
All-in-all: uno
spettacolo di assoluto livello che francamente non merita tutti i vuoti
registrati ieri alla prima.
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