Una chiara citazione di Rossini che appare nei Meistersinger ha da sempre fatto nascere
sospetti di una premeditata e proditoria denigrazione-in-musica
del grande Gioachino da parte di un nemico giurato dell’opera italiana. Di che
si tratta? Del famoso motivo da Di tanti
palpiti dal Tancredi.
Nel terzo atto Wagner mette in scena
l’arrivo delle diverse corporazioni di Norimberga presso la spianata sulla
Pegniz dove si celebrerà la festa (che includerà anche la tenzone canora):
ciascuna corporazione marcia - fra uno sventolio di bandiere e stendardi - cantando
le lodi delle proprie professionalità e i meriti acquisiti in passato presso la
città e il popolo.
Dopo che per
primi sono sfilati i calzolai (la corporazione
di Hans Sachs) ecco arrivare i sarti (professione
del cantore Augustin Moser) illustrando
i meriti di un loro rappresentante che – tempo addietro - nientemeno aveva salvato
Norimberga da un assedio nemico, mettendo in fuga gli assedianti con un curioso
stratagemma: farsi cucire addosso una pelle di caprone ed esibirsi poi in corse
e salti sulle mura della città. Al che il nemico aveva deciso che era meglio
lasciar perdere l’assedio, piuttosto che dover espugnare una colonia di… cornuti
(evabbè.)
È qui che Wagner cita, in modo parodistico, i famosi Palpiti dal Tancredi. Ora, chi vuol dipingere
Wagner come denigratore di Rossini ci racconta che la citazione, fatta nel
contesto di una storia di assedio della città tedesca, in realtà avrebbe lo
scopo di denunciare un altro tipo di assedio: quello operato dalla cultura
straniera (qui quella italiana, papalina, impersonata da Rossini, ma altrove anche
quella francese e ovviamente quella giudaica) ai danni di quella tedesco-luterana, difesa
appunto da... Wagner. Da ciò i successivi incitamenti di Sachs a difendere
l’arte tedesca da queste minacce, e la profezia che essa arte, se onorata e
custodita dal popolo,
avrebbe potuto
sopravvivere anche al tracollo del Sacro
Romano Impero.
Dopo che per
primi sono sfilati i calzolai (la corporazione
di Hans Sachs) ecco arrivare i sarti (professione
del cantore Augustin Moser) illustrando
i meriti di un loro rappresentante che – tempo addietro - nientemeno aveva salvato
Norimberga da un assedio nemico, mettendo in fuga gli assedianti con un curioso
stratagemma: farsi cucire addosso una pelle di caprone ed esibirsi poi in corse
e salti sulle mura della città. Al che il nemico aveva deciso che era meglio
lasciar perdere l’assedio, piuttosto che dover espugnare una colonia di… cornuti
(evabbè.)
Insomma: citandone un motivo musicale
del Tancredi in modo tendenzioso se non addirittura calunnioso, Wagner avrebbe
offeso e dileggiato Rossini come un pericoloso nemico dell’arte germanica. Ma
sarà proprio così?
Ora, che Wagner
non avesse in simpatia l’establishment
culturale e musicale del suo tempo è assodato. Così come è noto come avesse
aspramente criticato - particolarmente in Oper
und Drama - lo sviluppo del teatro musicale e dell’opera maturato
negli anni di massimo fulgore di Rossini.
Nel capitolo L’Opera e la natura della musica Wagner dedica pagine e pagine al
pesarese, analizzandone l’approccio compositivo e in primo luogo il ruolo
preminente destinato proprio alla melodia.
Certo, Wagner si scaglia contro quella che considera un’autentica degenerazione
dell’arte musicale, ma riconosce a Rossini una specie di stato di necessità, che lo aveva portato ad assecondare le tendenze di mercato: che privilegiavano
i cantanti, le voci, i gorgheggi, sacrificando ad essi – pura forma – la sostanza dei contenuti del dramma per musica.
Ma è significativo notare con quali precise
parole Wagner introduce il ruolo di Rossini:
Riassumendo: colui che ridiede un corpo profumato,
per quanto innaturale, a ciò che prima aveva genuinamente esalato i suoi
profumi da un corpo naturale; questo creatore di fiori artificiali, fatti di
seta e satin, che profumano come fiori autentici; ecco, questo grande artista fu Gioachino Rossini.
Il che ci fa pensare che di lui Wagner
avesse un’alta considerazione, così come di Bellini, del resto (al contrario di
Donizetti, che Wagner probabilmente detestava più che altro per aver dovuto
sbarcare il lunario a Parigi trascrivendone per trombetta alcune arie).
Interessante per converso notare il trattamento riservato (sempre nel citato
Oper und Drama) a Giacomo Meyerbeer, accreditato
di capacità musicali pari a zero! Evidentemente
per lui non era sufficiente la giustificazione delle esigenze del mercato!
(Poi, per dimostrare che i suoi non erano ciechi pregiudizi, Wagner fa una lode
sperticata del passaggio in SOLb maggiore – Tu
l’as dit – di Raoul-Valentine dal quarto atto di Les Huguenots, che forse gli ispirerà qualcosa nel Tristan…)
E in occasione
della morte di Rossini – avvenuta pochissimi mesi dopo la prima dei Meistersinger,
si noti bene - Wagner vergò (nella terza delle sue Censuren) un ricordo del grande Gioachino (Eine Erinnerung an Rossini) in cui descrive con simpatia l’incontro
avuto con il maestro nel 1860, quando lui era a Parigi per preparare il
disgraziato Tannhäuser (e forse già
cominciava a ripensare ai Cantori…): in
quella occasione l’anziano maestro italiano smentì ogni malignità che gli era
stata attribuita nei suoi riguardi dai giornali e mostrò, se non di
condividere, almeno di provare a comprendere la sua visione sul futuro
dell’opera. (Circostanze confermate dal dettagliato resoconto dell’incontro
fatto da Edmond Michotte, testimone oculare e
auricolare.)
Da ultimo: poche
settimane prima di morire, dopo la serata-concerto data in suo onore alla
Fenice a Natale del 1882 (quindi nella sua ultima apparizione in pubblico) e
dopo il sontuoso rinfresco, Wagner, per accommiatarsi degnamente dai suoi
ammiratori con un brano musicale eseguito personalmente al pianoforte,
scelse... indovinate... il rossiniano Buonasera,
miei signori!
Quindi,
per tornare ai Palpiti, se stiamo
agli elementi extra-musicali, nulla ci induce a pensare che Wagner abbia voluto
mettere alla berlina Rossini, e menchemeno additarlo a nemico dell’arte
germanica (proprio lui, Rossini, che in Italia passava per il tedeschino...) citandone
un motivo in modo tendenzioso se non addirittura calunnioso.
Ne abbiamo
conferma se poi proviamo ad analizzare un po’ più da vicino lo scenario, dando
un’occhiata all’unica fonte certa, autentica e inoppugnabile di cui disponiamo:
la partitura (testo e musica di
Wagner). Ecco cosa ci troviamo precisamente nel momento in cui i sarti cantano
l’inizio della loro storiella: nove battute, che si possono suddividere in due
parti uguali. Nelle prime 4 e mezza c’è il ricordo dei giorni tragici
dell’assedio, nelle successive 4 e mezza l’anticipazione dello scampato
pericolo, grazie al coraggio e all’inventiva del sarto:
L’entrata dei sarti si accompagna ad una
repentina modulazione: dal DO maggiore precedente (con i festosi squilli di
tromba) si passa al LA minore, poiché il coro deve raccontare il pericolo
mortale vissuto dalla città assediata (sono le prime 4 battute e mezza). Poi
abbiamo la transizione verso il consolatorio e allegro ricordo dell’impresa del
sarto, che occupa, tornando a DO maggiore, le successive 4 battute, contenenti
appunto la citazione – la tonalità originaria è FA - dei Palpiti.
Ergo: la melodia rossiniana è impiegata
qui da Wagner per supportare l’epinicio dei sarti per il loro valoroso collega,
non già la minaccia portata dagli assedianti, che è stata evocata con il LA
minore precedente, che nulla ha a che fare con Tancredi e con Rossini!
Ed è quindi una citazione del tutto
positiva, un vero e proprio omaggio al compositore italiano di cui Wagner apprezzava
il genio, pur criticandone l’involuzione delle forme musicali. Altro che
considerarlo un… assediante! Anche il tono allegro e scanzonato della citazione
(i tre ein Schneider che devono
essere cantati quasi… belando, in omaggio al travestimento del sarto) non è
certo irriguardoso né offensivo nei confronti di Rossini, ma simpaticamente
appropriato ad evocare un’impresa dai contenuti più spassosi che drammatici (e
del resto non fu proprio Rossini il campione dell’impiego della medesima musica
per supportare il serio e il giocoso?)
In ogni caso la prova definitiva l’abbiamo
chiedendoci: chi è Tancredi? Guarda caso: un patriota, precisamente come l’anonimo quanto bizzarro sarto di
Norimberga! (O vogliamo concludere che l’eroe di Wagner sia in realtà una
macchietta da avanspettacolo? E che quindi tutti i Meister siano una farsesca presa in giro, predica finale di Sachs
inclusa?)
Ma poi un po’ di Rossini – non musica, ma... caratterizzazione di personaggio - si ritrova anche nella quarta scena del terz’atto, quando Sachs, che ha appena aggiustato una scarpetta ad Eva, canta una specie di Largo al factotum! (“Das ist eine Müh', ein Aufgebot!”) descrivendo i mille diavoli per capello che caratterizzano la sua professione. E anche questa non può certo essere una parodia, visto il rilievo assoluto che la figura di Sachs ha nell’opera.
Insomma, nulla
ci autorizza a pensare che il vecchio Gioachino, che verrà a mancare proprio a
ridosso della prima rappresentazione dei Meistersinger, fosse oggetto di disprezzo
e di dileggio da parte del genio di Lipsia...
___
(continua...)
Ma poi un po’ di Rossini – non musica, ma... caratterizzazione di personaggio - si ritrova anche nella quarta scena del terz’atto, quando Sachs, che ha appena aggiustato una scarpetta ad Eva, canta una specie di Largo al factotum! (“Das ist eine Müh', ein Aufgebot!”) descrivendo i mille diavoli per capello che caratterizzano la sua professione. E anche questa non può certo essere una parodia, visto il rilievo assoluto che la figura di Sachs ha nell’opera.
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(continua...)
2 commenti:
Stai facendo un lavoro magnifico, grazie a nome di tutti i wagneriani e (spero!) anche da chi trova il Riccardino indigesto. Ciao.
@Amfortas
sei sempre troppo buono... grazie!
Cerco più che altro di riordinare le mie stesse idee, ogni volta che mi capita di riavvicinarmi a lavori di questa portata.
Magari queste note funzionassero un po' da alka-seltzer per chi trova indigesto il Riccardino...
Ciao!
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