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09 marzo, 2017

Alla Scala arrivano i Maestri (4): Rossini: disprezzo o ammirazione?

 

Una chiara citazione di Rossini che appare nei Meistersinger ha da sempre fatto nascere sospetti di una premeditata e proditoria denigrazione-in-musica del grande Gioachino da parte di un nemico giurato dell’opera italiana. Di che si tratta? Del famoso motivo da Di tanti palpiti dal Tancredi.

 

Nel terzo atto Wagner mette in scena l’arrivo delle diverse corporazioni di Norimberga presso la spianata sulla Pegniz dove si celebrerà la festa (che includerà anche la tenzone canora): ciascuna corporazione marcia - fra uno sventolio di bandiere e stendardi - cantando le lodi delle proprie professionalità e i meriti acquisiti in passato presso la città e il popolo.

Dopo che per primi sono sfilati i calzolai (la corporazione di Hans Sachs) ecco arrivare i sarti (professione del cantore Augustin Moser) illustrando i meriti di un loro rappresentante che – tempo addietro - nientemeno aveva salvato Norimberga da un assedio nemico, mettendo in fuga gli assedianti con un curioso stratagemma: farsi cucire addosso una pelle di caprone ed esibirsi poi in corse e salti sulle mura della città. Al che il nemico aveva deciso che era meglio lasciar perdere l’assedio, piuttosto che dover espugnare una colonia di… cornuti (evabbè.)

È qui che Wagner cita, in modo parodistico, i famosi Palpiti dal Tancredi. Ora, chi vuol dipingere Wagner come denigratore di Rossini ci racconta che la citazione, fatta nel contesto di una storia di assedio della città tedesca, in realtà avrebbe lo scopo di denunciare un altro tipo di assedio: quello operato dalla cultura straniera (qui quella italiana, papalina, impersonata da Rossini, ma altrove anche quella francese e ovviamente quella giudaica) ai danni di quella tedesco-luterana, difesa appunto da... Wagner. Da ciò i successivi incitamenti di Sachs a difendere l’arte tedesca da queste minacce, e la profezia che essa arte, se onorata e custodita dal popolo, avrebbe potuto sopravvivere anche al tracollo del Sacro Romano Impero.


Insomma: citandone un motivo musicale del Tancredi in modo tendenzioso se non addirittura calunnioso, Wagner avrebbe offeso e dileggiato Rossini come un pericoloso nemico dell’arte germanica. Ma sarà proprio così?

Ora, che Wagner non avesse in simpatia l’establishment culturale e musicale del suo tempo è assodato. Così come è noto come avesse aspramente criticato - particolarmente in Oper und Drama - lo sviluppo del teatro musicale e dell’opera maturato negli anni di massimo fulgore di Rossini.

Nel capitolo L’Opera e la natura della musica Wagner dedica pagine e pagine al pesarese, analizzandone l’approccio compositivo e in primo luogo il ruolo preminente destinato proprio alla melodia. Certo, Wagner si scaglia contro quella che considera un’autentica degenerazione dell’arte musicale, ma riconosce a Rossini una specie di stato di necessità, che lo aveva portato ad assecondare le tendenze di mercato: che privilegiavano i cantanti, le voci, i gorgheggi, sacrificando ad essi – pura forma – la sostanza dei contenuti del dramma per musica.

Ma è significativo notare con quali precise parole Wagner introduce il ruolo di Rossini:


Riassumendo: colui che ridiede un corpo profumato, per quanto innaturale, a ciò che prima aveva genuinamente esalato i suoi profumi da un corpo naturale; questo creatore di fiori artificiali, fatti di seta e satin, che profumano come fiori autentici; ecco, questo grande artista fu Gioachino Rossini.      

Il che ci fa pensare che di lui Wagner avesse un’alta considerazione, così come di Bellini, del resto (al contrario di Donizetti, che Wagner probabilmente detestava più che altro per aver dovuto sbarcare il lunario a Parigi trascrivendone per trombetta alcune arie). Interessante per converso notare il trattamento riservato (sempre nel citato Oper und Drama) a Giacomo Meyerbeer, accreditato di capacità musicali pari a zero! Evidentemente per lui non era sufficiente la giustificazione delle esigenze del mercato! (Poi, per dimostrare che i suoi non erano ciechi pregiudizi, Wagner fa una lode sperticata del passaggio in SOLb maggiore – Tu l’as dit – di Raoul-Valentine dal quarto atto di Les Huguenots, che forse gli ispirerà qualcosa nel Tristan…)

E in occasione della morte di Rossini – avvenuta pochissimi mesi dopo la prima dei Meistersinger, si noti bene - Wagner vergò (nella terza delle sue Censuren) un ricordo del grande Gioachino (Eine Erinnerung an Rossini) in cui descrive con simpatia l’incontro avuto con il maestro nel 1860, quando lui era a Parigi per preparare il disgraziato Tannhäuser (e forse già cominciava a ripensare ai Cantori…): in quella occasione l’anziano maestro italiano smentì ogni malignità che gli era stata attribuita nei suoi riguardi dai giornali e mostrò, se non di condividere, almeno di provare a comprendere la sua visione sul futuro dell’opera. (Circostanze confermate dal dettagliato resoconto dell’incontro fatto da Edmond Michotte, testimone oculare e auricolare.)

Da ultimo: poche settimane prima di morire, dopo la serata-concerto data in suo onore alla Fenice a Natale del 1882 (quindi nella sua ultima apparizione in pubblico) e dopo il sontuoso rinfresco, Wagner, per accommiatarsi degnamente dai suoi ammiratori con un brano musicale eseguito personalmente al pianoforte, scelse... indovinate... il rossiniano Buonasera, miei signori!       

Quindi, per tornare ai Palpiti, se stiamo agli elementi extra-musicali, nulla ci induce a pensare che Wagner abbia voluto mettere alla berlina Rossini, e menchemeno additarlo a nemico dell’arte germanica (proprio lui, Rossini, che in Italia passava per il tedeschino...) citandone un motivo in modo tendenzioso se non addirittura calunnioso.

Ne abbiamo conferma se poi proviamo ad analizzare un po’ più da vicino lo scenario, dando un’occhiata all’unica fonte certa, autentica e inoppugnabile di cui disponiamo: la partitura (testo e musica di Wagner). Ecco cosa ci troviamo precisamente nel momento in cui i sarti cantano l’inizio della loro storiella: nove battute, che si possono suddividere in due parti uguali. Nelle prime 4 e mezza c’è il ricordo dei giorni tragici dell’assedio, nelle successive 4 e mezza l’anticipazione dello scampato pericolo, grazie al coraggio e all’inventiva del sarto:


L’entrata dei sarti si accompagna ad una repentina modulazione: dal DO maggiore precedente (con i festosi squilli di tromba) si passa al LA minore, poiché il coro deve raccontare il pericolo mortale vissuto dalla città assediata (sono le prime 4 battute e mezza). Poi abbiamo la transizione verso il consolatorio e allegro ricordo dell’impresa del sarto, che occupa, tornando a DO maggiore, le successive 4 battute, contenenti appunto la citazione – la tonalità originaria è FA - dei Palpiti.  

Ergo: la melodia rossiniana è impiegata qui da Wagner per supportare l’epinicio dei sarti per il loro valoroso collega, non già la minaccia portata dagli assedianti, che è stata evocata con il LA minore precedente, che nulla ha a che fare con Tancredi e con Rossini!

Ed è quindi una citazione del tutto positiva, un vero e proprio omaggio al compositore italiano di cui Wagner apprezzava il genio, pur criticandone l’involuzione delle forme musicali. Altro che considerarlo un… assediante! Anche il tono allegro e scanzonato della citazione (i tre ein Schneider che devono essere cantati quasi… belando, in omaggio al travestimento del sarto) non è certo irriguardoso né offensivo nei confronti di Rossini, ma simpaticamente appropriato ad evocare un’impresa dai contenuti più spassosi che drammatici (e del resto non fu proprio Rossini il campione dell’impiego della medesima musica per supportare il serio e il giocoso?) 

In ogni caso la prova definitiva l’abbiamo chiedendoci: chi è Tancredi? Guarda caso: un patriota, precisamente come l’anonimo quanto bizzarro sarto di Norimberga! (O vogliamo concludere che l’eroe di Wagner sia in realtà una macchietta da avanspettacolo? E che quindi tutti i Meister siano una farsesca presa in giro, predica finale di Sachs inclusa?) 

Ma poi un po’ di Rossini – non musica, ma... caratterizzazione di personaggio - si ritrova anche nella quarta scena del terz’atto, quando Sachs, che ha appena aggiustato una scarpetta ad Eva, canta una specie di Largo al factotum! (“Das ist eine Müh', ein Aufgebot!”) descrivendo i mille diavoli per capello che caratterizzano la sua professione. E anche questa non può certo essere una parodia, visto il rilievo assoluto che la figura di Sachs ha nell’opera.

Insomma, nulla ci autorizza a pensare che il vecchio Gioachino, che verrà a mancare proprio a ridosso della prima rappresentazione dei Meistersinger, fosse oggetto di disprezzo e di dileggio da parte del genio di Lipsia...
___ 
(continua...)

2 commenti:

Amfortas ha detto...

Stai facendo un lavoro magnifico, grazie a nome di tutti i wagneriani e (spero!) anche da chi trova il Riccardino indigesto. Ciao.

daland ha detto...

@Amfortas
sei sempre troppo buono... grazie!
Cerco più che altro di riordinare le mie stesse idee, ogni volta che mi capita di riavvicinarmi a lavori di questa portata.
Magari queste note funzionassero un po' da alka-seltzer per chi trova indigesto il Riccardino...

Ciao!