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06 marzo, 2017

La Wally tosco-emiliana


Ieri pomeriggio la Wally ha salutato Reggio Emilia, dopo aver visitato Piacenza e Modena (in febbraio) e in attesa di recarsi in futuro nella natia Lucca. Purtroppo il Valli presentava uno spettacolo piuttosto desolante: intere file di palchi deserti (ahi ahi...) In compenso l’annunciatore (che ricorda di spegnere i cellulari, etc...) ha invitato tutti ad essere felici! Evabbè, noi ci proviamo. 

Luigi Illica trasse il libretto per Catalani dal romanzo di metà ‘800 Die Geierwally (La Wally dell’avvoltoio) di Wilhelmine von Hillern. Wally è il diminutivo di Walburga Stromminger, una ragazza selvaggia e coraggiosa, il cui appellativo (dell’avvoltoio) le viene da una spericolata impresa – negata persino ai suoi coetanei maschi -  da lei compiuta in giovane età: quando si fece calare, appesa ad una fune, lungo una ripida parete rocciosa per raggiungere il nido di un avvoltoio che infestava la zona e metteva in pericolo le greggi. Nonostante le ferite infertele dagli artigli del volatile, l’intraprendente Wally riuscì a rimuovere il nido e addirittura si portò a casa il pulcino dell’avvoltoio, allevandolo come animale domestico! Ecco perchè nelle raffigurazioni dell’epoca lei compare con l’avvoltoio sulla spalla:


Questi particolari non trovano alcun riscontro nel libretto, che invece riporta abbastanza fedelmente l’impresa di Hagenbach, che da solo ha abbattuto un grosso orso, e che si presenta come l’eroe accanto all’eroina Wally.

Il libretto, come quasi sempre accade, diverge dal romanzo, in particolare nella conclusione: nell’originale Wally e Hagenbach vivono felici e contenti... anche se per poco (moriranno insieme, non viene detto come) mentre l’opera termina con la morte violenta dei due. Anche il personaggio di Afra cambia parecchio: nel romanzo alla fine si scopre che lei è sorellastra di Hagenbach, e che quindi i sospetti di Wally sui tradimenti dell’amato erano infondati. Inoltre, il personaggio di Walter è un’invenzione del librettista. Ecco, bisogna riconoscere ad Illica di aver migliorato assai il soggetto originale!

La struttura drammaturgica dell’opera richiama vagamente quella di Carmen: due atti relativamente leggeri, se non proprio da operetta, con tanto di feste paesane, canti e balli, nei quali però si creano le premesse per il successivo precipitare degli eventi, fino alla tragedia conclusiva. Altra lontana rassomiglianza è quella fra la protagonista Wally e la futura Minnie di Puccini: si tratta di due ragazze piuttosto autoritarie e guarda caso l’ingresso in scena di entrambe avviene giusto in tempo per sedare una rissa fra maschi! Anche qui abbiamo un personaggio en-travesti: Walter, una specie di Cherubino cresciutello.

Musicalmente parlando, l’opera (siamo nel 1892) risente abbastanza dell’esperienza wagneriana: i cosiddetti numeri chiusi vi sono banditi in favore di un continuo svilupparsi delle melodie. Non mancano (ma nemmeno in Wagner!) brani che surrogano arie o ariosi o romanze: la ballata di Walter, il racconto di Hagenbach, la famosissima Ebben? Ne andrò lontana, ancora Schiavo dei tuoi begli occhi di Gellner, i monologhi di Wally del terzo e quart’atto, l’estremo omaggio di Hagenbach, sono pagine che emergono come... picchi alpestri dalla pianura sottostante.  

Nessun impiego strutturato di Leit-motive o surrogati; solo in un paio di circostanze udiamo ricomparire motivi già ascoltati: la cadenza dell’Ebben? Ne andrò lontana, che si riode alla fine del terz’atto, al momento della riconsegna di Hagenbach ad Afra da parte di Wally; e un motivo del walzerino del second’atto che riaffiora nel preludio dell’atto finale.

I personaggi sono assortiti secondo i classici canoni del melodramma ottocentesco: soprano drammatico e tenore eroico nei due ruoli principali; baritono e mezzosoprano come terzi incomodi e/o guastafeste fra i due; bassi nei panni di un genitore burbero e di un vecchio impenitente; un sopranino a incarnare il ruolo del menestrello amoroso.

Certo l‘ispirazione e la vena melodica non sono quelle dei Mascagni o dei Puccini, e forse questo spiega perchè, dopo il successo iniziale, l’opera negli ultimi decenni sia stata assai più rappresentata all’estero e in particolare nei paesi di lingua tedesca che non qui da noi. 

Compagine musicale cosiddetta di provincia: ma mai come in questa circostanza l'attributo potrebbe essere un complimento. A partire dall'Orchestra (ORER) fatta di ottimi professori (per esempio: corni e legni) ma anche ben compatta ed agguerrita nell'insieme; un concertatore di tutto rispetto (Francesco Ivan Ciampa) che interpreta con gusto e senza sbracamenti una partitura solo apparentemente facile, ma piena di raffinatezze timbriche ed armoniche; e il coro del Municipale di Piacenza (Corrado Casati) che sfoggia bella compattezza musicale (oltre a quella fisica da scatola di sardine in cui lo costringe il regista!)

Cast bene assortito, fatto da interpreti già navigati e da altri scesi in acqua da meno tempo. La protagonista Wally (Saioa Hernandez) sfoggia un gran vocione drammatico, forse un po’ artificialmente gonfiato e quindi opaco nei centri ma con acuti staccati con sicurezza; buona anche la sua versatilità espressiva, necessaria per interpretare un personaggio dalla natura così poliedrica come quella della ragazzona esuberante ma anche capace di toccanti accenti lirici e di sentimenti profondi. Dovrà ancora studiare parecchio, ma si vede chiaramente per lei un futuro promettente.

Hagenbach è Zoran Todorovich, anche lui dotato naturalmente di voce di gran spessore e volume, proprio da Heldentenor: voce ancora da mettere sotto controllo e da impiegare con più espressività e varietà di accenti... insomma un futuro (se ben coltivato e programmato) da Siegfried!  

Il navigato Claudio Sgura impersona il complessato Gellner; di lui ripeto ciò che già ho scritto in passato: gran vocione gestito però approssimativamente e con tendenza continua all’eccesso di forzature con perdita di rotondità e morbidezza. Insomma, fin troppo truce e ruvido, il che mette un po’ in ombra il lato più lirico del personaggio.

Apprezzabile il Walter di Serena Gamberoni: voce appropriatamente leggera ma non pigolante, portamento sicuro e grande espressività, emerse già da subito nella romanza di esordio. Qualche vetrosità negli acuti non inficia la sua positiva prestazione.
 

Di buon livello i tre comprimari (che cantano part-time ma hanno parti non proprio secondarie). Stromminger è Giovanni Battista Parodi, voce ben impostata e passante; l’altro basso (Il Pedone di Schnals) è un efficace Mattia Denti, capace di esprimere gli accenti vuoi burloni vuoi severi del vecchio navigato; discreta anche la Afra di Carlotta Vichi, voce ben impostata e rotonda, che emerge anche dal trambusto della festa di Sölden.
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La regìa di Nicola Berloffa è tradizionale (il che per me è sempre un merito: di ambientazioni tipo scuole elementari o comunità di drogati ne abbiamo viste – per soggetti anche assai più importanti - a sufficienza) e quindi siamo in mezzo a gente di montagna (oddio, sui costumi forse i montagnoli avrebbero da ridire, nel senso che solitamente non si va in alta quota con il tacco-12... ma l’alta montagna è forse l’allegoria della solitudine della Wally e allora prendiamola per buona, ecco). Ma insomma sono cose perdonabili (caso mai si sorride un po’ sulla scena del rescue di Hagenbach, proprio da saggio scolastico) e la trama viene fuori abbastanza integra. Scene (di Fabio Cherstich) appropriate, compresa la scatola di sardine del second’atto, dove in 50 mq erano stipati tutti gli interpreti e il coro, una scena più adatta ad un barcone di quelli che purtroppo danno altro tipo di spettacolo nel Mediterraneo... Costumi (Valeria Donata Bettella) come detto, di epoca... boh, novecentesca e luci ben manovrate da Marco Giusti.    

Trovate più o meno gratuite: la Wally dovrebbe irrompere in scena (à la Minnie, come detto) scaraventando a terra Hagenbach per soccorrere il padre: invece qui la vediamo sostituita da Gellner (che forse si esercitava in vista del terz’atto...) mentre osserva da lontano. In compenso, nella scena del recupero di Hagenbach nel burrone, invece di scendere a mani nude nell’abisso, ecco che lei viene imbragata ridicolmente con una funicella e poi calata come un sacco di patate: forse il regista voleva raccontarci ciò che si legge nel romanzo e viene taciuto nel libretto, evabbè.   

A parte tutto, una proposta più che meritoria, purtroppo punita da un’affluenza di pubblico che lascia sempre più depressi.

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