A poco più di un
anno di distanza è tornata in Scala (e
ci resterà per altre 5 recite, fino all’11 giugno) la donizettiana Lucia
di provenienza MET. Sullo spettacolo
quindi non avrei da cambiare idea, né da aggiungere altro a quel
poco dichiarato a suo tempo.
Sul piano del cast, la continuità col passato è
garantita dal solo Vittorio Grigolo,
che anche ier sera è stato accolto come un marziano, anche se a me non è parso
aver fatto molti passi avanti in questi 15 mesi: eccessive forzature dei suoni
in alto e scarsa efficacia nei passaggi più intimistici.
Accolta da
grande esultanza Diana Damrau, che
effettivamente è stata una Lucia convincente, e non solo nella famosa scena
della pazzia: qualche difficoltà nelle note gravi non ha offuscato una
prestazione di alto livello, sia sotto il profilo della tecnica che sotto
quello del portamento drammatico.
Gabriele Viviani è un
Enrico dignitoso, ma non trascendentale. Meglio
Alexander Tsymbalyuk, ben calatosi nella parte non facile di Raimondo. Gli
altri due componenti del famoso sestetto
di fine atto II (Juan Josè de León, Arturo, e Chiara
Isotton, Alisa) hanno fatto onestamente la loro parte. Il Normanno Edoardo Milletti ha faticato assai a
farsi udire, causa il combinato disposto Ranzani-Casoni…
A proposito dei
quali dirò che il Coro ha offerto una prestazione degna della sua fama,
travolgendo – nei passaggi d’insieme – anche le voci soliste. Ranzani ha
diretto a memoria e, a mio modesto avviso, forse ha talora scambiato la partitura
della Lucia per quella di… Attila (smile!)
Pubblico una
volta tanto abbastanza folto (sarà l’effetto-EXPO?) e unanime nel giudizio categoricamente
positivo (proprio come si fosse al MET!) per questo spettacolo.
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