Signori miei, con
l’anidride carbonica non si scherza: la mia maestra elementare (tale Ortensia, anni ’50 dello scorso secolo!)
mi e ci aveva ammonito che restare in un ambiente saturo di CO2 significa la morte certa, non perché CO2 sia un
veleno, ma perché si mangia l’ossigeno dell’aria. Per contro, vuoi mettere il
piacere che ti dà una dose di anidride carbonica iniettata in una bottiglia
d’acqua (o di Coca, o di qualsivoglia altra bibita gasata)?
La buona notizia
di oggi è che lo spettatore che in questi giorni si avventura incoscientemente
(o con epico sprezzo del pericolo) dentro le vetuste mura del Piermarini ha ottime
possibilità di uscirne illeso (o al massimo con sopportabili conseguenze, nulla
di irreparabile, ecco…) soprattutto se sta in loggione o nelle file alte dei
palchi. Qualche maggior pericolo lo si corre stando in platea (si sa che la CO2
pesa più dell’aria e si addensa in basso): però se riescono ad uscirne vivi anche
gli strumentisti (che stanno ancor più giù) significa che ci si può
fidare…
Insomma, il massimo pericolo che si
corre è di sbottare come il mitico Fantozzi
alla proiezione della mitica Potemkin…
ed è ciò che alcuni del pubblico hanno fatto ieri sera alla seconda, pur mantenendo le imprecazioni
a livello di confuso borbottìo e senza ricorrere a plateali vaffa. La maggioranza degli spettatori
ha invece applaudito calorosamente tutti, autori e interpreti, probabilmente
convinta di aver così dato un decisivo contributo alla lotta contro il
surriscaldamento del pianeta. (Però poi tutti via a bordo di mastodontici SUV,
tanto si è capito che la Gaia è una mamma di manica larga.)
Sì, perchè questa è un’opera-manifesto,
o un’opera-denuncia come la si voglia definire. Io però comincerei con il
contestarne proprio il genere, poichè opera
mi pare un termine un filino impegnativo: per il solo fatto di essere
rappresentata in Scala, non è che qualunque pièce
si meriti quel riconoscimento, altrimenti dovremo chiamare opera anche la
presentazione della stagione 15-16 che un famoso attore (smile!) farà il prossimo 27/5, ore 17.
Quindi d’ora in poi, e per mero e doveroso rispetto per le attività di chi lo
ha pensato e soprattutto realizzato, lo chiamerò lavoro.
Personalmente sono convinto che l’ecologia
e i problemi connessi con la difesa dell’ambiente siano materia troppo
importante e seria per essere trattati in questo modo. Già si deve purtroppo
diffidare anche degli esperti veri, che spesso e volentieri prendono clamorose
cantonate, figuriamoci se dobbiamo dar retta a librettisti, compositori e
registi che giocano a fare gli ecologisti!
Che si tratti di un’operazione di pura
facciata se ne rende conto chiunque prenda fra le mani il programma di sala,
dove si è toccato il livello record di ipocrisia, facendolo per l’occasione
stampare - invece che sulla consueta preziosissima e costosissima carta
patinata - su carta (simil-?) riciclata!
Va
dato però atto a tutti gli autori di questo lavoro di aver fatto le cose
proprio da – come dicono ad Oxford – paraculi!
Ian Burton ha collazionato per il
libretto una montagna di dotte citazioni, da Al Gore a James Lovelock, passando
per testi più o meno sacri delle più svariate lingue e provenienze; Carsen, che di solito va a nozze quando può de-strutturare i
DonGiovanni, le Tosche, le Alcine e le Salome, qui pare quasi sprecato, però ci
ha messo il suo genio (e le straordinarie foto del suo amico Edward Burtynsky) per rendere
accattivanti le diverse scene del lavoro, soprattutto quelle di massa. E infine
il più paraculo di tutti (anche per origine geografica!) è il compositore Battistelli, che ci ha propinato una
musica sempre addomesticabile, anche se non strettamente diatonica, senza comunque
mai superare il confine oltre il quale lo spettatore medio comincerebbe ad
innervosirsi.
La struttura del lavoro è un’altra
paraculata: pur non essendolo nella realtà (di fatto è una specie di documentario, avendo un oggetto e non un soggetto) non vi manca nulla degli ingredienti dell’opera di teatro musicale come la
conosciamo e la intendiamo da più di 4 secoli: presentando arie, concertati,
cori, declamati, semplici parlati, intermezzi strumentali e – immancabile,
nemmeno si fosse all’Opéra (o a Broadway?) - il balletto!
Insomma, si tratta di una raffinata
mistificazione, e come capita per molte mistificazioni, può pure darsi che
abbia un futuro: certo non sul piano, diciamo così, politico-maieutico, poiché scorre e scorrerà come acqua fresca su
un cristallo; ma magari su quello teatrale sì, essendo spettacolo che sa
catturare l’attenzione e le simpatie del pubblico.
Sul piano dell’esecuzione
musicale, finchè uno non ha accesso alla partitura non può nemmeno dire se direttore,
orchestra e cantanti abbiano interpretato a dovere ciò che il compositore ha
voluto trasmetterci: si può soltanto immaginare e sperare che in un’occasione
come questa (presenza in loco dell’autore) le cose siano state fatte con il
massimo della cura. Per il resto mi limito a riconoscere a tutti (i cori di Casoni, in primis) di aver contribuito –
come detto – a rendere lo spettacolo piacevole e digeribile.
Ancora un commento di carattere
generale: la Scala sarà pure (o vorrebbe essere) un teatro di livello
internazionale e cosmopolita; poi c’è l’EXPO e quindi il tasso di turisti
stranieri presenti in sala aumenta ulteriormente… però qui si rappresenta la prima mondiale di un lavoro
commissionato dalla Scala ad un compositore italiano.
Recitarlo nella nostra lingua, no? Poi fatene pure una versione inglese o
tedesca o francese o russa o cinese o burkina-fasonica quando e se qualcuno
deciderà di rappresentarlo in Paesi diversi. Purtroppo questo è un brutto
vizio: Quartett di Francesconi (2011)
ispirato da un testo tedesco a sua volta ricavato da uno francese, fu scritto
(dall’autore italiano) in inglese; peggio successe per Cuore di cane (2013) scritto in italiano da un italiano e
presentato in traduzione… russa! Allora diciamo: abbasso lo sciovinismo, evviva
il masochismo!
Chiudo con una battutaccia: siamo sotto
elezioni, e il prode Battistelli si è
candidato a sindaco del suo paesello, Albano laziale. Speriamo che venga eletto, così
trasformerà finalmente in zona pedonale anche la SS7 (alias: la gloriosa via Appia, una delle più trafficate e
inquinate superstrade fin dai tempi dell’antica Roma) ma soprattutto non gli
resterà più tempo per la composizione (tera-smile!)
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