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20 maggio, 2015

CO2: miracolosamente illesi

  

Signori miei, con l’anidride carbonica non si scherza: la mia maestra elementare (tale Ortensia, anni ’50 dello scorso secolo!) mi e ci aveva ammonito che restare in un ambiente saturo di CO2 significa la morte certa, non perché CO2 sia un veleno, ma perché si mangia l’ossigeno dell’aria. Per contro, vuoi mettere il piacere che ti dà una dose di anidride carbonica iniettata in una bottiglia d’acqua (o di Coca, o di qualsivoglia altra bibita gasata)?

La buona notizia di oggi è che lo spettatore che in questi giorni si avventura incoscientemente (o con epico sprezzo del pericolo) dentro le vetuste mura del Piermarini ha ottime possibilità di uscirne illeso (o al massimo con sopportabili conseguenze, nulla di irreparabile, ecco…) soprattutto se sta in loggione o nelle file alte dei palchi. Qualche maggior pericolo lo si corre stando in platea (si sa che la CO2 pesa più dell’aria e si addensa in basso): però se riescono ad uscirne vivi anche gli strumentisti (che stanno ancor più giù) significa che ci si può fidare…    

Insomma, il massimo pericolo che si corre è di sbottare come il mitico Fantozzi alla proiezione della mitica Potemkin… ed è ciò che alcuni del pubblico hanno fatto ieri sera alla seconda, pur mantenendo le imprecazioni a livello di confuso borbottìo e senza ricorrere a plateali vaffa. La maggioranza degli spettatori ha invece applaudito calorosamente tutti, autori e interpreti, probabilmente convinta di aver così dato un decisivo contributo alla lotta contro il surriscaldamento del pianeta. (Però poi tutti via a bordo di mastodontici SUV, tanto si è capito che la Gaia è una mamma di manica larga.)

Sì, perchè questa è un’opera-manifesto, o un’opera-denuncia come la si voglia definire. Io però comincerei con il contestarne proprio il genere, poichè opera mi pare un termine un filino impegnativo: per il solo fatto di essere rappresentata in Scala, non è che qualunque pièce si meriti quel riconoscimento, altrimenti dovremo chiamare opera anche la presentazione della stagione 15-16 che un famoso attore (smile!) farà il prossimo 27/5, ore 17. Quindi d’ora in poi, e per mero e doveroso rispetto per le attività di chi lo ha pensato e soprattutto realizzato, lo chiamerò lavoro.

Personalmente sono convinto che l’ecologia e i problemi connessi con la difesa dell’ambiente siano materia troppo importante e seria per essere trattati in questo modo. Già si deve purtroppo diffidare anche degli esperti veri, che spesso e volentieri prendono clamorose cantonate, figuriamoci se dobbiamo dar retta a librettisti, compositori e registi che giocano a fare gli ecologisti!

Che si tratti di un’operazione di pura facciata se ne rende conto chiunque prenda fra le mani il programma di sala, dove si è toccato il livello record di ipocrisia, facendolo per l’occasione stampare - invece che sulla consueta preziosissima e costosissima carta patinata - su carta (simil-?) riciclata!  

Va dato però atto a tutti gli autori di questo lavoro di aver fatto le cose proprio da – come dicono ad Oxford – paraculi! Ian Burton ha collazionato per il libretto una montagna di dotte citazioni, da Al Gore a James Lovelock, passando per testi più o meno sacri delle più svariate lingue e provenienze; Carsen, che di solito va a nozze quando può de-strutturare i DonGiovanni, le Tosche, le Alcine e le Salome, qui pare quasi sprecato, però ci ha messo il suo genio (e le straordinarie foto del suo amico Edward Burtynsky) per rendere accattivanti le diverse scene del lavoro, soprattutto quelle di massa. E infine il più paraculo di tutti (anche per origine geografica!) è il compositore Battistelli, che ci ha propinato una musica sempre addomesticabile, anche se non strettamente diatonica, senza comunque mai superare il confine oltre il quale lo spettatore medio comincerebbe ad innervosirsi.

La struttura del lavoro è un’altra paraculata: pur non essendolo nella realtà (di fatto è una specie di documentario, avendo un oggetto e non un soggetto) non vi manca nulla degli ingredienti dell’opera di teatro musicale come la conosciamo e la intendiamo da più di 4 secoli: presentando arie, concertati, cori, declamati, semplici parlati, intermezzi strumentali e – immancabile, nemmeno si fosse all’Opéra (o a Broadway?) - il balletto!

Insomma, si tratta di una raffinata mistificazione, e come capita per molte mistificazioni, può pure darsi che abbia un futuro: certo non sul piano, diciamo così, politico-maieutico, poiché scorre e scorrerà come acqua fresca su un cristallo; ma magari su quello teatrale sì, essendo spettacolo che sa catturare l’attenzione e le simpatie del pubblico.  

Sul piano dell’esecuzione musicale, finchè uno non ha accesso alla partitura non può nemmeno dire se direttore, orchestra e cantanti abbiano interpretato a dovere ciò che il compositore ha voluto trasmetterci: si può soltanto immaginare e sperare che in un’occasione come questa (presenza in loco dell’autore) le cose siano state fatte con il massimo della cura. Per il resto mi limito a riconoscere a tutti (i cori di Casoni, in primis) di aver contribuito – come detto – a rendere lo spettacolo piacevole e digeribile.

Ancora un commento di carattere generale: la Scala sarà pure (o vorrebbe essere) un teatro di livello internazionale e cosmopolita; poi c’è l’EXPO e quindi il tasso di turisti stranieri presenti in sala aumenta ulteriormente… però qui si rappresenta la prima mondiale di un lavoro commissionato dalla Scala ad un compositore italiano. Recitarlo nella nostra lingua, no? Poi fatene pure una versione inglese o tedesca o francese o russa o cinese o burkina-fasonica quando e se qualcuno deciderà di rappresentarlo in Paesi diversi. Purtroppo questo è un brutto vizio: Quartett di Francesconi (2011) ispirato da un testo tedesco a sua volta ricavato da uno francese, fu scritto (dall’autore italiano) in inglese; peggio successe per Cuore di cane (2013) scritto in italiano da un italiano e presentato in traduzione… russa! Allora diciamo: abbasso lo sciovinismo, evviva il masochismo!

Chiudo con una battutaccia: siamo sotto elezioni, e il prode Battistelli si è candidato a sindaco del suo paesello, Albano laziale. Speriamo che venga eletto, così trasformerà finalmente in zona pedonale anche la SS7 (alias: la gloriosa via Appia, una delle più trafficate e inquinate superstrade fin dai tempi dell’antica Roma) ma soprattutto non gli resterà più tempo per la composizione (tera-smile!)

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