riconoscimenti

a Trump premio Nobel per l'incapace

04 marzo, 2020

laVerdi-19-20 - annullato anche il Concerto n°19


Dopo aver provocato la sosta forzata della scorsa settimana (Rysanov interprete di Ciajkovski) lo sbifido Coronavirus ha bloccato anche il concerto di questa settimana, che doveva vedere sul podio il Direttore musicale, per dirigere un programma ancora una volta con i tre brani di taglio classico.

Ma un più attento esame del programma medesimo ci permette di scoprire la vera causa dello stop: è colpa della sempre più portatrice-di-sfiga di quell’opera che va sotto il nome di La forza del destino (!!)

Della quale era prevista la sola Sinfonia, ma ciò è evidentemente bastato a provocare il disastro. E Milano ha la sua parte di responsabilità, poichè il primo colpo inferto all’opera (da Verdi medesimo) fu proprio la versione presentata alla Scala in quel sabato 27 febbraio 1869, con la Sinfonia ipertrofizzata e il finale annacquato...

Tanto per cazzeggiarvi un po’ sopra, a mo’ di esorcismo anti-Covid19, confrontiamo il breve Preludio originale con la Sinfonia che lo ha rimpiazzato. Lo schema sottostante riporta sommariamente le strutture delle due versioni e i riferimenti a due esecuzioni di Gergiev a SanPietroburgo, in omaggio alla città... natale dell’opera (il video della versione 1869 porta erroneamente nel titolo 1862):

contenuto
battute
tempo
tempo
battute
1-8
11”
Destino (due volte)

1-8
9-42
21”
Leonora(-destino)
14”
9-42
43-50
46”
Destino (1)
40”
43-45
51-67
55”
Alvaro (Le minacce, i fieri accenti) (2)
47”
46-62
68-83
1’36”
Leonora (Madre, pietosa vergine) (due volte)
1’38”
63-78

Alvaro (Apriti, o terra) + coda (3)
2’41”
78-96
83-94
2’35”
reiterazione inciso Leonora(-destino)

95-121
2’42”
cadenza
122-128
3’00”
incipit Alvaro (Le minacce, i fieri accenti)
129-148
3’25”
Leonora (Tua grazia, o Dio, sorride alla reietta)
149-154
3’56”
transizione (fanfara)
155-168
4’05”
variazioni inciso Leonora(-destino)
169-182
4’27”
Guardiano (A te sia gloria, o Dio clemente)
183-200
4’50”
nuove variazioni inciso Leonora(-destino)
201-206
5’17”
Leonora (Madre, pietosa vergine)
207-225
5’29”
Leonora (Tua grazia, o Dio, sorride alla reietta)
226-233
5’58”
transizione (fanfara)
234-241
6’09”
Leonora (Tua grazia, o Dio, sorride alla reietta)
242-264
6’20”
coda
(1) 1869: due volte; 1862: una volta;
(2) 1869: accompagnamento Leonora(-destino); 1862: accompagnamento Seguidilla;
(3) 1862: dal finale prima versione

Come si può constatare anche a prima vista, la versione 1869 ha una durata più che doppia rispetto alla prima ed è quasi 3 volte più corposa quanto a numero di battute musicali. Ciò spiega la frequenza della sua presenza (o il suo impiego frequente come bis) anche nei cartelloni concertistici.

Quanto alla stagione de laVerdi, già era programmata una sosta prima del Concerto n°20, per permettere all’Orchestra di suonare a Bonn in occasione dei 250 anni di Beethoven: così si riprende (scongiuri) il 19 marzo ma - guarda un po’ il destino - non con il previsto programma americano, rinviato a giugno, ma con l’anticipo delle Stagioni di Piazzolla e Vivaldi.

03 marzo, 2020

Di necessità... virtù


Update: come non detto... lo streaming con Michieletto è stato annullato.
___
La perdurante minaccia posta dal Coronavirus ha - per così dire - aguzzato l’ingegno di chi prova a porre rimedio al rischio di paralisi delle attività (private, ma anche pubbliche) il che avrebbe serie conseguenze su ciò che - in senso lato - va sotto il bizzarro acronimo P.I.L.

E così ecco che anche le aziende italiane scoprono finalmente... l’America, nella fattispecie una pratica da tempo in uso (anche in assenza di emergenze) nei Paesi più intelligenti: il telelavoro, o lavoro da casa, reso possibile - per gran parte delle attività del cosiddetto back-office, ma anche per alcune di front-office - dalle moderne tecnologie.

E anche il mondo della cultura sta (timidamente, per ora) provando ad evitare il totale black-out con qualche lodevole iniziativa. Ne cito un paio di esempi nati in questi giorni a Milano. laVerdi ha lanciato l’hashtag #Lamusicanonsiferma mettendo a disposizione del suo pubblico alcuni concerti da camera, eseguiti, in un Auditorium deserto, dalle prime parti dell’orchestra, con rigoroso rispetto delle... distanze!

Un’altra iniziativa da apprezzare è quella della Fondazione Feltrinelli che, causa il perdurante bando di manifestazioni pubbliche, irradia in streaming (e successivamente on-demand) l’incontro (a porte chiuse) con Damiano Michieletto sulla prossima Salome scaligera (che già ha perso la sua... prima, ahimè e ahinoi).  

Ecco: iniziative nate con l’emergenza che però sarebbe auspicabile entrassero a far parte dell’offerta standard delle istituzioni culturali.

24 febbraio, 2020

Roma ospita un Onegin di alto livello


Ieri pomeriggio il Costanzi - abbastanza, ma non troppo affollato - ha ospitato la terza recita dell’Onegin, una produzione di Carsen del lontano 1997 per il MET, poi già ripresa da altri teatri e qui portata da Peter McClintock. Sul podio il torinese (pro-tempore) James Conlon. Radio3 aveva trasmesso la prima del 18, che mi aveva fatto un gran bella impressione, pienamente confermata dall’ascolto dal vivo.

Come le altre, anche questa recita è edicata al ricordo della grande Mirella Freni, ultima interprete romana di Tatiana nel 2001.

L’allestimento di Carsen compie 23 anni, ma non li dimostra, come accade per ogni opera di valore. L’idea portante del regista è di mettere al centro della vicenda Onegin, che non per nulla appare sempre per primo in scena in apertura dei tre atti: durante il Preludio lo si immagina ricordare ciò che... accadrà, leggendo una lettera; all’inizio del second’atto facendo un sopralluogo nella sala dove si svolgerà la festa che lo porterà ad offendere Lensky e a dare inizio alla tragedia; infine all’inizio del terzo atto, quando verrà abbigliato a dovere per la festa-funerale che preparerà la sua fine ingloriosa.

L’ambientazione rispetta il libretto, nella Russia ottocentesca, come testimoniano i costumi di Michael Levine, il quale cura anche le scene: ambiente praticamente vuoto, di volta in volta popolato da poche suppellettili, piccoli tavoli da lavori domestici, sedie e tavolini da soggiorno. All’inizio il pavimento è ricoperto da (finte) foglie dai tipici colori autunnali (giallo, marrone, rossiccio, verde scuro) per restare via via completamente spoglio. Le luci di Jean Kalman supportano l’idea del regista di illuminare le tre pareti nude con colori diversi e cangianti, a seconda del carattere dei diversi quadri: il giallo della natura e della vita serena per i quadri iniziali dei primi due atti, in casa Larina; il blu-notte nel secondo quadro del primo atto (la lettera di Tatiana) e nel corrispondente del secondo (il duello all’alba, con il sole che sorge poi a inquadrare la silhouette di Onegin piegato sul defunto Lensky); grigio nel terzo quadro del primo atto (la disillusione di Tatiana); bianco nel primo quadro del terz’atto (a far da sfondo ad un nero... funerale) e ghiaccio nel quadro finale (il distacco definitivo).

Una scelta che ai tempi fece discutere è quella di collegare direttamente la fine dell’atto secondo (morte di Lensky) con l’inizio del terzo (festa a palazzo Gremin) che il libretto colloca invece a distanza di anni. (L’idea fu poi scopiazzata - in molto peggio, per la verità - da Kasper Olten, in una produzione passata anche a Torino anni fa.) Ma anche questa si spiega con la concezione di Carsen di porre Onegin al centro dell’opera e quindi vedere la realtà con gli occhi di lui, che dopo l’omicidio dell’amico vede tutto nero e così la festa per lui diventa proprio un funerale, anzi il funerale di Lensky, portato via sulle spalle degli inservienti del Principe, in mezzo agli invitati (maschi e femmine) tutti vestiti di nero, come becchini o pipistrelli. Proprio mentre in orchestra esplode la musica della polacca brillante, qui assurta a grottesca marcia funebre! Insomma, Carsen trasferisce il lancinante contrasto: da quello presentato nel libretto, fra la festa spensierata e il cuore desertificato di Onegin; a quello fra cerimonia funebre e musica brillante che l’accompagna.

A proposito della musica della polonaise, ho sempre considerato l’iniziale esposizione del tema principale come un modo escogitato dal compositore per caratterizzare un ambiente da nobiltà parassitaria: insomma un po’ da... sboroni, ecco. Dopo la fanfara introduttiva e l’approccio degli archi, il motivo principale è di 8 battute e viene esposto due volte, prima che subentri un controsoggetto di 10 battute, cui segue la ripresa del tema principale e la coda conclusiva. Orbene, ci si aspetterebbe che le due esposizioni del tema siano sostanzialmente identiche e quindi sfocino entrambe sulla dominante RE. Invece la prima delle due sfocia inaspettatamente un tono sopra (MI, e in minore, tonalità relativa del SOL) con un effetto francamente poco gradevole, che sembra appunto tipico di chi voglia strafare, mettersi in mostra a tutti i costi, insomma fare una vuota ostentazione di ricchezza... (Ben diversa è invece la condotta del walzer che apre il second’atto, in un ambiente genuinamente e simpaticamente campagnolo e provinciale.)
___
James Conlon mostra non solo di conoscere a fondo, ma anche di adorare letteralmente questa partitura, tanta e tale è la cura che mette nel dirigere, quasi prendendo per mano i singoli strumentisti e le voci sul palco. Mai un effetto gratuito, nessuna indebita libertà nella scelta dei tempi, dinamiche mai esasperate, nel pieno rispetto dell’ambientazione sonora che l’Autore volle dare a queste sue scene liriche.

Voci tutte all’altezza, con punte di eccellenza per Markus Werba, un Onegin quasi perfetto, dalla vocalità (per me) appropriata ad un cattivo che però è anche giovane. Benissimo Saimir Pirgu (accolta trionfalmente la sua celebre aria prima del duello). Ottimo anche John Relyea (Gremin) la cui parte è quantitativamente ridotta, ma è fondamentale (forse il parallelo con un Filippo o un Marke è eccessivo, ma insomma...)

Le due sorelle mostrano una grande padronanza e consuetudine con le parti, soprattutto Maria Bayankina è una Tatiana davvero eccellente, capace di immedesimarsi mirabilmente nella ragazza romantica e insieme temeraria (la sua lettera è stata un capolavoro di espressività delle sue passioni) e poi nella rigorosa signora che rispetta fermamente i sacri doveri che la società le impone. Yulia Matochkina le ha fatto da sorellina spensierata e in po’ frivola con buon portamento e bella voce di mezzo.

Discrete le due voci femminili di contorno (Irina Dragoti e Anna Viktorova) cui rimprovero magari un po’ di carenza di... decibel. Efficace e simpatico il Triquet di Andrea Giovannini e oneste le prestazioni degli altri due comprimari, Andrii Ganchuk e Arturo Espinosa.

Benissimo anche il coro di Roberto Gabbiani, che nel second’atto ha pure... ballato. E a proposito di danza, completano il quadro i cinque membri del Corpo di ballo del Teatro, guidati dal coreografo Serge Bennathan.
___
Al termine almeno 10 minuti di applausi equamente distribuiti tra tutti i protagonisti di questo spettacolo che merita proprio di esser visto e goduto (RAI5 lo metterà in onda prossimamente). 

23 febbraio, 2020

Il Turco (svizzero) convince Milano


In un Piermarini non proprio stipato (chissà... lo sbifido virus, si son visti spettatori con tanto di mascherina) la prima del Turco in Italia in salsa svizzera (Fasolis) è passata con un franco successo ed ha così rialzato la media della qualità della stagione scaligera, che un Trovatore-così-così aveva un filino abbassato.

Merito della coppia Fasolis-Andò, che ha confezionato uno spettacolo assai godibile e soprattutto ben equilibrato in tutti i reparti: voci, orchestra, coro e messinscena.

A Fasolis mi sento di rimproverare (ma solo nel primo atto) una certa eccessiva sostenutezza di tempi e alcune sbracature bandistiche (copertura di voci inclusa) che sono per fortuna state corrette dopo l’intervallo: la sua è stata comunque una direzione complessivamente apprezzabile, come pure le scelte filologiche del ripristino delle arie di Narciso del primo atto (Un vago sembiante) di Geronio (Atto II, Se ho da dirla) oltre a quella di Fiorilla che segue la cacciata da casa. Condivisibili i numerosi tagli e taglietti ai sempre noiosi (per noi) recitativi secchi.

Andò ha saputo da parte sua trovare il giusto equilibrio fra le componenti buffe e farsesche dell’opera e i risvolti patetici e pure... filosofici del libretto. In particolare è centrata la figura del Poeta, onnipresente in scena ma sempre in balìa degli avvenimenti che si accavallano sotto i suoi occhi. Azzeccata la scelta di far distruggere, nel finale, i fogli del suo lavoro da parte dei protagonisti della vicenda: un modo efficace per mostrare la loro indipendenza dagli stereotipi che il letterato gli ha cucito addosso.
___
Bene in generale le voci. Mattia Olivieri è un Prosdocimo autorevole, a dispetto della mancanza, nella sua parte, di vere arie: ma i suoi numerosissimi contributi sono stati esposti con voce solida, senza sbavature, e sempre passante su tutta la tessitura. Stesso discorso per il Selim di Alex Esposito, apprezzatissimo dal pubblico anche per le sue note qualità di attore consumato. Il terzo basso, Giulio Mastrototaro, già buon Sciarrone nella Tosca che ha aperto questa stagione, è stato un po’ la rivelazione della serata, con una maiuscola interpretazione del complesso personaggio di Geronio: che lui ha proposto con proprietà di fraseggio e senza facili e farsesche sbracature da macchietta. Andò lo ha fatto pure cantare in platea (che non è proprio il posto migliore per farsi... sentire) ma lui ha superato brillantemente anche questa difficoltà.

Rosa Feola tornava in Scala dopo l’Elisir dello scorso autunno, ed ha confermato quanto di buono emerso allora: la voce è calda e senza sbavature, gli acuti ben portati; forse le note gravi sono da... rendere più udibili, ma poi anche la sua presenza scenica le ha garantito ampi consensi. La parte di Zaida non è certo proibitiva, ma Laura Verrecchia ce l’ha porta con calore e con quel pizzico di patetismo che ben si addice al personaggio.

I due tenori: Edgardo Rocha (Narciso) si conferma in progresso (lo avevo sentito nel ruolo 5 anni fa a Torino, dove non mi aveva proprio entusiasmato, poi meglio aveva fatto due anni dopo qui in una Gazza ladra): voce sottile, ma che riesce a passare anche in un ambiente come quello del Piermarini. Manuel Amati (Albazar) invece, oltre a voce piccina, fa pure fatica a farla arrivare su in loggione, dove la sua Ah, sarebbe troppo dolce si fatica davvero a udirla come si deve.

Si ode invece benissimo, e fin troppo, il coro di Casoni, che travolge, nei pezzi d’insieme, anche le voci dei protagonisti. Sui suoi livelli l’Orchestra, a parte le citate escandescenze impostele da Fasolis.   
___
Roberto Andò - benissimo coadiuvato da Gianni Carluccio per scene-luci e Nanà Cecchi per i costumi - come detto firma una regìa sapiente ed elegante, che il pubblico alla fine ha mostrato di apprezzare assai (che scarto rispetto all’accoglienza riservata al Trovatore di Hermanis!)

La scena è praticamente spoglia, vi trovano posto sporadicamente piccole suppellettili (un divano, un tavolo, sgabelli) tutte rigorosamente dello stesso legno (tinta beige-noisette) del tavolato. Dal quale emergono come dall’aldilà (per poi scomparirvi) attraverso ampie botole i vari personaggi, che altre volte entrano ed escono di scena trascinati da sottili pedane traslanti da sinistra a destra o viceversa. Sul fondo onde di un mare dipinto o una muraglia penetrabile; ai lati e frontalmente scendono e risalgono pannelli raffiguranti interni o esterni di abitazioni; nulla più.

I costumi sono appropriati all’ambientazione dell’opera, tutti assai sgargianti ma raffinati. Le luci ben impiegate, anche a supportare i risvolti psicologici di alcune scene (ad esempio quella del ballo mascherato e del ripudio subito da Fiorilla).

Intelligente e sempre equilibrata la recitazione dei personaggi: niente facili sguaiatezze o cachinni, il tutto sempre mantenuto entro limiti di buongusto, perfettamente appropriati al soggetto agrodolce dell’opera.
___
I definitiva, una proposta che si è meritata i lunghi applausi e le ripetute chiamate che il pubblico ha riservato a ciascuno e a tutti. Tre ore ben spese, se non altro per esorcizzare la psicosi della quarantena (!)

Adesso però mi preparo partire per Roma, dove mi aspetta un Onegin dal quale mi... aspetto molto.

22 febbraio, 2020

laVerdi-19-20 - Concerto n°17


Atteso ritorno in Auditorium di Oleg Caetani, che ci presenta Mozart e Scriabin, in un concerto dall’impaginazione classica: Ouverture, concerto solistico e sinfonia.

La serata si apre con Così fan tutte, l’Ouvertura dell’ultima collaborazione Mozart-DaPonte, un brano di meno i 5 minuti che serve davvero a dare la carica a Orchestra e ascoltatori! Una cascata di crome svolazzanti, che impegnano gli archi ma soprattutto i legni e in particolare ancora le prime parti al flauto, oboe e fagotto (un po’ meno al clarinetto). L’Orchestra è guidata dal concertino Danilo Giust, promosso per Mozart a far da spalla; Caetani lascia briglia sciolta e ne esce uno spumeggiante antipasto che mette tutti (i pochi ma buoni in sala...) di buonumore.  
___
Ancora Mozart e un concerto - il K242 - che pone serie difficoltà esecutive... ma non tanto a chi suona (fu composto per tre dilettanti, una signora e le due figlie...) bensì a chi deve preparare il palco: come sistemare tre pianoforti! Ecco una soluzione con i tre strumenti allineati e senza il podio direttoriale: è Solti che dirige la English Chamber e suona la parte facile (piano-3) con Schiff al piano-1 e Barenboim al 2. Qui da noi invece i tre catafalchi sono stati messi fianco-a-fianco (piano 1 e 3 con tastiera a sinistra per chi guarda) proprio come in questa esecuzione giapponese dove la grande Argerich fa la... piccola al piano-3, lasciando le due parti principali ai figli d’arte del grande Friedrich Gulda: unica differenza la posizione del podio, che in Auditorium è davanti ai tre pianoforti.

I tre pianisti sono Igor Andreev (32enne di Kaliningrad); Hans Hyung-Min Suh (30enne coreano trapiantato in USA, dove ahilui ha anche avuto qualche disavventura... extramusicale) e Lin Ye (28enne cinese ormai di casa in Europa e USA). Furono i tre primi classificati al Concorso pianistico Rina Sala Gallo (Monza, 2018, Vladimir Ashkenazy presidente di giuria) dove suonarono la prova finale proprio con laVerdi.

Pezzo abbastanza facile (credo) da suonare e gradevole da ascoltare, ed esecuzione accolta con calore e ripetute chiamate per i tre giovani pianisti.
___
Dopo un intervallo più lungo del solito (per far scomparire nelle viscere dell’Auditorium i tre pianoforti...) si chiude con la Terza di Scriabin, che l‘immaginifico compositore russo sottotitolò, con impareggiabile modestia (credendosi Dante...) Poema divino! Una delle tappe (con gli altri due poemi-sinfonie, l’Estasi e il Fuoco) verso la fine dell’Umanità e il raggiungimento dell’estasi universale, un progetto da nulla, che per fortuna (o purtroppo, visto che la sua realizzazione avrebbe fermato la storia più di un secolo fa, risparmiando al mondo qualche piccola disgrazia...) rimase in gran parte sulla carta.

Avendo già scritto (denigrazioni incluse, haha...) del Divin poème a suo tempo, non sto qui a ripetermi. Caetani arriva con la bacchetta in una mano e un microfono nell’altra: ma non per spiegarci la sinfonia, bensì per raccontarci aneddoti biografici sull’Autore (evabbè...) L’Orchestra si è ingigantita e vonDellingshausen si è ripreso la sedia del Konzertmeister. Caetani dispone le due arpe alle estremità opposte del palco, per ragioni... stereofoniche; le viole sono al proscenio.

A dispetto dell’indicazione agogica Lento, il maestro parte in quarta, facendo eseguire ai bassi di fiati e archi il motto della Sinfonia a passo di carica! E poi per tutto il tempo non fa che mettere in risalto ogni possibile contrasto. Con ciò rendendo sicuramente più digeribile questa velleitaria mappazza del visionario moscovita.

Il che garantisce sempre un successo travolgente, il cui merito personalmente distribuisco per il 90% alla bravura degli esecutori e del Direttore, lasciando all’Autore le briciole!    

14 febbraio, 2020

laVerdi-19-20 - Concerto n°16


Ben due Requiem nel programma del concerto di questa settimana, diretto dal brillante 34enne Maxime Pascal.

Dapprima il K626 del Teofilo, di cui viene eseguita più o meno la prima metà, cioè fino alla Sequenza. È noto come quest’opera, l’ultima fatica di Mozart prima della prematura scomparsa, sia rimasta non solo incompleta, ma anche assai bistrattata da coloro - la moglie Constanze in primis - che per ragioni poco artistiche, ma assai prosaiche, decisero a tutti i costi di completarla in qualche modo per poi contrabbandarla come farina del sacco del de-cuius, onde incassare i proventi della commissione dal Conte Franz Von Walsegg.

Solo nella seconda metà del ‘900 i musicologi sono riusciti, e nemmeno in modo definitivo, a districarsi nel ginepraio di documenti, testimonianze e leggende metropolitane cresciute attorno all’opera. Oggi possiamo almeno contare su qualche solida base di conoscenza, grazie all’impegno profuso da ormai 140 anni dalla Fondazione del Mozarteum. Che negli ultimi tempi ha meritoriamente messo una gran mole di informazioni e documenti a disposizione del pubblico attraverso il sito DME (Digitale Mozart Edition) e in particolare ha reso universalmente fruibili tutte le partiture (in edizione critica) del Teofilo.

Lo schema sottostante - derivato dai documenti della DME - sintetizza al massimo grado lo stato dell’arte delle conoscenze che possediamo sui contenuti musicali del Requiem:


Come si vede, di Mozart si sono ritrovati i fogli manoscritti (purtroppo inquinati da mani diverse, forse Eybler) delle prime quattro parti, mentre nulla è stato ritrovato delle quattro restanti. Inoltre del Lacrimosa esistono solo le prime 8 misure (fino a Homo reus). A ciò vanno aggiunti due schizzi isolati: 4 battute del Rex tremendae e 16 battute di un Amen fugato, presumibilmente a chiudere la Sequenz. Il suo allievo Joseph Eybler si era per primo cimentato nell’impresa di completare il lavoro, ma aveva abbandonato il tentativo dopo aver strumentato la Sequenz, salvo il Lacrimosa, cui si limitò ad aggiungere due battute. Constanze allora appaltò il completamento ad un altro allievo del marito, Franz Xäver Süssmayr, che aveva avuto modo di intrattenersi sul Requiem con lo stesso Mozart. Costui mise a punto una versione completa dell’opera, impiegando, rielaborando e completando quanto già composto o almeno abbozzato da Mozart (incluse le aggiunte di Eybler) e soprattutto componendo di suo pugno il resto, dal Lacrimosa (battute successive alla 8) e poi dal Sanctus in avanti (per la verità il Communio riprende ampi passi mozartiani di Introitus e Kyrie). È la sua versione quella che da sempre ha portato il Requiem alle orecchie del pubblico.

Negli ultimi tempi si sono moltiplicate le attività di studio e ricerca, che hanno portato alla predisposizione di nuove versioni dell’opera, fra le quali sono da ricordare quella di Clemens Kemme (2009) e la più recente (2013) di Benjamin Gunnar Cohrs.  
___
Nel concerto di questi giorni in Auditorium viene invece eseguita, insieme all’Introitus e al Kyrie, la Sequenz di Eybler, che si chiude sul torso di 8 battute del Lacrimosa, cui l’allievo, come detto, aggiunse timidamente solo 2 battute del soprano, per poi rinunciare a proseguire.

È opinione abbastanza diffusa fra i musicologi che questa versione di Eybler sia esteticamente superiore a quella di Süssmayr. Come esempio pratico si confronti l’inizio del Dies Irae: di seguito sono riportate le prime 9 misure come lasciate da Mozart e le corrispondenti completate da Eybler e Süssmayr:


Mozart ci lasciò la parte vocale, il basso e un abbozzo della parte degli archi (violini primi); proprio nulla di fiati e timpani.


Eybler completa la parte degli archi (violini II e viole) e aggiunge i fiati (corno di bassetto, fagotto e clarino) e i timpani. Si noti in particolare la leggerezza della strumentazione dei fiati.


Süssmayr sembra accogliere alcune aggiunte di Eybler, ma appesantendole (i fiati hanno ad esempio note più lunghe) ma soprattutto aggiunge (qui e in quasi tutti gli altri numeri) i tre tromboni, che imprimono al brano un’impronta piuttosto greve. Il grande Bruno Walter stigmatizzava questa scelta, eccessiva a suo parere, e non la rispettava. Sebbene i tromboni siano tipici strumenti da chiesa, Mozart ne indica esplicitamente ed appropriatamente la presenza solo nel Tuba mirum (trombone tenore). Per il resto li indica nell’Introitus (dove peraltro sono notati soltanto - colla parte - accanto alle voci di Alto, Tenore e Basso) e gli stessi editori della DME non sono affatto certi che quell’indicazione sia necessariamente da estendere (come fa Süssmayr) al resto della composizione. 

Di grande interesse (per me, almeno) è questa esecuzione basata strettamente sul manoscritto originale (con l’aggiunta in coda dello schizzo dell’Amen): perchè ci porta all’orecchio l’intima essenza dell’opera, il suo cuore profondo, la sua metafisica bellezza. 
___
Lo smilzo Pascal dirige senza bacchetta, con ampi gesti delle sue lunghe braccia, e ondeggiando mollemente sulle sue leve da fenicottero. Gli attacchi sono netti, dati tendendo le mani come fendenti indirizzati verso solisti, coro e strumentisti.

E tutti rispondono al meglio: dalle voci ben impostate dei quattro solisti: soprano Minji Kim; alto Solgerd Isalv; tenore Massimo Lombardi e basso Daniele Caputo; a quelle del coro guidato per l’occasione da José Antonio Sainz Alfaro; all’orchestra, doverosamente leggera in quantità (un solo trombone per doppiare le voci nell’Introitus e per le bellissime frasi del Tuba Mirum) e in trasparenza di suono.

Dopo l’ultimo verso dei soprani (Huic ergo parce deus) e anche l’unico ad essere musicato da Eybler, Pascal ottiene un minuto di raccoglimento, prima di abbassare le braccia per meritarsi l’applauso del pubblico.
___
Il secondo Requiem è del 2017! Fu eseguito, domenica 2 luglio, al Festival di Spoleto, che lo aveva commissionato a Silvia Colasanti in ricordo del terribile terremoto che un anno prima aveva sconvolto e distrutto l’Italia centrale.

Si tratta propriamente di un Oratorio, dove al Coro si unisce una voce recitante accompagnata da un bandoneon. La voce (che espone un testo italiano) si alterna alle strofe del Requiem latino, cantate dal coro e dal contralto solista.

Più che un Requiem, è la contestazione del Requiem, così come la tradizione chiesastica ce lo ha tramandato: la voce recitante non per nulla è La dubitante! Che sfida il Coro di chi non dubita. Accompagnandosi al bandoneon, il Respiro della terra. E il contralto, che canta dal Quid sum miser al Cor contritum quasi cinis, gere curam mei finis è il Cuore ridotto in cenere...

Il carattere di laica accettazione della morte, di aspirazione al perdono e al ritorno alla natura eterna (un po’ l’àpeiron degli antichi filosofi greci) è sintetizzato dal sottotitolo dell’opera: Stringeranno nei pugni una cometa, verso del visionario poeta gallese Dylan Thomas, non a caso divenuto famoso per il suo approccio laico e quasi ottimistico al mistero della morte.

In rete si può ascoltare unincisione fatta a Bolzano, e anche qui abbiamo in scena alcuni dei protagonisti della prima esecuzione: il Direttore Pascal, l’autrice dei testi italiani e voce recitante, Mariangela Gualtieri, e il contralto solista, Monica Bacelli. A loro si aggiungono, oltre all’Orchestra, Davide Vendramin al bandoneon e il Coro sinfonico de laVerdi, ancora guidato da José Antonio Sainz Alfaro.  
  
L’opera inizia con un confuso chiacchiericcio, come di qualcuno che recita il Dies Irae in una giornata di pioggia. Poi inizia il canto del Coro di chi non dubita, in un’atmosfera oscillante fra SOL minore e la relativa SIb.

Ora La dubitante, Mariangela Gualtieri, con la sua voce secca e piglio deciso, si rivolge Alle piccole e grandi ombre, accompagnata da suoni dimessi del violoncello (di Tobia Scarpolini) per chiedere per loro non già la pace eterna, ma una vita perenne, qui, in mezzo a noi e alla natura che ci circonda.

Torna il Coro di chi non dubita con il tremendo Dies Irae: qui non c’è musica, ma caos, rumore; le voci espongono i versi recto tono, poi con rapide discese e con accenti quasi di terrore. Si fa largo in orchestra un MI isolato, sul quale le voci intonano stentoreamente il Tuba mirum, poi in aspra dissonanza con un FA, finchè tutto crolla verso il silenzio.

Ancora La dubitante, interrotta da sordi suoni dell’orchestra, che non sa spiegarsi perchè quel Dio tanto invocato resti zitto di fronte a macerie, dolore e pianto: un Dio duro, troppo duro...

Riprende il Coro di chi non dubita con Mors stupebit: l’atmosfera è caratterizzata da un tappeto sonoro aspro (proprio da... stridor di denti) sul quale le voci innestano ora sequenze ascendenti, ora improvvise discese dall’acuto, per sottolineare la tremenda severità del giudizio finale.

Riecco La dubitante, adesso nel totale silenzio di voci e orchestra, manifestare il suo stupore: per quel Giudice supremo che rimane in silenzio di fronte a misfatti compiuti dall’uomo, ma spesso mostra inspiegabilmente la sua mano feroce.

É arrivato il momento del Cuore ridotto in cenere. Ed entra sul palco Monica Bacelli a cantare il Quid sum miser, su una sorta di Sprechgesang. Il Rex tremendae majestatis è invece declamato. Più liriche le due strofe del Recordare e del Quaerens. Dopo uno scabro Juste Judex ecco uno squarcio di grande respiro melodrammatico, una specie di arioso che accompagna le strofe Ingemisco, Qui Mariam e Preces meae. Un ultimo scatto violento (Confutatis maledictis) e poi la chiusa (Oro supplex) di un grande lirismo, un abbandono - in LA minore - nelle mani di Dio (Gere curam mei finis).  

Ora l’orchestra prepara una specie di soffice tappeto sonoro (su un vago RE minore) per supportare una nuova esternazione della Dubitante: che invoca un Dio di amore, che arrivi a portare all’uomo la comprensione e la compassione, la consapevolezza dell’unità dell’Universo, il capire l’insetto e la grandine, l’acqua e il filo d’erba.  

Il Coro di chi non dubita espone ora il Lacrimosa: è la parte femminile a cantare la voce principale, contrappuntata da quella maschile. È un canto appropriatamente lamentoso (vagamente in RE minore) con motivi degradanti, appunto lacrimevoli, che sfocia alla fine su un LA acuto, per l’invocazione alla pietà divina.

Ultimo intervento della Dubitante, accompagnata da discreti e sporadici interventi del bandoneon di Davide Vendramin. È una lacerante confessione di chi riconosce tutte le sue colpe, piccole e grandi, egoismo, narcisismo, individuaismo... ma una su tutte: la disattenzione. Il MI del bandoneon chiude questa accorata esternazione e si prepara ad accompagnare l’ultima parte del Requiem:

il Lux Aeterna del Coro di chi non dubita. Un lungo viaggio in LA minore verso la luce che risplende sul riposo eterno dell’uomo. Un ultimo saluto del bandoneon, poi l’Amen del Coro, in LA maggiore! Lo stesso LA dell’ultimo rintocco di campana.

Qui Pascal e tutto il coro rimangono a braccia alzate al cielo e impiegano, per abbassarle, non meno di 120 secondi, in un religioso silenzio carico di tensione. Poi sei minuti ininterrotti di applausi, dapprima sobri e contenuti, quindi sempre più forti e accompagnati da ovazioni per tutti, compresa l’Autrice, salita sul palco ad abbracciare gli altri protagonisti di questo indimenticabile appuntamento.

11 febbraio, 2020

Inbal e Bruckner alla Scala


Ieri sera il venerabile Eliahu Inbal (ne fa 84 domenica prossima!) si è cimentato per la seconda volta nella settimana con la Quinta di Bruckner, in un concerto della Stagione sinfonica.

Ormai è troppo tardi. Potrò solo accumulare debiti su debiti e finirò per poter gustare i frutti del mio lavoro solo in prigione, ruminando soprattutto sulla stoltezza della mia decisione di trasferirmi a Vienna. Sono stato privato di almeno 1.000 fiorini all’anno, e in cambio non ho ricevuto nulla, nemmeno uno stipendio. Non riesco neanche a far copiare la mia Quarta Sinfonia. 

Si stenta a credere che un uomo ridotto in tale stato di prostrazione, poche ore dopo aver scritto quella disperata confessione si sia messo a comporre l'Adagio della Quinta Sinfonia! Era il 13 febbraio 1875 e, due anni dopo, la più mastodontica (con l’Ottava) delle sue opere era compiuta. Per poi restare chiusa in un cassetto dal quale venir riesumata dopo ben 15 anni! Il riesumatore (Schalk) nella sua edizione del 1896 non perse il vizietto di metterci (o toglierci!) del suo, così si è dovuto attendere il ‘900 inoltrato per disporrre, grazie ad Haas e Nowak, di una versione plausibilmente più vicina ai manoscritti originali dell’Autore.

Si usa dire che le Sinfonie di Bruckner siano vere e proprie cattedrali in musica: e questa Quinta sembra proprio la materializzazione del concetto. Qui alcune mie brevi note illustrative scritte in occasione di un concerto de laVerdi.

Chi vuol penetrare alcune meraviglie di quest’opera può farlo attraverso questo video, che contiene una fulminante analisi (una specie di esplorazione attraverso una sonda delle radici della musica...) del colossale quarto movimento della Sinfonia. La cui fuga centrale è degna di stare al confronto delle più alte vette raggiunte dall’arte bachiana!

Ecco come interpretava la Sinfonia il 50enne Inbal:


Molto distante da approcci più pesanti (nel bene e nel male?) di colleghi quali il Celibidache del 1985; o il Thielemann del 2005; o anche il Karajan del 1976. E più vicino all’Abbado del 1995 o al Blomstedt del 2017...     

Devo dire che ancor oggi Inbal conserva la stessa verve di allora, sia nella scelta dei tempi (mai troppo strascicati, nemmeno negli Adagio dove altri si... adagiano - per me - un po’ troppo) che lui deve avere a livello di orologio interno; e nella sobrietà delle dinamiche, sempre controllate e mai debordanti, volte ad ottenere sempre la massima trasparenza del suono, evitando le trappole dei pieni che spesso si trasformano in blob magmatici e informi. Insomma, la sua è una direzione che ci restituisce il meglio di questo Bruckner complesso e difficile.

Pubblico (ahinoi) non oceanico, ma prodigo di applausi per strumentisti e Direttore. Il quale, dopo aver dato il giusto riconoscimento ad ogni prima parte e sezione dell’orchestra, alla terza chiamata, con grande sobrietà, si è portato via tutti. Venerdi 14 terza ed ultima serata, chi può non se la lasci scappare!