È in
arrivo alla Scala l’opera che proprio qui, nel
lontano 1827, lanciò un giovane catanese di belle speranze, tale Vincenzo Bellini, nel gran mondo del
melodramma: era la sua terza fatica, dopo DiMaioAdelson&Salvini
e Bianca&Gernando. Opera che non
si rappresenta al Piermarini da più di 60 anni (fu nel maggio 1958 con un cast
- per quei tempi - stellare: Corelli,
Callas e Bastianini).
Il
soggetto, mutuato da un lavoro francese, a sua volta ripreso dall’originale
albionico (storie del pirata Bertram)
si muove in uno scenario pseudo-storico: la Sicilia del 1200 (quella, per
intenderci, dei Vespri...) contesa
fra gli Angiò (che avevano scacciato
gli Svevi di Manfredi) e gli Aragonesi. Ma questo scenario resta del
tutto sullo sfondo, essendo il libretto incentrato sulla vicenda sentimentale
che coinvolge il classico triangolo tenore-soprano-baritono. Vicenda della
quale l’opera presenta soltanto il tragico epilogo (tutti e tre i vertici del triangolo passano, più o meno, a miglior
vita) che matura in soli due giorni separati da una notte. Per meglio orientare
lo spettatore, che potrebbe capire ben poco della trama dalla semplice lettura
dei versi cantati, il librettista Felice
Romani li corredò di un Avvertimento,
premesso in calce al testo dell’opera (pag.4) in cui
vengono presentati gli antefatti (pseudo-)storici, oltre che sentimentali dell’azione.
Azione
che non scarseggia di sicuro, a cominciare da un mezzo-naufragio cui assiste
sgomento il coro (si anticipa qui l’incipit di Otello); il puro caso - che
determina il 90% di ciò che avviene nei libretti dei melodrammi - fa sì che lo
sconfitto Gualtiero approdi precisamente a casa del suo acerrimo rivale,
Ernesto. Chissà come, in quella casa c’è anche la sua amata, Imogene. Che lui
crede ancora illibata, e invece scopre che si è venduta proprio ad Ernesto
(sotto ricatto, per la verità). Così se la prende pure con la poverina, che
ancora lo ama, ma il suo assurdo atteggiamento comincia a far maturare in lei i
segni della pazzia che la coglierà alla fine. Sbollita l’ira verso la donna,
Gualtiero le propone di fuggire con lui, ma Imogene, per amore del figlio e
rispetto del (pur non amato) consorte, rifiuta.
Così,
dopo la scena del trionfo decretato per il vincitore Ernesto, ecco
l’inevitabile scontro fra i due rivali, che vede soccombere il duca padrone di
casa e che costa a Gualtiero una condanna a morte. La bella Imogene, perso il
marito e in procinto di perdere pure l’amante, dà fuori di matto. E qui finisce,
con la sua celebre aria (Col sorriso d’innocenza) l’opera come la si
vedrà nei prossimi giorni.
Ignoranza
scongiurata invece nel finale originario, dove alla scena suddetta seguiva
quella del suicidio di Gualtiero (che pure i compagni pirati erano arrivati per
liberare, aprendogli quindi la prospettiva di godersi finalmente la sua - pur usata - Imogene) e il tracollo di lei
fra le braccia delle sue dame. Di certo una conclusione più compiuta del
dramma, ma che - dopo la spettacolare aria della protagonista - appare quasi un
passo indietro, una debolezza proprio dal punto di vista musicale (e così dovette
apparire allo stesso Bellini). Di tanto in tanto il finale originario viene
riproposto, come in questa
edizione del 2003, protagonisti Nelly
Miricioiu e Stefano Secco con
l’orchestra del Concertgebouw diretta
da Giuliano Carella: eccolo qui, a partire dalla chiusa
dell’aria di Imogene (Oh sole! Ti vela di tenebre oscure...) accolta
da fragorosi applausi (sui quali normalmente cala il sipario) che tuttavia si
devono spegnere per far posto (a 2’28”) ad altri 3 minuti scarsi di
musica, francamente discutibili.
Appuntamento a venerdi 29, ore 20, su Radio3, per la trasmissione in diretta della prima.
Appuntamento a venerdi 29, ore 20, su Radio3, per la trasmissione in diretta della prima.
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