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22 giugno, 2018

Fidelio redivivo alla Scala


La produzione che aprì a SantAmbrogio la stagione 14-15 viene ripresa in questo periodo alla Scala: dove ieri è andata in scena la seconda recita di Fidelio. Immutata ovviamente la regìa della Warner, che compie 17 anni (la regìa, of course...) mentre è tutto cambiato nei protagonisti canori e nella guida musicale. Sulla messinscena mi limito quindi a link-are il mio commento di allora, non avendo nulla da aggiungere o emendare; mentre ovviamente sarà da articolare diversamente, rispetto ad allora, il giudizio sulla resa musicale.

Parto da un’osservazione riguardo la scelta dell’Ouverture: Barenboim ai tempi aveva - scelleratamente, per me - rispolverato la Leonore 2, in base a considerazioni francamente peregrine e tipiche di chi vuol entrare nel Guinness-dei-primati in fatto di bizzarrìe. Orbene, l’ascetico Chung ha deciso diversamente, rimpiazzando la Leonore 2 con la più celebre (perchè immensamente migliore!) Leonore 3. Il che però rappresenta solo un mezzo passo in avanti: pochè si tratta pur sempre di un travisamento bello e buono della definitiva volontà di Beethoven, che compose l’Ouverture Fidelio e mai più tornò sui suoi passi, anche perchè l’opera, con quell’Ouverture, è entrata a pieno titolo nella storia della musica, prima ancora che nel repertorio di tutti i teatri del pianeta. Insomma, da Chung mi sarei aspettato più... rispetto, ecco.

A parte ciò, il Maestro coreano ha confermato tutta la sua classe, con una lettura ispirata, anche se non scevra (per i miei gusti) da taluni eccessi di sostenutezza che avevano caratterizzato anche quella di Barenboim. Da incorniciare comunque proprio due momenti di sospensione attonita dell’atmosfera: il quartetto del primo atto (Mir ist so wunderbar) e l’estatico passaggio del finale (O Gott! Welch’ ein Augenblick!) da far venire il magone. Ma tutto è stato degnamente proposto, dal coro dei prigionieri alla rabbrividente introduzione allo sfogo di Florestan, dalle violente esternazioni di Pizarro alle paternali di Rocco. Qualche riserva l’avrei proprio sull’Ouverture, dove il bilanciamento archi-ottoni mi è parso carente (a tutto sfavore dei primi). Per il resto l’Orchestra ha risposto bene, e come e meglio di lei ha fatto il Coro di Casoni, che è chiamato a finezze celestiali (nel primo atto) e poi a impervie scalate da sesto grado superiore nel finale, non meno impegnativo di quello dell’An die Freude.  

Note così-così sul fronte delle voci. La protagonista Leonore/Fidelio, Ricarda Merbeth, che avevo ascoltato a Torino nello stesso ruolo nel 2011, purtroppo non mi pare abbia fatto progressi da allora; e se sette anni fa era promettente, oggi, ahilei, sta cominciando a deludere: centri e gravi poco udibili e acuti sbracati, stessa impressione fattami un anno fa sempre a Torino in Isolde. Il suo marito salvato Florestan, al secolo Stuart Skelton mi ricorda (per l’origine australiana e il fisico, ma un po’ anche nella voce) tale Ian Storey che proprio a Torino aveva dignitosamente affiancato la Merbeth. Ieri si è onorevolmente guadagnato la pagnotta (quella che gli porta Leonore giù nella cisterna, perlomeno...)

Passabili i due personaggi leggeri dell’opera: la Marzelline di Eva Liebau, cui fanno difetto un po’ di decibel nell’ottava bassa, e il patetico Jaquino di Martin Piskorski, voce squillante e ben impostata. Il Rocco di Stephen Milling se la cava discretamente, facendo sempre emergere la sua voce autorevole in ogni circostanza (leggi: aria, terzetti, quartetti e concertati). Alla sua altezza anche il Pizarro di Luca Pisaroni: il basso-baritono venezuelano interpreta abbastanza efficacemente il ruolo del cattivone di turno, cui forse musicalmente fa proprio difetto un po’ di cattiveria in più...

Onesta la prestazione di Martin Gantner (il Ministro salvatore) e degne di menzione le brevi apparizioni solistiche dei due membri del Coro scaligero, il tenore Giuseppe Bellanca e il baritono Massimo Pagano

Che dire in conclusione? Qualcosa di meglio rispetto a 4 anni fa, ma niente da ricordare negli annali, ecco. Altra nota dolente: il teatro con vistosissimi vuoti. Per contro i rari-nantes non hanno fatto mancare applausi per tutti.

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