Herbert Blomstedt, 91 anni fra 20 giorni,
è salito questa sera sul podio del Piermarini per dirigervi la Nona mahleriana (repliche sabato
e domenica, che suggerisco ai distratti di far carte false pur di non perdersele...)
Forse
nessuno può interpretare lo spirito e l’interno programma dell’ultimo lascito
di Mahler meglio di chi è sopravvissuto di 40 anni (per ora... non mettiamo
limiti alla provvidenza) rispetto all’età che aveva l’Autore alla sua morte. Perchè
questo venerabile svedese (nato peraltro nel Massachussets poco prima della
crisi del ’29) ne ha potuto metabolizzare al massimo i contenuti e i tesori
nascosti: consiglio a tutti di ascoltare questa sua intervista su Mahler
(con divagazioni su Bruckner e Sibelius... dove il nostro ne ha per molti,
persino per uno dei suoi maestri, Lenny Bernstein) che è rivelatrice del suo approccio,
oltre che delle circostanze che lo avvicinarono - proprio all’età in cui Mahler aveva
da poco completato la Nona - al compositore boemo.
L’allampanato Herbert dimostra si e no
due terzi della sua età, da come si muove fuori dal podio. Sopra il quale invece
riduce i movimenti all’essenziale: niente bacchetta, ma le lunghissime dita
fanno delle sue mani due affilate spade che fendono l’aria dettando tempo e attacchi
con infallibile precisione. Il suo sarà pure un gesto antiquato, ma anche un
profano capisce se ciò che si suona è in 4 o in 3, perbacco!
Quanto alla lettura di questo autentico
testamento in musica (per me paragonabile ad altri testamenti, dalla bachiana Die Kunst der Fuge, passando per il Requiem mozartiano, la beethoveniana Große Fuge, la Nona di Bruckner...) essa ha la nordica
freddezza di chi cerca la verità nelle note e non nella biografia dell’Autore.
Ma è la stessa freddezza del ghiaccio secco che, posto repentinamente a
contatto con la pelle, te la brucia più che se fosse un tizzone ardente.
Difficile descrivere o esprimere ciò che
si prova di fronte a musica che è un vero distillato di suoni che paiono
provenire da spazi siderali (l’aldilà?) o che torturano la tonalità fino quasi
a stravolgerla, ma senza mai rinnegarla. L’addio alla vita e/o l’addio ad una
musica che dopo tre secoli sembrava (apparentemente) arrivata al capolinea?
Ciascuno può sentirci cose diverse e tutte plausibili, Blomstedt probabilmente
si schiera con la seconda interpretazione (lui del resto ammette di nascere con
Bach) ma il risultato della sua lettura si colloca sulle più alte vette dell’interpretazione
musicale.
Un altro nordico, Salonen,
allora ben più giovane di Blomstedt, aveva diretto qui nel Piermarini la stessa
opera più di 8 anni fa, lasciandomi un ricordo indelebile, pari a quello legato
alla visita di Abbado
a Firenze a fine 2011. Ecco, tra le diverse ascoltate dal vivo, mi piace
accomunare queste tre interpretazioni, ciascuna con le sue diversità e
peculiarità, ma tutte approdate ad un unico risultato: l’indicibile emozione
che si prova ascoltando questi suoni.
Inutile dire del grandioso trionfo che
il pubblico ha decretato per Direttore e strumentisti. Ripeto: chi appena può,
non perda una delle due prossime repliche.
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