Zhang Xian torna a
guidare laVERDI in un concerto di impaginazione piuttosto insolita: si parte dal romantico Schumann di
metà ‘800, poi si sfiora il tardo-romantico Goldmark di fine secolo per
chiudere in pieno ‘900 con Malipiero. Credo che chiunque avrebbe precisamente
invertito l’ordine dei brani, lasciando per ultimo il cosiddetto piatto forte: così invece si è quasi
voluta far toccare con... orecchio l’idea (magari sbagliata, ma diffusa) che la
qualità della musica, dopo i fasti ottocenteschi, sia andata progressivamente
degradando. Sia detto ciò con tutto il rispetto per Malipiero, sulle cui
capacità e sul cui entusiasmo non v‘è da dubitare, ma insomma: al cospetto del
grande Robert, ehm. Chissà poi se c’è un nesso causa-effetto fra il programma,
diciamo, bizzarro e l’affluenza del pubblico, che non ha riempito per più del
60% le poltrone dell’Auditorium...
C’è anche un labile
filo, come dire, stagionale a legare le tre composizioni: le prime due ispirate
più o meno precisamente alla primavera e la terza alle quattro stagioni.
Si comincia
quindi con la Prima di Schumann, che la Xian, forse per
allinearla in durata alle altre due composizioni, comprime al massimo, evitando
i ritornelli principali (dei due movimenti esterni, in forma-sonata). In più,
mette a fondo scala la manopola del volume e così ne esce una cosa di grande
effetto sì, pari però alla grossolanità, il che non rende un buon servigio a
Schumann. L’unica nota positiva sono, al solito, i bravissimi ragazzi che non sbagliano
un passaggio che è uno. Ma (per me, almeno) non basta.
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Ecco poi Im Frühling di Karl Goldmark, già presentato qui da Bignamini poco più di un anno fa. Con
una battuta di bassa lega si potrebbe dire che, volendo proprio proporre un
brano primaverile, assai meglio
avrebbe figurato, per dire, Frühlingstimmen,
che almeno è un gran bel walzer del sommo Johann Strauss. Insomma, qui mi pare
che siamo al velleitarismo allo stato puro: una mappazza dolciastra che (almeno
a me personalmente) non desta alcun particolare moto dell’animo, ecco.
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Gian
Francesco Malipiero
era dichiaratamente avverso alle forme classiche, così compose... sinfonie e
concerti a profusione! Ma si tratta di veri e propri equivoci programmatici,
essendo quasi sempre opere costruite con il metodo del Durchkomponieren, dove in sostanza una nota tira l’altra quasi senza
alcun rimando tematico o strutturale, ma giustificata solo dall’ispirazione del
momento. Quindi soltanto dei titoli appiccicati dall’esterno ci guidano a
cercare riferimenti concreti nella narrativa. Che i quattro movimenti di questa
sedicente sinfonia rappresentino le stagioni
ce lo dice il sottotitolo dell’opera, altrimenti ciascuno di noi potrebbe
pensare a qualunque altro soggetto, o semplicemente... a nulla!
Dopodichè ammettiamo trattarsi di musica
che si lascia ascoltare piacevolmente, per carità, solo che alla fine uno si
chiede inevitabilmente: ma il concerto finisce così? Insomma, è come se ad un
pranzo ti servissero come primo una faraona arrosto e poi, dopo un sorbettino,
un’acciuga di falstaffiana memoria, e chiusa lì (!?)
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