Ieri sera chi
non stava seduto su una poltrona del Regio
torinese ha avuto la possibilità di vedere (o solo ascoltare) su RAI5 o Radio3 La donna serpente di Alfredo Casella (il cui spunto, come si sa, è il famoso testo
gozziano che già aveva ispirato un giovane musicista poi diventato qualcuno:
Richard Wagner, con le sue Feen).
Un’opera il cui soggetto è per Casella poco più che il pretesto per scatenare fantasia e ispirazione musicali; una lunga serie di avvenimenti (naturalistici o magici), di situazioni sorprendenti e di stati d’animo i più diversi (di protagonisti principali e maschere) che il compositore sembra divertirsi ad evocare musicalmente con un approccio neoclassico, lontano dalle seriosità del melodramma tradizionale ottocentesco e lontanissimo dagli eccessi del verismo. Siamo insomma esteticamente più vicini a Händel (il barocco magico) e magari a Mozart (la Zauberflöte) che non a Verdi o a Mascagni.
Un’opera il cui soggetto è per Casella poco più che il pretesto per scatenare fantasia e ispirazione musicali; una lunga serie di avvenimenti (naturalistici o magici), di situazioni sorprendenti e di stati d’animo i più diversi (di protagonisti principali e maschere) che il compositore sembra divertirsi ad evocare musicalmente con un approccio neoclassico, lontano dalle seriosità del melodramma tradizionale ottocentesco e lontanissimo dagli eccessi del verismo. Siamo insomma esteticamente più vicini a Händel (il barocco magico) e magari a Mozart (la Zauberflöte) che non a Verdi o a Mascagni.
I numerosi interludi e intermezzi strumentali
disseminati nell’opera testimoniano ulteriormente dell’attitudine di Casella
verso la musica pura, magari da associare alla danza, più che al canto. E
proprio della danza Arturo Cirillo ha
fatto ampio uso nel suo allestimento (coreografie di Riccardo Olivier e danzatori della Fattoria Vittadini) per arricchire di contenuti visivi (grazie
anche ai colori dei costumi di Gianluca
Falaschi e alle luci di Giuseppe Calabrò)
la musica di Casella.
Il cast vocale mi è parso all’altezza e Noseda ha mostrato di padroneggiare benissimo questa difficile
partitura, il cui oblio a me sembra francamente immeritato e che il Regio ha fatto
bene a riproporre (dopodichè sarebbe comunque azzardato attribuirle lo status di capolavoro, che non è di sicuro). Rimando ovviamente una
valutazione più approfondita a dopo l’ascolto-visione dal vivo.
(2. continua)
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