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20 aprile, 2016

laVERDI fa teatro con Michieletto

 

Ieri sera il Piccolo Teatro di Milano – a 60 anni di distanza dalle storiche rappresentazioni di Strehler – ha tenuto a battesimo la prima delle ben 44 recite di Die Dreigroschenoper (L’opera da tre soldi, presentata nella traduzione italiana di Roberto Menin) di Brecht-Weill e messa in scena da Damiano Michieletto. In buca elementi dell’Orchestraverdi e sul podio uno dei suoi Direttori quasi stabili, Giuseppe Grazioli.

Teatro affollatissimo (con balconata presa d’assalto da adolescenti, il che è un gran bel segno) e a lungo plaudente per l’intera compagnia, interpreti, musicisti e regia.

Sul piano musicale la dozzina di strumentisti (fiati, tastiere e percussioni) de laVERDI sotto la direzione di Grazioli ha svolto efficacemente il suo compito di supporto alle canzoni e ballate che costellano questo particolare Singspiel, dove le parti recitate hanno un peso preponderante su quelle musicate. E forse per questa ragione, dato che il corposo testo di Brecht è stato impiegato in larghissima misura (pochi i tagli o le variazioni) si è deciso di impiegare più attori-cantanti che cantanti-attori. Di conseguenza sarebbe ingeneroso mettersi a giudicare gli interpreti sotto il piano puramente musicale. L’importante è che tutti abbiano fatto del loro meglio per rendere godibilissimo lo spettacolo. Mi limito a citare un nome per tutti: l’impareggiabile Peachum di Peppe Servillo.

Michieletto – che viene dal teatro di prosa, conviene ricordarlo – ha impiegato la sua fantasia per dare all’opera un tocco di attualità, prendendosi quindi qualche libertà rispetto al testo originale.

Le scene di Paolo Fantin hanno come base costante l’aula-bunker di un tribunale (il processo a Mackie) dentro la quale vengono rivissute le vicende dell’opera come fossero deposizioni di testimoni: la cosa può forse rischiare di apparire monotona tanto che, per movimentare la scena, le varie suppellettili (scranno del giudice, tribunetta della giuria popolare e banchetti degli imputati) sono montate su rotelle per poter essere facilmente spostate quà e là. Efficaci i costumi di Carla Teti e le luci di Alessandro Carletti. Chiara Vecchi è responsabile delle coreografie che movimentano alcune scene dell’opera.

Dicevo delle libertà che si è preso Michieletto, intese a dare qualche tocco di contemporaneità alla storia, di per sé sempre attuale, di Brecht. Cito come esempio la scena - terzo atto, invero di grandissimo impatto - dei mendicanti di Peachum che vengono presentati come moderni migranti naufraghi a cui poi vengono a mancare anche i giubbetti arancione di galleggiamento, facendoli colare a picco. E soprattutto il finale, dove il regista è quasi più brechtiano di Brecht: presentandoci la mancata esecuzione capitale di Mackie come effetto della corruzione dei magistrati (con una gran nuvola di banconote sparate fuori dalla classica 24ore-da-mazzette) prima ancora che dall’insperata grazia concessa dalla corona britannica. Ma nel complesso mi sentirei di giudicare l’allestimento fra il buono e l’ottimo.

In conclusione, una proposta che fa onore al teatro che fu dei grandi Giorgio Strehler e Paolo Grassi.

2 commenti:

Amfortas ha detto...

Ecco uno spettacolo che vorrei vedere a Trieste, dopo l'allestimento faraonico di qualche anno fa. Mi consolerò con l'ennesima Bohème e - per fortuna - con La Favorite nell'orrida Venezia. Ciao!

daland ha detto...

@Amfortas
Beh, hai ancora 43 possibilità per una gita nell'orrida (!) Milano...
Invece, anch'io sarò nell'ottima (!) Venezia per Donizetti.
Ciao!