Ieri pomeriggio
al Regio torinese seconda de La donna serpente di Alfredo Casella. Teatro piacevolmente
affollato, con buona presenza di ragazzi, che già avevano mostrato interesse
per l’altra favola in musica programmata a inizio anno, La piccola volpe astuta.
La positiva
impressione suscitata (per quanto mi riguarda, perlomeno) dalla visione in TV
della prima di giovedi scorso è stata confermata in pieno. A partire
dall’allestimento di Arturo Cirillo,
che ha optato per scene (di Dario Gessati)
assai stilizzate e minimaliste, quindi poco rispettose, se si vuole, delle
favolistiche didascalie del librettista Lodovici,
ma concentrando i caratteri fiabeschi del soggetto nei bellissimi costumi di Gianluca Falaschi e nelle luci assai
efficaci di Giuseppe Calabrò.
A proposito di
costumi, intelligente è aver rivestito le quattro maschere con quelli della
tradizione veneziana (Pantalone, Brighella, Truffaldino e Tartaglia) anche se
Lodovici, per accentuare l’ambientazione
caucasica del racconto di Gozzi ne ha islamizzato
i nomi in Pantul, Albrigor, Alditruf e Tartagil (i primi due in Gozzi parlano
in dialetto veneto, oltretutto...)
Cirillo opta per una totale glasnost
(trasparenza) consistente nel mettere in mostra, davanti agli occhi dello
spettatore, anche scene o personaggi che il libretto prescriverebbe di celare
agli sguardi del pubblico. Ciò accade in special modo nell’atto conclusivo, a
partire proprio dall’inizio, preludio strumentale e aria di Miranda (la
leopardiana Vaghe stelle dell’Orsa): che
si dovrebbero ascoltare a sipario chiuso e nella più totale oscurità, per
evidenti ragioni di ambientazione (l’impenetrabile dimora di un rettile) e per
non dover mostrare un serpente che canta! Invece Cirillo fa esibire durante il
preludio la bravissima e sinuosa danzatrice Vilma
Trevisan e poi ci mostra Carmela
Remigio che canta la sua struggente aria mirabilmente abbigliata con uno
dei costumi di Falaschi.
Più avanti, mentre si prepara la tenzone fra Re Altidor e i tre mostri, è
previsto un breve siparietto di cui sono protagonisti il Re delle fate
(Demogorgon, padre di Miranda) e il mago Geonca (protettore di Altidor). Il
libretto prevede espressamente che i due non si vedano, ma cantino stando
dietro le quinte; non solo, ma la loro voce dovrebbe arrivare in sala
attraverso forti altoparlanti
elettrodinamici (da qui l’indicazione: duetto
degli altoparlanti!) È una più o meno voluta imitazione del vocione di
Fafner che nel Siegfried si deve udire attraverso un megafono, per dare
l’impressione di cavernosità e lontananza delle voci. Ecco, Cirillo fa invece entrare
sul palco i due personaggi e li fa cantare al naturale, senza megafoni di
sorta.
Infine, anche l’ingresso di Togrul con i due figlioletti di Altidor
dovrebbe avvenire dopo che la voce del Visir
si è udita da dietro le quinte: qui invece lui canta dopo essere ben entrato in
scena. Beh, non mi sentirei francamente di censurare più di tanto queste scelte
del regista (che ci ha anche risparmiato il passaggio della distruzione del
sepolcro del serpente-Miranda e della sua riduzione in cenere).
Casella ha infarcito l’opera di passaggi puramente strumentali -
formalmente motivati dalla necessità di coprire complicati cambi di scena - ma
che a lui risultavano oltremodo congeniali, date le sue attitudini di musicista puro. Qualche esempio: il
lungo interludio che separa il Prologo dall’inizio dell’Atto I (e che ha quasi
una funzione di ouverture) dovrebbe
permettere di sostituire la lussureggiante scenografia iniziale del mondo delle
Fate con quella orrida e selvaggia del deserto in cui troveremo Albrigor e
Alditruf. Oppure, nell’Atto I, la scena del sonno di Altidor, con la bellissima
berceuse. O ancora, nell’Atto II, la
transizione verso la scena IV (a Teflis) con la marcia delle amazzoni. Ecco,
avendo Cirillo di fatto eliminato la necessità di complicati cambi di scena, ha
avuto l’idea vincente di riempire gli spazi puramente sonori della partitura con
le coreografie di Riccardo Olivier e
i quattro danzatori della Fattoria
Vittadini, più 10 mimi impiegati in funzione di... fate-maschio (= fati!) in ciò rifacendosi alla tradizione dell’opera
barocca, tanto cara al compositore.
A proposito di mimi, Intelligente (e didascalico) anche l’impiego di due
di loro in veste di marionette manovrate dalle due maschere per rappresentare i
travestimenti Pantul-Checsaia e Togrul-Altamuc nella quarta scena dell’Atto I.
Simpatica anche la resa dell’inizio della scena
magica (terza dell’Atto I) dove Togrul e Tartagil invece che calare dall’alto
in groppa a due grosse libellule arrivano su due trabiccoli multicolori spinti
da due mimi.
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Ma il tutto è assai funzionale alla narrazione
musicale di Casella, della quale si fanno carico Gianandrea Noseda, gli orchestrali e le voci. Il Maestro sciorina
la sua grande dimestichezza con la musica di Casella e non lascia mai cadere la
tensione (perdonabile qualche eccesso di decibel)
e mette benissimo in risalto tutte le scoppiettanti idee musicali che
costellano la partitura, benissimo assecondato da un’Orchestra in stato di
grazia.
Sul fronte voci, un encomio si merita subito il coro di Claudio Fenoglio, impegnato a pieno organico
in passaggi di notevole difficoltà ed effetto (Atto III) ma anche a piccoli
gruppi in scene di grande lirismo (ad esempio: le Nutrici...)
Tutto il cast mi è parso offrire una prestazione rimarchevole, a partire
dalla protagonista Carmela Remigio, perfettamente calatasi nella parte di
Miranda: prestazione che ha avuto ovviamente il suo apice nella difficile
quanto commovente aria del serpente.
Accanto a lei, ottimo Piero Pretti, voce squillante e sempre ben intonata,
capace di sovrastare anche i fracassi orchestrali, ma efficace anche nelle tante
espressioni di puro lirismo che caratterizzano la parte.
Le due guerriere Armilla e Canzade sono splendidamente impersonate da Erika Grimaldi, che ha esibito una bellissima
voce da soprano drammatico, e da Anna
Maria Chiuri, autorevole in tutta la non facile tessitura. Metterei appena
un filino sotto la prestazione di Francesca
Sassu (la sbifida fata Farzana) che ha esibito qualche urlo di troppo sugli
acuti.
Bravi tutti i quattro interpreti delle maschere, Francesco Marsiglia, Marco
Filippo Romano, Fabrizio Paesano
e Roberto de Candia. A quest’ultimo
darei la palma di primus-inter-pares...
Ottimo mi è parso Fabrizio Beggi, in
specie nelle accorate esternazioni verso i due pargoletti di Miranda. Sebastian Catana ed Emilio Marcucci hanno avuto, come detto, il privilegio di cantare al naturale e senza amplificazione, il
che gli ha consentito di esibire voci robuste e ben adatte ai ruoli (Demogorgon
e Geonca).
Ma bene hanno operato anche tutti gli altri interpreti minori, dando il
loro valido contributo alla notevole resa complessiva dello spettacolo.
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Interessante la
mostra allestita nel foyer Toro del
Teatro, che ripercorre la vita di Casella attraverso preziosi reperti fotografici e
testuali che testimoniano dell’apprezzamento che l’intero mondo musicale della prima metà del ‘900 mostrò per questo musicista autenticamente europeo. Apprezzabile anche l’iniziativa del teatro di allegare
(senza sovrapprezzo) al programma di sala un doppio CD con interpretazioni
caselliane di Noseda (le 3 sinfonie e
frammenti sinfonici da La donna serpente)
con i suoi ex- della BBC Philharmonic.
Insomma, direi che questo revival di Casella sia da applaudire –
come ha fatto ieri il pubblico - senza condizioni.
(3. fine)
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