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27 aprile, 2016

In attesa della cieca di Firenze (2)

 

Domani il MMF si appresta alla prima di Iolanta di Ciajkovski. Dopo aver esplorato le origini dell’opera e le caratteristiche del soggetto (anche per differenza dal lavoro ispiratore di Hertz) passiamo ora a qualche nota relativa alla struttura e al contenuto musicale dell’opera.

Introduzione strumentaleAndante, quasi Adagio. Suonano solo i fiati, la tonalità è piuttosto ambigua e l’atmosfera assai lugubre, poichè lo scenario – al di là delle apparenze esteriori - non è dei più sereni: il corno inglese espone una cupa melodia stagnante, che poi si anima con veloci biscrome ascendenti anche dei flauti e discendenti di clarinetti e fagotti, subito sostenuti dall’intervento dei corni che appaiano le semicrome di clarinetto e fagotti. Poco dopo un’ulteriore animazione porta a veloci volate di biscrome per terze (flauti) e seste (oboi) che si interrompono per lasciare spazio a un ondeggiare dei clarinetti sul quale ancora il corno inglese ripete incisi degradanti, fino allo spegnersi del preludio sul DO-RE-LA di corni e fagotti, accordo di dominante del SOL maggiore che caratterizzerà la scena iniziale.

Le prime tre scene sono ambientate nel lussureggiante giardino-frutteto della dimora dove è ospitata fin quasi dalla nascita Iolanta, circondata dalle cure premurose della governante Marta, da due ancelle (Brigitta e Laura) e da uno stuolo di altre giovani donne.

Scena 1 - Andante semplice. Sugli arpeggi in terzine dell’arpa, violini I-II, viole e violoncelli divisi (rappresentano i quattro suonatori indicati nel libretto) espongono una dolce e cullante melodia, sulla quale udiamo le prime esternazioni di Iolanta, cui la prigione dorata in cui vive da sempre comincia a ingenerare ansia e insoddisfazione. Espresse mirabilmente nell’arioso Otchego 'eto prezhde ne znala (Perché mai nell'albor della vita) un Larghetto, a tempo molto rubato che ha mutato la tonalità dal maggiore al SOL minore, per sottolineare lo scarto fra la (fin eccessivamente) idilliaca atmosfera esteriore e l’intimo travaglio della ragazza. Torna però il SOL maggiore sull’ultima delle quattro strofe, Otchego `eto nochi molchan’e (Perché mai il freddo e il silenzio) in cui Iolanta sfoga tutto il suo disagio, prima di ripetere più volte: perchè?

Scena 2 - Adagio con moto. Marta è incapace di dare risposte al disagio di Iolanta, così ecco arrivare un Allegro in LA maggiore, il cosiddetto coro dei fiori, cantato dal coro femminile, con interventi solistici di Marta, Brigitta e Laura. Le ragazze hanno portato fiori profumati per la loro padroncina e cercano con essi di dissiparne la malinconia. È una serena melodia in tempo ternario (6/8) che il flauto solo contrappunta con veloci biscrome ad imitazione del cinguettare di uccelli.  

Scena 3 - Moderato mosso. Iolanta è stanca e chiede a Marta di cantarle la sua canzone preferita. Ecco quindi Brigitta, poi Laura e quindi Marta cantare in coro una patetica ninna-nanna in MIb maggiore (2/4, Moderato assai): Spi, pust’ angely krylami navevajut sny (Dormi, gli angeli con le ali ti portino il sonno). Iolanta si è addormentata e viene portata nella sua camera.

A questo punto, dopo tre scene che ospitavano solo voci femminili, ne abbiamo altrettante in cui si odono soltanto (o quasi...) voci maschili: conosceremo quindi tutti i restanti personaggi del dramma.

Scena 4 - Allegro semplice. Si apre con un felice accostamento di un tema maschio (nei corni, indicante l’approssimarsi di qualche cavaliere) e di quello, tutto femminile, della ninna-nanna che aveva poco prima accompagnato Iolanta nel mondo dei sogni. Il motivo dei corni (che si muove per terze su classiche terzine romantiche) principia canonicamente in MIb maggiore, da cui si modula una terza minore in basso per raggiungere il DO maggiore sul quale gli oboi (anch’essi per terze) intonano la ninna-nanna. I corni rispondono a tono (DO) da cui si modula ancora una terza minore sotto, per raggiungere il LA, dove sono ora gli oboi a riprendere il motivo della ninna-nanna. E i corni restano sul LA per introdurre il personaggio che sta bussando alla porta: Alméric, messaggero di Re René. Il colloquio fra il custode Bertrand e Alméric serve soprattutto a farci conoscere i principali retroscena ed antefatti della vicenda. Vi partecipa fugacemente anche Marta, introdotta dal flauto e successivamente accompagnata dal clarinetto con motivi di sapore weberiano, ma il clou della scena è costituito dall’esternazione in arioso di Re Renè che nel frattempo è arrivato in compagnia del medico islamico che dovrà curare la figlia. Si tratta di un Andante in DO minore, da cantarsi a piena voce, espressivo, Gospod’ moj, esli greshen ja (Mio Signore, se io ho peccato) ed è caratterizzato da una melodia ascendente che dal DO centrale sale per una decima fino al MIb sopra il rigo e da qui ancora si spinge fino al FA. L’intera orchestra la riprende in chiusura della scena.

Scena 5 - Allegro moderato. È occupata dal dialogo fra il Re e il medico Ibn-Hakia, che pone il prerequisito per la sua cura: notificare a Iolanta la sua condizione. Il Re si rifiuta di farlo e così, dopo l’arioso del basso nella scena precedente, questa si incentra su quello del baritono, un Adagio con moto in SI minore, Dva mira: plotskij i dukhovnyj (Esistono due mondi: corporeo e spirituale) nel quale il medico spiega come e qualmente Iolanta potrebbe acquistare la vista. È una melodia che insiste quasi pedantemente (come si addice ad uno scienziato-cattedratico) fra tonica e dominante (FA#). Il Re non ne vuol sapere e così chiude la questione chiamando in causa trombe e tromboni per una perentoria reiterazione (un semitono sopra, DO#!) del tema della sua esternazione nella scena precedente.

Talvolta si usa praticare qui un intervallo, dato che siamo a poco meno di metà (in termini di tempi di esecuzione) dell’opera. Ma è una pratica censurabile (utile solo a procurare un po’ di business per il bar, e qualche frequentatore per i bagni del teatro, ecco).

Scena 6 - Allegro vivo. Facciamo quindi la conoscenza degli altri due protagonisti maschili dell’opera (Robert e Vaudémont) che in questa scena si esibiscono rispettivamente in un’aria e una romanza. L’inizio è nel DO# che aveva chiuso la scena precedente ed è caratterizzato da brillanti svolazzi dei legni che accompagnano la sorpresa dei due cavalieri di fronte al paradiso nel quale sono capitati. Vaudémont ne è affascinato - ed esprime la sua meraviglia con una frase musicale in due sezioni: Gde my? Svoimi li glazami (Dove siamo? Non credo ai miei occhi) che scende dalla tonica DO# alla dominante SOL# e poi risale fono alla mediante per tornare alla tonica; e poi: ja vizhu raj sred’ dikikh skal! (un paradiso in mezzo a rupi inaccessibili!) che dalla mediante sale alla dominante e poi ridiscende di un’ottava, passando per la triade di DO#. Attenzione ora a ciò che osserva, dopo una modulazione a MI maggiore, Robert, che legge una scritta che intima agli estranei di non entrare: Vernis’ nazad ispolnennyj bojazni, Sjuda nel’zja vojti pod strakhom smertnoj kazni (Ritorna indietro e non osare entrare, poiché chi entra sarà condannato a morte). Ebbene, lo fa cantando su un tema (la cui seconda sezione ripete quella della precedente esternazione di Vaudémont) che tornerà assai sviluppato (in LAb) precisamente a chiudere in gloria l’opera! Si tratta di un riferimento tematico non certo casuale, una specie di sfida al destino, che alla fine sarà vinta. Dopo che siamo venuti a sapere che Robert è destinato in sposo a Iolanta, ma che non ne è per nulla entusiasta, il Duca attacca la sua aria in un Vivace-Moderato-Andante-Vivace-Moderato in MI maggiore: Kto mozhet sravnit’sja s Matil’doj moej (Chi può essere paragonato alla mia Matilde). È un bellissima dichiarazione d’amore per la donna tutta sensualità e carnalità che lo ha stregato, e si chiude con una retorica cadenza dell’intera orchestra. Vaudémont replica con la sua lunga e sentimentale romanza - Andante quasi Adagio in LAb maggiore - Net! Chary lask krasy mjatezhnoj (No! Il fascino delle carezze di una bellezza tempestosa) dove esterna il desiderio di trovare per sé una donna sensibile, angelica e celeste (sono precisamente le qualità della fanciulla che sta proprio per incontrare...)   

Scena 7 - Allegro non troppo.
È la scena clou dell’opera (e non solo perchè la più lunga) quella dove Vaudémont e Iolanta si incontrano e si innamorano... ciecamente! I due cavalieri si domandano dove siano capitati e chi abiti quel paradiso. Li accompagna un motivetto che scende da dominante a tonica e da sopratonica a dominante, ripetuto in diverse tonalità a distanza di terze minori (SOL, SIb, REb). Quando Vaudémont scorge Iolanta addormentata e manifesta tutta la sua ammirazione si ode in orchestra (celli) un nobile motivo che tornerà ancora (qui è in SI maggiore, parte dalla dominante, sale alla sesta e poi scende con due ritorni alla tonica). L’entrata in scena di Iolanta è accompagnata da preziose figurazioni del flauto che ne dipingono la bellezza e la pura ingenuità. Dopo che il sospettoso Robert se n’è andato in cerca di rinforzi, inizia il lunghissimo colloquio fra Vaudémont e la principessa, che si era assentata per recare del vino ai due inaspettati visitatori. Vaudémont, dopo aver bevuto con un gesto... tristaniano, non perde tempo a dichiararle la sua ammirazione cantando Vy mne predstali kak viden’e (Mi siete apparsa come una visione) e le parla esplicitamente di sentimenti e di amore. Iolanta ne sembra piacevolmente turbata e Vaudémont le chiede una rosa rossa in ricordo del loro incontro. Qui abbiamo la scena delle due rose bianche colte da Iolanta, che svelano a Vaudémont la di lei cecità. Al suo silenzio Iolanta risponde con una struggente melodia, sulle parole Tvoe molchan’e mne neponjatno (Il tuo silenzio mi è incomprensibile) e poi cita letteralmente le parole con le quali Vaudémont le aveva chiesto la rosa. Il quale Vaudémont procede quindi – su un tema parsifaliano (Kundry) - con la rivelazione dell’esistenza della luce e del senso della vista, che mettono la fanciulla in grave ansia e confusione. Vaudémont allora spiega a Iolanta la miracolosa creazione divina, e lo fa sulle parole Chudnyj pervenec tvoren’ja (La prima meravigliosa creazione) cantando – Moderato mosso – una melodia derivata dal tema del finale della Quinta sinfonia (qui in SOL maggiore). Iolanta ne è colpita e ribatte che la luce non è necessaria per lodare Dio, cantando Chtoby Boga slavit’ vechno (Per onorare Dio eternamente) sullo stesso motivo. Entrambi si inebriano in una specie di mistica esaltazione e insieme ripetono quella melodia sulle parole Blagost’ Bozh’ja beskonechna (La bontà di Dio è infinita) e così si chiude questa grande scena, con una poderosa e melodrammatica (wagneriana?) cadenza orchestrale di SOL maggiore.     

Scena 8 - Allegro vivo. Si apre con il sopraggiungere delle donne di casa in cerca di Iolanta, poi del Re con gli uomini, tutti sorpresi di vedere la fanciulla in compagnia di uno sconosciuto. E inorriditi poi nell’apprendere dalla stessa Iolanta di essere stata informata da Vaudémont della propria menomazione. Tutti, meno il medico islamico, che ci vede invece – sentenziando su uno stentoreo DO maggiore - un segno positivo del destino. Segue un concertato sempre in DO cui partecipano parte o tutte delle 9 voci (4 femminili e 5 maschili) più il coro femminile, dove tutti i personaggi esternano i rispettivi sentimenti: di sorpresa, preoccupazione, sdegno, speranza. Il Re presenta alla figlia il medico che la dovrà curare e Iolanta si dice disposta alle cure, ma solo per far piacere al padre. A queste condizioni Ibn-Hakia toglie ogni speranza al Re: solo una grande volontà e motivazione può portare Iolanta alla guarigione. Qui il Re ha l’idea vincente: minacciare Vaudémont di morte se Iolanta non guarirà: ciò dà alla figlia la motivazione – salvare l’uomo a cui si sente legata – per voler guarire. Ed esprime questa sua volontà ripetendo, ora un semitono più in alto (LAb maggiore, Adagio con moto) le parole chudnyj pervenec tvoren’ja (la prima meravigliosa creazione) che aveva cantato nella scena precedente con Vaudémont. Il quale riprende ora la melodia, giurando che sarà fedele a Iolanta comunque vadano le cose. Poi la lunga frase musicale passa ai violoncelli, mentre Iolanta accarezza il viso di Vaudémont e si prepara a sottoporsi alle cure del medico. La scena si chiude con tutti gli astanti in religiosa aspettativa e con il Re che benedice la figlia, ormai fiducioso nella sua guarigione.

Scena 9 Allegro non troppo.
Una fanfara di trombe in MI maggiore si fa sentire da lontano (è Robert che torna con i rinforzi per proteggere Vaudémont). Il Re (passato a DO maggiore) tranquillizza il giovane: ha minacciato di giustiziarlo solo per stimolare la figlia a desiderare di guarire. Vaudémont svela la propria identità e si offre in sposo a Iolanta, ma ne riceve un diniego: lei è già destinata ad un altro. E quest’altro è proprio ora in procinto di arrivare lì, annunciato da Alméric (fanfare in LA maggiore). Vaudémont sa di chi si tratti e, quando l’amico entra – è tornato nella fanfara il DO maggiore - e omaggia il Re, conosce anche l’identità del padre di Iolanta; poi supplica Robert di mettere il Re a parte della sua decisione di rinunciare alla figlia per amore di Matilde. Cosa che Robert fa con una certa riluttanza, ma alla fine con decisione (una stentorea salita al FA#, avendo modulato a SI maggiore) dichiarando il suo amore per Matilde: no serdcem budu veren ja Matil’de (ma col cuore sarò fedele a Matilde). Vaudémont - O, moj gosudar’, ja vashu doch’ ljublju takoj, kak est’ (Mio Signore, amo vostra figlia così com’è) - promette di amare Iolanta in ogni caso e a questo punto irrompe un emozionato Bertrand a portare notizie sulla cura cui la fanciulla si è sottoposta: una poderosa scalata di accordi dell’orchestra chiusi dalla dominante SOL introduce il suo recitativo in cui racconta della grande forza d’animo di Iolanta, mossa dal desiderio di salvare la vita di Vaudémont. Tutti invocano la misericordia divina e subito le donne annunciano felici – scalando la triade di DO maggiore - che Iolanta vede! Il Re ringrazia il Cielo, modulando a LAb maggiore, e in questa tonalità il flauto intona, sugli arabeschi dell’arpa, il motivo sul quale nella Scena 6 Robert aveva letto il divieto ad entrare nella dimora di Iolanta! Che in quel momento è apparsa, condotta per mano dal medico, al quale su quella melodia, chiede - Gde ja? Kuda vedesh’ menja ty, vrach’! - dove egli l’abbia condotta. Il medico ora le ha tolto la benda dagli occhi e lei torna a vedere la luce. La tonalità è salita al DO maggiore e Iolanta sembra intimorita dalla scena che le sta di fronte. Il medico la invita a guardare il cielo stellato, e in una continua progressione armonica fino al LAb, lei ci vede il Creatore, al quale innalza (Moderato assai) un inno di ringraziamento - Blagoj, velikij, neizmennyj (Misericordioso, immenso, immutabile) – sempre sulla melodia del divieto. E qui ha inizio il finale, con Iolanta che poco a poco fa la conoscenza visiva con persone ed oggetti che fino a poco prima poteva soltanto toccare o ascoltare. La melodia del divieto, ormai divenuta simbolo della libertà e della felicità - torna per l’ultima volta sulle sue parole Primi khvalu raby smirennoj (Ricevi la lode della tua umile serva) che introducono il grandioso concertato finale, un commovente inno di lode e ringraziamento al Creatore.
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Se qualcuno scorge in alcuni passaggi di questa musica atmosfere o motivi mahleriani non sbaglia di certo: il 33enne Gustav Mahler, che era allora alle prese con la sua Auferstehung, diresse (Amburgo, martedi 3 gennaio 1893) la prima dell’opera in territorio straniero, a soli 16 giorni da quella assoluta di SanPietroburgo! E sappiamo come Mahler fosse un maestro nell’immagazzinare nel suo cervello molta musica che gli capitava di dirigere, per poi farne riemergere delle reminiscenze all’interno delle sue sinfonie.

Da domani a Firenze l’opera sarà diretta dal giovane russo (ormai ben noto ed apprezzato dai seguaci de laVERDI) Stanislav Kochanovsky, che è stato chiamato a sostituire Michail Jurowski (padre dei direttori Vladimir e Dmitri) originariamente scritturato. Per un primo assaggio radiofonico ci sarà la diretta su Radio3 alle 20; prossimamente le mie impressioni dal vivo: un’idea dello spettacolo di Mariusz Treliński si può avere dall’edizione di SanPietroburgo del 2009, cui ne sono seguite altre, ultima delle quali quella del MET nel 2015 (dove, a parte alcuni interpreti, sono cambiati soprattutto i costumi).

(2. continua)

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