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17 gennaio, 2014

Orchestraverdi – Concerto n°17

 

Quello che è un po’ il vice di Zhang Xian, il Direttore principale John Axelrod, ci accompagnerà per le prossime due tappe della stagione de laVerdi. Ieri ha diretto la prima delle tre repliche del concerto che mette una vicino all’altra due composizioni che più distanti non potrebbero essere. E distanti non solo e non tanto per data (quasi un secolo, vi pare poco?) ma per approccio, forma e contenuto. Parlo di Richard Strauss e della sua Ein Heldenleben e del Beethoven dell’Eroica

Si dirà: ma come, c’è di mezzo l’eroe in tutte e due, poffarbacco! E addirittura Strauss pensava in origine di titolare il suo pezzo proprio Eroica. Ed entrambe sono in MI bemolle iniziano con le note della triade maggiore! E vi spadroneggiano i corni (come ci ricorda qui uno dei quattro moschettieri de laVerdi, ieri per l’occasione… raddoppiati). Quindi devono per forza essere indissolubilmente legate l’una all’altra…

Beh, effettivamente un legame puntuale c’è, come scopriremo; per il resto personalmente ho l’idea che l’eroe autobiografico dell’opera 40 del birraio (per ascendenza materna) bavarese assomigli assai più al protagonista della sua opera 35, che non a colui cui pensò il genio di Bonn nel comporre la sua Terza. E forse involontariamente fu lo stesso Strauss ad avallare questa interpretazione, sostenendo che DonQuixote si poteva capire solo attraverso Ein Heldenleben (?!) Per la verità lo Strauss che si autocelebra qui é un donchisciotte tutt’altro che sprovveduto e vanesio, anzi molto concreto e pragmatico: certo, se ci domandassimo che posto avrebbe nella storia della musica se tutta la sua produzione si fosse chiusa in quel 1898… non credo lo metteremmo in posizione troppo elevata; ma in che posizione metteremmo il Beethoven del 1804?

Strauss ebbe da subito molti ammiratori incondizionati, sia fra gli intellettuali del tempo (Romain Rolland, tanto per fare un nome) che fra i musicisti, primo fra tutti il dedicatario del poema sinfonico, il (futuro) celebre Willem Mengelberg, di 7 anni più giovane di lui, ma che già da 3 era Direttore del Concertgebouw! Ovviamente non gli mancavano i detrattori, e contro di essi si scagliò musicalmente proprio con l’Heldenleben, mimando la sua titanica lotta contro quei viscidi vermi di critici che si permettevano di irridere al suo genio! Uno dei quali critici, per tutta risposta, uscendo dopo la prima del nuovo (e praticamente ultimo) Tondichtung, sentenziò senza mezzi termini: Das ist kein Heldenleben, sonder ein Hundeleben! (tradotto: altro che vita d’eroe, questa è una vita da cani!) 

Ma lo stesso Mahler, che pure si farà (invano) in quattro in favore della Salome, nel 1901 giudicava il poema sinfonico del suo collega-amico-competitore astruso e banale. Un paio d’anni dopo il compositore olandese Alphons Diepenbrock, alludendo alle finalità venali dell’attività compositiva del bavarese, sentenziò che gli eroi del DonQuixote e di Ein Heldenleben gli sembravano piuttosto dei filistei, collegati col cielo attraverso un telefono interurbano (!)

Detto ciò e col senno di molto poi, si può godere con misurata condiscendenza di questo lavoro magari pretenzioso, dove un compositore 34enne ancora velleitario (la Salome, tanto per dire, arriverà non prima di 7 anni…) si auto-celebra addirittura ricapitolando musicalmente le sue opere precedenti, in sostanza i poemi sinfonici più quel mezzo aborto che ha nome Guntram e un Lied. Ma, appunto, ci fu un poi, e che poi!    
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Il poema sinfonico si articola in sei sezioni, che Strauss in origine aveva numerato e fornito di sottotitoli esplicativi. Numeri e titoli sono poi stati rimossi, ma val la pena ricordarli, poiché ci aiutano ad orientarci nella comprensione del brano:
1. L’eroe
2. I nemici dell’eroe
3. La musa dell’eroe
4. Il campo di battaglia dell’eroe
5. Le pacifiche opere dell’eroe
6. Il congedo dell’eroe dal mondo e il suo compimento.

Cominciamo con una curiosità (solo una coincidenza?) Le prime 5 note ascendenti del tema dell’eroe con cui si apre la prima sezione, suonate guarda caso dai corni (insieme ai violoncelli, per la verità, e in parte anche a contrabbassi e viole) sono precisamente identiche a quelle con cui si fa udire nel corno, dalla battuta 17 del Preludio del Rheingold, il tema dell’alba del mondo:

Sono la fondamentale MIb e i suoi armonici naturali (SIb-MIb-SOL-SIb). Wagner poi procede lungo la triade (MIb) mentre Strauss zompa, prima di Wagner, direttamente al SOL per poi prendere la sua propria strada.

Un messaggio criptico? Un simpatico sberleffo per papà Franz che quelle note dell’odiato Richard (ma perché aveva dato proprio quel nome a suo figlio?) era stato tante volte costretto suo malgrado a suonare? Il nostro che si colloca subito al centro dell’universo? Un mettere le mani avanti in vista dei disinvolti affronti alle sacre regole che stanno per manifestarsi? Forse a noi questi dettagli non dicono nulla, ma a fine ‘800 dovevano avere l’effetto di certi odierni proclami politici di Grillo (smile!)    

Va da sé che un eroe che si rispetti deve avere almeno tre temi (se non addirittura quattro) nel suo… guardaroba, e così Strauss indossa subito anche gli altri due per mostrarceli in passerella. Il secondo tema, proprio ubriacante, è presentato impiegando il trucchetto dell’enarmonia: così il MIb d’ordinanza si trasforma in RE#, mediante del SI maggiore esposto da flauti e violini primi; sotto-sotto però violini secondi e oboi già presentano un altro motivo (che gli analisti aggregano al secondo tema, ma che potrebbe benissimo definirsi come terzo, visti gli sviluppi che avrà in seguito) che dal SI, salendo alla mediante minore, vira al RE maggiore. E subito ecco i clarinetti in SIb (con il corno inglese e le viole) slanciarsi nel terzo (o quarto?) tema, in una tonalità ancora diversa e lontana, LAb maggiore, chiuso da una figurazione marziale che tornerà più avanti (motivo della vittoria!) con grande protervia:


Beh, bisogna ammettere che ormai il futuro portabandiera della musica teutonica sapeva usare alla perfezione tutti gli attrezzi del mestiere. E ce lo conferma subito, sottoponendo i tre temi eroici a sviluppi e modulazioni continue, in un’orgia sonora che pare per la verità l’evocazione di una (donchisciottesca?) sbornia di qualcuno cui il successo ha dato alla testa. La sezione si chiude con un poderoso accordo sulla dominante SIb: qualcosa di importante deve seguirne, per forza…

È la seconda sezione dell’opera, che ci presenta i nemici dell’eroe; sono impersonati da due figurazioni rispettivamente del flauto (cui tengono bordone oboe, corno inglese e poi l’impertinente clarinetto piccolo) e delle due tube (tenore e bassa):


La prima sembra con tutta evidenza l’evocazione di atteggiamenti meschini, di qualcuno che cicaleccia nell’ombra alle spalle dell’eroe; la seconda ricorda manifestamente Fafner, cioè l’ignavia fatta persona! Ecco: sono i critici (quelli che considerano la sua una vita da cani…) capaci solo di sparlare e casomai di invidiare, come dimostra la comparsa del tema dell’eroe, storpiato e parodiato, nel corno inglese.

Questa azione denigratrice si prolunga al punto da provocare vistosi effetti sulla personalità dell’eroe, che ne viene apparentemente fiaccata: il suo tema principale torna infatti in tempo piuttosto strascicato e in modo minore, seguito da motivi che paiono quasi dei lamenti, caratterizzati da intervalli di seconda minore e da un paio di incisi che ricordano nientemeno che Amfortas (ohi, che dolore!) I nemici ringalluzziscono e gli girano il coltello nella piaga, tutto sembra perduto, ma ecco che l’eroe tira fuori le sue risorse più nascoste, il suo tema riprende poco a poco vigore, si oppone sempre più validamente all’azione demolitrice di quelle specie di vermi che vorrebbero mangiarselo e, con un eccezionale colpo di reni, se ne libera vittoriosamente, come ci testimonia la sezione conclusiva del suo terzo tema, che letteralmente esplode nei fiati, adesso nel pieno del MIb:


Scampato il pericolo, nella terza sezione il nostro eroe ci presenta colei che ispira le sue imprese. Che sia per caso una certa Pauline? Beh, possiamo starne certi, già a giudicare dalle indicazioni agogiche apposte sulla parte del violino solista che rappresenta la donna, le quali testimoniano di una personalità non propriamente accomodante… Poi, la piena e definitiva conferma l’avremo 5 anni più tardi, con la Sinfonia Domestica, dove comparirà anche il pargoletto Franz, che ai tempi della composizione di Ein Heldenleben muoveva i primi passi, e del quale il fresco papà evidentemente non considerava opportuna la presentazione in uno scenario… eroico, invero poco adatto ad accogliere prosaiche pappe e pannolini (smile!)

Allora: il tema della musa (in LA maggiore) si presenta così:


Notiamo la terzina alla terza battuta: ci ricorda proprio l’incipit del tema dei nemici! Ohibò, Strauss si cresce una serpe in seno, una nemica in casa? Beh, non è proprio così, ma sappiamo che il buon Richard dovette sudare le proverbiali sette camicie prima di convincere la ritrosa Pauline a convolare a giuste nozze. Anzi, più che sette, le camicie sembrerebbero… 13! Basta all’uopo osservare che il tema virile (all’inizio non è altro che un frammento di quello principale dell’eroe, salita da dominante a tonica) prima di esplodere in tutta la sua ricchezza (la vogliamo chiamare… la capitolazione di Pauline?) in SOLb maggiore, compare ben 12 volte, nelle seguenti tonalità maggiori: SI, LA, SIb, MI, SIb (6 volte, di cui la prima tripla) MI e FA e sempre viene interrotto dai motivi della donna, tendenzialmente posti a tonalità stridenti con quelle degli approcci dell’uomo (!) e caratterizzati sul pentagramma dalle seguenti indicazioni agogiche: languendo farisaicamente, lieto, frivolo, dolce, piuttosto sentimentale, insolente, molto brusco, giocando, amabile, iracondo, dolce e amorevole

Allora, quelle tre note nemiche possono benissimo rappresentare lo scetticismo e il rifiuto di Pauline a farsi accalappiare dall’eroico Richard. Ma una volta risolta la faccenda (e lo sarà per tutta una lunghissima vita!) ecco che le cose cambieranno radicalmente, come vedremo bene fra poco.

Val la pena intanto osservare come alla terza interruzione del tema virile, il violino solista (la musa) introduca (in SOLb, un semitono sopra il FA del tema virile) un motivo (l’agogica qui è voll Sehnsucht, pieno anelito, e subito piuttosto sentimentale) che poi verrà straordinariamente sviluppato – precisamente in SOLb - nella parte culminante di questa sezione del poema sinfonico, di fatto una scena d’amore (la prima notte?) in piena regola:



Si noti come in questa nuova apparizione il tema sia introdotto dall’oboe (l’eroe) e ripreso dal violino (la musa) È come se l’uomo raccogliesse l’anelito espresso in precedenza dalla donna, innescandone tutta la carica sentimentale; insomma, qui si certifica la piena unione fra i due, a dispetto del caratterino di Pauline! E la tonalità di SOLb maggiore è quella in cui poco prima era finalmente esploso (anche nel violino solista!) il tema virile:


Tema subito dopo caratterizzato da una specie di affermazione categorica, che ritroveremo amplificata più avanti, esposta da quasi tutti gli strumenti:


Tema virile che poi si sviluppa ulteriormente, seguito dall’altro, in LA maggiore, della musa, che dopo la fugace apparizione all’inizio della sezione, si sviluppa a sua volta, mutando da impertinente che era prima del matrimonio ad accorato e quasi servizievole:



Esso sfocia nella ripresa in grande stile del tema dell’anelito (la Sehnsucht) esposto, come detto, da oboe e poi violino solista, quindi una seconda volta da clarinetto e violino, tema che si innalza sempre più, accompagnato da ubriacanti glissando delle due arpe, fino a sfociare in una nuova sezione, che sarà di importanza capitale:


L’inciso iniziale, ancora una volta, fa parte del tema della musa, che è anche l’incipit di quello del nemici. Qui però è applicato al rapporto di coppia, come dire: in passato saremo stati a volte in disaccordo, ma adesso siamo uniti (tutto in SOLb maggiore!) e siamo pronti a scalare insieme le vette più alte. Ora una cadenza, sempre nella stessa tonalità, ci fa udire prima clarinetto con oboe e secondi violini, poi corno con fagotti e primi violini esporre un dolce e sognante motivo, contrappuntato dal tema della musa nelle viole, e ci conduce al ritorno del tema principale dell’eroe (corni 3-4 e archi bassi) dopodiché tutto sembra acquetarsi, sulla reiterazione del languido inciso a terzina del tema della musa.

Senonchè, quasi stessero guardando dal buco della serratura, ecco i nemici, i critici rifarsi vivi con le loro maldicenze e destare nell’eroe (ma anche nella sua donna) la decisione di dare battaglia, non prima di un ultimo abbandono amoroso (negli archi).

E la battaglia è protagonista della quarta sezione dell’opera. Da una parte quindi non più un donchisciotte solitario, o al massimo scortato da un obeso scudiero, ma la coppia, ormai affiatatissima, come ci testimonia il contrappunto dei due temi, dell’eroe e della sua Dulcinea-Pauline, che scendono in campo fianco a fianco contro i nemici. I quali da parte loro sono ormai usciti allo scoperto, non si limitano più al chiacchiericcio pettegolo dietro le spalle, ma gridano ai quattro venti i loro insulti e le loro critiche, mobilitando tutte le risorse disponibili!

Sono squilli di trombetta, crudi e dissonanti, a chiamare la battaglia. Ad essa si preparano i nostri due eroi, i cui temi (o gruppi tematici, nel caso dell’eroe) sembrano cercare la massima concentrazione in vista dello scontro. Che è aperto da una colossale rullata di tamburi (piccolo militare, grande a tracolla e gran cassa) su cui la prima tromba staglia perentoriamente le note del tema dei nemici, divenuto qui protervo e smaccato, quanto invece è raggiante, aereo e davvero eroico il tema della musa che, insieme a quello poderoso dell’eroe, nei corni e poi nei tromboni, gli si oppone: potenza dell’espressività musicale, che da un’unica cellula è in grado di sviluppare letteralmente dei mondi diversi!

La parte principale della sezione è occupata dal contrasto fra i temi eroici (in archi, quello della musa, nei corni tipicamente quelli dell’eroe) e il tema dei nemici (nella tromba, col sostegno di un autentico putiferio negli strumentini). La battaglia alla fine si conclude come vuole il lieto fine: il motivo della vittoria si impone una prima volta, poi si ripete, ma preceduto e poi contrappuntato da quello della musa, adesso dilatatosi al massimo grado, soprattutto nei tre corni. Qui solo due righi che mostrano la compresenza dei due temi:


La coppia eroe-musa ha fatto piazza pulita di tutti gli avversari e adesso un perentorio ritorno (variato) di quell’inciso che aveva caratterizzato l’esplosione del tema virile nella sezione precedente suggella la vittoria:


Il tema principale dell’eroe è adesso padrone del campo e di dispiega con grandiosità, imboccando poi una cadenza che lo lega mirabilmente alla seconda sezione di quello della Sehnsucht, che a sua volta si dilata a dismisura, prima di tornare all’intreccio fra il tema dell’eroe e quello della musa. Il quale connubio sfocia in un nuovo motivo, in SI maggiore, che chiuderà la sezione con successive ondate:


Segue ora la parte più smaccatamente pubblicitaria del businessman Richard Strauss: già, perché nella quinta sezione del poema sinfonico il nostro ci sciorina un vero e proprio campionario illustrato della sua mercanzia, una specie di playlist ante-litteram di motivi tratti da sue opere precedenti.

Sono gli spettacolari corni di DonJuan ad introdurre il… catalogo, subito seguiti da un altro motivo dello stesso poema, contrappuntato da uno di Zarathustra. Il tema dell’eroe torna qui, quasi a voler chiedere: visto di cosa sono stato capace?

Ma dopo una languida cadenza delle due arpe, chi si rivede (anzi, si risente)? I nemici, i Fafner nelle tube! Che sembrano sbadigliare borbottando: ma è tutto qui quel che hai nella tua bisaccia, eroe da strapazzo?

E allora l’eroe ha uno scatto, dapprima sembra frustrato, forse deciso a mandar tutti a quel paese: lo sentiamo da frammenti di un tema, già comparso nelle esternazioni (5a e 8a) della musa nella terza sezione, di cui non abbiamo parlato a suo tempo, per dargli spazio più avanti, quando tornerà in un ruolo fondamentale. Anticipiamone però almeno il nome: è il tema del ritiro.

Ma è solo un attimo di scoramento, perché subito il nostro eroe risponde ai critici con la calma di chi si sente sicuro (il suo terzo tema, che si libra nei fiati cullato dalle arpe) sciorinando a più riprese il resto della sua produzione: Tod und Verklärung, DonQuixote, ancora DonJuan, Macbeth, Till, temi da Guntram e una citazione di Traum durch die Dämmerung, un Lied di cui udiamo (in clarinetto basso, tuba tenore e viole e nella stessa tonalità di FA# maggiore) l’incipit della seconda strofa, Durch Dämmergrau in der Liebe Land, un testo richiamato qui non casualmente, stanti i riferimenti del Lied alla… donna più bella!

Mirabile l’abilità di Strauss di far dialogare questi frammenti, che si contrappuntano quasi naturalmente, accompagnati a ritorni del tema dell’eroe e a quello della virilità, prima che l’esposizione dell’album sonoro si concluda con il motivo della musa, ampio, nei violini, a contrappuntare i corni di Zarathustra. 

La sesta sezione, quella conclusiva, è introdotta da una cadenza che sembra rappresentare l’attesa del nostro eroe per gli effetti di quella specie di arringa con la quale ha creduto di poter convincere i critici con una montagna di argomenti più che concreti. Ma costoro possono mai farsi convincere? Indovinate qual è la loro reazione di fronte all’impressionante mole di opere che l’eroe gli ha sciorinato in faccia: sempre esattamente la stessa, scuotimenti di testa (quella sbifida terzina…) e poi sbadigli à la Fafner di sufficienza e di indifferenza!      

E allora l’eroe sembra davvero perdere la pazienza: tornano, per tre battute, frammenti del tema del ritiro, poi sono pezzi del tema dell’eroe (lo spezzone discendente, soprattutto) ad occupare le successive 38 battute, assumendo una forma invero arrabbiata, invadendo con la loro collera tutte le sezioni dell’orchestra. Dopo questo sfogo, l’eroe pare proprio disgustato ed abbattuto: il suo tema sembra quasi afflosciarsi a poco a poco, fino a morire sotto lugubri rintocchi dei timpani.

Poi, sbollita la rabbia, torna il sereno: sono 24 battute dominate da una melopea del corno inglese, che espone la sezione ascendente del tema principale dell’eroe e poi si sofferma su una lunga serie di terzine bucoliche (Rossini, Berlioz, Wagner…) mentre i violini anticipano il tema del ritiro, con una inflessione che ricorda il tristaniano Ach, Isolde!

Ed ecco arrivato finalmente il momento di parlare del ritiro, le dimissioni dell’eroe dal mondo. Torniamo quindi per un attimo alla terza sezione del poema, al momento del quinto (poi dell’ottavo) approccio del tema virile, dove la risposta della musa ci anticipa il motivo che adesso diventa centrale:

 
Là era in LAb minore, qui è nel più puro e naturale dei MIb, quello che è proprio dell’eroe (notare le due battute segnate in rosso):


Ecco, ora attenzione a ciò che si ode nelle viole in corrispondenza di quelle due battute del tema (e anticipato nella battuta precedente dai violoncelli):

 
A proposito di Eroica! Una scopiazzatura, che dico, proprio una fotocopia di un frammento del prometeico tema del Finale!

Ma non è ancora finita, poiché anche dimettersi costa fatica, soprattutto se l’opinione pubblica imperversa con le sue critiche e i suoi lazzi: sentiamo in effetti un'autentica bufera abbattersi sull’eroe, con tuoni e fulmini e folate di vento, mentre le sferzanti terzine dei nemici si fanno udire nelle trombe.

Il tema eroico sembra volersi ancora opporre ai nemici con piglio dongiovannesco, ma subito è la musa a placarlo, quando nei violini torna il suo tema che dal LA maggiore scende progressivamente al MIb dell’eroe. Qui ascoltiamo una specie di ninna-nanna, dolcissima, anche in corni, fagotti, clarinetti oboi e archi bassi:


Torna poi il motivo che aveva caratterizzato la chiusura della quarta sezione, adesso più tranquillo, nel primo corno, poi il violino solo cadenza ancora sul MIb dove ripropone (sognando, dice l’agogica) il primo frammento della seconda sezione del tema della Sensucht, poi sono tutti gli archi, divisi, a supportare il corno che porta languidamente alla conclusione: mentre il violino si tace, è la tromba, che tanto spesso aveva dato voce ai nemici, ad intonare adesso, scalando con solenne dignità i primi armonici di MIb, il tema dell’eroe, su cui chiudono, insieme ai tocchi delle percussioni, tutti e soli i fiati.   
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Ecco, si potrebbe dire che in Ein Heldenleben Strauss abbia anticipatamente descritto la sua intera parabola esistenziale! Certo, purtroppo per lui in seguito le disgrazie non arrivarono solo o tanto dall’atteggiamento dei critici: dovette passare attraverso due guerre e il nazismo, soffrire (meritatamente?) la povertà materiale e le umiliazioni della de-nazificazione, e il suo ultimo saluto all’Eroica fu la… marcia funebre (contrappasso alla sua spavalda decisione di escluderla a suo tempo dal poema!)

Ma la vita gli riservò comunque un finale non disprezzabile, a fianco di Pauline, mano nella mano, Im Abendrot, ad aspettare serenamente la Verklärung, dopo l’ineluttabile Tod. E persino alle sue esequie, mentre il suo corpo veniva trasformato in cenere, il suo spirito potè ancora ascoltare le strepitose note del finale del Rosenkavalier!
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Axelrod è partito, mi pare, un po’ con il freno a mano tirato: le prime tre sezioni hanno peccato forse di mordente, compreso l’esplodere (qui un filino moscio) del tema virile a coronamento della corte a… Santaniello, per parte sua davvero impeccabile nei panni della musa!

Poi le cose sono decisamente migliorate, specie la sezione delle reminiscenze. Da incorniciare il finale, da emozione pura.

Dopo l’orgia sonora del poema straussiano, a Terza beethoveniana ci appare come una sinfonia di Haydn (smile!) Del resto un’impressione analoga avrebbe avuto nel 1804 chi avesse ascoltato, dopo l’Eroica, che so, una sinfonietta di Johann Stamitz!

Però l’Eroica è sempre l’Eroica e l’unico pericolo che corre oggi è di essere suonata con approccio per così dire routinario. Cosa che per fortuna non fa Axelrod, che ce ne dà una lettura asciutta e senza fronzoli, per restare in casa Verdi potrei dire… à la Xian. La marcia funebre mi è parsa spiccare in modo particolare, in certi momenti per tensione quasi espressionista. 

Ovazioni per tutti e ripetute chiamate per il maestro texano, ormai milanese d’adozione.

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