All’Epifania,
che tutte le feste porta via, sta diventando consuetudine per la compagine di Ruben Jais chiudere in gloria le
celebrazioni cristiane mettendo in programma le sei cantate del cosiddetto Oratorio di Natale.
Da alcuni anni
a questa parte l’impaginazione dell’evento ha subito una drastica modifica, in
dipendenza della mastodontica lunghezza dell’opera – circa due ore e tre quarti
nette – che ne rende davvero problematica l’esecuzione tutta d’un fiato, pur se
ciò era riuscito felicemente al primo tentativo, nel 2010.
Adesso
l’esecuzione viene suddivisa in due parti: si comincia alle 17:30 con le prime
tre cantate, poi alle 19 si fa una bella sosta… bio-fisiologica e alle 20:30 si
riprende per le altre tre cantate. Ieri la platea dell’Auditorium era
affollatissima, con qualche defezione registratasi per la verità nell’intervallo
(evidentemente qualcuno ha preferito prolungare la… cena, smile!) a conferma della predisposizione del pubblico meneghino per
la buona musica e della fama che il complesso barocco de laVerdi sta consolidando di stagione in stagione.
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Bach, assai
prima di Rossini, era solito farsi degli auto-imprestiti
di musiche composte in altre occasioni (qui vengono chiamati parodie): questo è anche il caso delle
cantate del Weihnachtsoratorium che reimpiegano,
sui testi liturgici, musica composta magari per occasioni laiche, come ci
ricorda qui in una breve ma interessante nota il compianto Sergio Sablich.
Il quale ci fa
poi notare una chiara e non casuale doppia reminiscenza, uno stesso tema che
viene direttamente dalla Matthäus Passion
(di 7 anni precedente) e si ripete due volte nell’Oratorio:
Nella Passione
accompagnava il desolato canto di uomini e donne di fronte alla vista di Gesù
sottoposto alle sevizie dei suoi torturatori – con il capo martoriato da ferite
sanguinanti – mentre qui dapprima esprime lo smarrimento e l’anelito del popolo
di Sion di fronte all’imminenza dell’arrivo del Messia, poi, proprio alla fine,
accompagna l’esultanza (fin troppo accesa…) di chi si sente finalmente liberato
dal nemico rappresentato dal male, dal peccato, dall’inferno.
Insomma, una
specie di filo rosso che collega circolarmente la Passione e la Morte del
Cristo con il suo Avvento e la sua Nascita: il tutto in poche note musicali!
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Per l’occasione i solisti erano il soprano Joanna Klisowska, il contralto (oh, pardon… il controtenore) Filippo Mineccia, il tenore Clemens Löschmann e l’ospite consueto
dell’Auditorium, il basso Christian Senn.
Per loro e per l’Ensemble vocale di Gianluca
Capuano, oltre che per gli strumentisti guidati da Gianfranco Ricci, applausi convinti, ripagati dall’immancabile bis, che però questa volta Jais ha
variato rispetto alla tradizione: in luogo del conclusivo (e un po’ protervo,
per la verità) Nun seid ihr wohl gerochen,
ha proposto il ben più sereno e… cristiano Ich
steh an deiner Krippen hier.
Ecco, speriamo (ma è un’utopia?) che il messaggio sia recepito dai nostri
politici, che finalmente si rechino presso la mangiatoia non per… mangiarsela con tutto il contenuto, ma per
portare, se non proprio oro, incenso e mirra, almeno un onesto contributo al
raddrizzamento di questo mondo piuttosto malconcio.
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