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31 gennaio, 2014

Orchestraverdi – Concerto n°19

 

Ancora Mahler a riempire di suoni lo splendido ambiente dell’Auditorium. Dopo la trionfale Seconda di Axelrod, ecco la cosiddetta Tragica. A proporre la quale si aspettava con grande interesse e simpatia il ritorno di Vladimir Jurovsky, che con laVerdi anni fa compì importanti passi verso la notorietà, ma purtroppo un acciacco di stagione gli ha rovinato la rimpatriata. A sostituirlo, comunque degnamente, è arrivato un sollevantino itinerante, il 57enne Eiji Oue (di cui dovrò purtroppo… sparlare).    
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La sesta è una sinfonia su cui ancora gravano incrostazioni di varia natura, sia di carattere estetico (create a suo tempo, queste, dai ripensamenti dell’Autore su aspetti peculiari della partitura) che extra-musicale, alimentate da Alma più per tornaconto proprio che per illustrare la memoria del marito. Lo stesso nick affibbiato al lavoro è assai discutibile, benché abbia radici in espressioni usate dall’Autore in persona: se bastasse la conclusione in minore a spiegarlo, allora bisognerebbe chiamare tragica anche la K550 di Mozart e la Abschied di Haydn.  

Come io personalmente la vedo, l’ho scritto  già anni fa, in occasione di una memorabile performance della LSO con Harding alla Scala. Ma assai meglio e più autorevolmente ne parla Ugo Duse, in questo passo del suo fondamentale testo su Mahler:


Ad ulteriore integrazione informativo-culturale, ecco qui un interessante lavoro di Paolo Petazzi su Mahler, comparso a settembre 1989 su Musica&Dossier.
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In questa esecuzione si torna, quanto a successione dei tempi, all’ultima metà del secolo scorso (la contestata Edizione critica di Erwin Ratz, basata sulle inaffidabili dicerie di Alma, che Mengelberg si era bevuto): lo Scherzo è infatti eseguito in seconda posizione e l’Andante in terza (questa fu la primissima decisione di Mahler, peraltro revocata già prima della prima, poi forse, ma non è affatto certo e comunque mai fu dall’Autore ufficializzato, ripensata ancora…) In questa configurazione la struttura della sinfonia si avvicina abbastanza a quella della precedente Quinta, con due poderose sezioni esterne (35-40 minuti la prima, 30 la seconda) separate da quella centrale più leggera e (relativamente alle usuali dimensioni mahleriane) più breve, circa 15 minuti.

Ad un ascoltatore medio, poco addentro a questioni di filologia e di estetica musicale, che effetto fanno queste diverse scelte? Per dire, se un pazzo rappresentasse la Bohème invertendo l’ordine fra secondo e terzo quadro, anche un neofita della lirica darebbe in escandescenze e chiederebbe il rimborso del biglietto, e pure i danni… ma qui? Cosa cambia nel profondo significato della narrativa, se si invertono i due movimenti interni della sinfonia? E chissà quale profonda riflessione filosofica ci sta dietro? Visto che l’Autore non ce l’ha esplicitamente chiarito, dobbiamo allora concludere che anche i filosofi in circolazione si dividono (come sempre) in opposte correnti di pensiero…  

Quanto alla supposta e sbandierata tragicità, nel Finale Mahler arriva alla battuta 772 (sulle 822 totali) con una scala di LA maggiore che potrebbe benissimo chiudere la Sinfonia in gloria, invece che in tragedia. In fin dei conti lo stesso Mahler conclude la sua Seconda in MIb maggiore al posto dell’iniziale e funerario DO minore… Ah già, lì c’è il testo di Klopstock che spiega tutto, parlando di resurrezione e non di morte, ma che dire della Quinta e della successiva Settima, aperte in minore (DO# e SI) e chiuse in maggiore (RE e DO)? Per non parlare della tradizione, della Quinta di Beethoven, che parte in DO minore e chiude in maggiore, precisamente come la Quarta di Schubert e la Prima di Brahms. E la Nona beethoveniana, la Terza di Bruckner, la Quarta di Schumann e l’unica di Franck: non partono forse in RE minore per chiudere in maggiore? E la mendelssohniana Scozzese principia in LA minore e finisce in maggiore, giusto? Così come la Nona di Dvorak si apre in MI minore per chiudere in maggiore.

In analogia alla Sesta mahleriana troviamo invece, oltre alle due sinfonie citate all’inizio, anche la Quarta di Brahms, che nasce e muore in MI minore (senza che a nessuno venga in mente di chiamarla tragica); così come la Patetica ciajkovskiana, con il SI minore. Ma qualcuno si sarebbe sentito imbrogliato se fossero state chiuse da due code rispettivamente in MI (o SOL) e SI (o RE) maggiore?

Ora, sarà un caso che la Sesta sia l’unica delle dieci sinfonie di Mahler a chiudere in minore? O c’era semplicemente il bisogno di togliere lo zero da una casellina del proprio catalogo? Mah…

Tornando alla scelta della versione, quella odierna per fortuna non si è tirata dietro anche il ripristino della terza martellata (a battuta 783 del Finale). Essa (eseguita anche alla prima di Essen) era poi stata espunta da Mahler, chi dice per ragioni estetiche (eccerto, come no!) chi per ragioni… scaramantiche (ecco, probabile). Fatto sta che nel manoscritto originale di colpi di martello pare se ne trovino addirittura cinque (ma sì, abbondiamo, con tutta la fatica che ci vuole per fabbricare l’arnese e il cassone su cui abbatterlo!) In realtà, a voler fare i pignoli e un po’ anche gli impertinenti, se le martellate rappresentassero le future disgrazie capitate a Mahler, allora dovrebbero essere quattro: alle tre elencate post-mortem da Alma (la scomparsa di Putzi, l’allontanamento dalla Hofoper e la diagnosi della disfunzione cardiaca) ne andrebbe aggiunta una quarta, e di quale importanza: la crisi del rapporto coniugale (ma certo su questa la disinvolta Alma preferiva sorvolare…)

Di nuovo, cosa dobbiamo pensare? A ridicole considerazioni e ripensamenti sul non-c’è-due-senza-tre? In una Sinfonia? E comunque, che differenza fa che le martellate siano cinque, o tre o due, quando comunque tutto finisce con quel terrificante schianto di LA minore nell’intera orchestra, seguito dai lugubri rintocchi, nei timpani, del motto che impone la… forza-del-destino?   
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Dato il dovuto spazio all’accertamento dell’identità dell’opera presentata, adesso devo ahimè sporgere denuncia contro un falsificatore di… sinfonie, che risponde al nome di Eiji Oue. Dico, non ha lasciato intatta una sola misura delle 1954 che compongono la partitura: infilandoci ad ogni piè sospinto arbitrari quanto penosi o ridicoli salti di tempo (in volgare: gigionerìe da quattro soldi) quando non addirittura modificando la lunghezza delle note, come nel caso della prima delle quattro semicrome con cui oboi e clarinetti aprono il secondo Trio dello Scherzo, da lui trasformata in una… semiminima, ottenendo così un mirabile effetto batteria-scarica (rob de matt!) E mi rifiuto di pensare che questo approccio sia stato imposto dal titolare del concerto, Jurovsky.

Insomma, già la Sinfonia si presta a facili battute e sarcasmi: figuriamoci cosa diventa se arriva uno che ne fa la parodia! Poi, magari a qualcuno piace di più il sushi che non la wiener-schnitzel, almeno a giudicare da un paio di bravo! che il mandorlocchiuto si è portato inopinatamente a casa, e vabbè…

Invece peccato per i ragazzi, che ce l’hanno messa tutta e non meritavano che la loro abnegazione venisse oltraggiata in questo modo.

1 commento:

Wilhelm ha detto...

Perfettamente d'accordo.