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25 gennaio, 2013

Orchestraverdi – concerto n.19


Ennesimo cambiamento di podio in questa strana stagione de laVerdi: il tulipano Otto Tausk (sul cui sito personale ancora figura l’appuntamento, anche se in compagnia di Shai Wosner, da qualche tempo rimpiazzato in locandina da Prosseda) viene sostituito dal casalingo Jader Bignaminia comporre quindi una coppia autarchica (ma non per questo meno apprezzabile).

Il programma è di quelli piuttosto corposi, anche se piuttosto, diciamo così… sbilanciati, con un concerto lungo più di una sinfonia (come tale era stato originariamente concepito) e una sinfonia corta come un… concerto

In un Auditorium ancora affollatissimo (buon segno…) il non ancora quarantenne Roberto Prosseda, che è un'autorità in Mendelssohn, qui ci presenta invece l’imponente Primo Concerto di Brahms

Il suo (e di Bignamini, che tiene l’orchestra su un basso profilo) è un Brahms tutto in punta di piedi (quasi… Mendelssohn, smile!) leggero e forse fin troppo contenuto, ma assolutamente pregevole. Così il successo non manca e allora Prosseda ci regala un bis col suo – indovina? - Mendelssohn.

Il quale arriva dopo l’intervallo con la Reformations-Symphonie, numerata come quinta (e ultima) della sua produzione, ma in realtà composta come seconda, in occasione della ricorrenza (1830) dei 300 anni dalla presentazione della Confessio Augustana (il documento recante la vision luterana riguardo i principii della Fede, presentato a Carlo V da sette nobili reggitori di Länder e da due Senati cittadini). 

La Sinfonia, composta da un Mendelssohn nemmeno ventenne e piuttosto retorico e pretenzioso, non trovò posto nelle cerimonie celebrative del 25 giugno, anche perché pare che l’origine ebrea dell’autore vi avesse gettato, agli occhi di molti, una luce ambigua…

Ma lo stesso Mendelssohn fu il primo a quasi ripudiarla, dopo alcune rare esecuzioni, come un maldestro e per nulla riuscito tentativo giovanile; anche l’amata sorellina pare ne fosse assai poco entusiasta; così l’opera fu per lungo tempo praticamente dimenticata. E in effetti ancor oggi non è che sia poi troppo di casa nelle sale da concerto, dove di norma si eseguono la Scozzese e l’Italiana e, caso mai, la più impegnativa Lobgesang.

A me pare che i principali difetti di quest’opera siano innanzitutto i suoi smaccati riferimenti extra-musicali, che la avvicinano ad uno spurio poema sinfonico a sfondo confessionale, e dall’altra la miriade di spunti, citazioni e scopiazzamenti di cui è infarcita. Insomma: qualcosa che si avvicina pericolosamente al classico vorrei, non posso… Si salvano i due movimenti centrali, che se non altro mostrano una certa vivezza di invenzione e sono scevri dalle pesanti incrostazioni che caratterizzano i due estremi.   
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La sinfonia è nei tradizionali 4 movimenti e rispetta (con alti e bassi) i canoni classici, sia nella disposizione dei tempi (lo Scherzo avanti all’Andante era ormai, dopo la nona, quasi una regola) che nella struttura degli stessi. La concatenazione tonale dei movimenti è abbastanza scolastica: passaggi di terza per i primi tre (RE maggiore-minore – SIb maggiore – SOL minore) e trasporto minore-maggiore per la prima parte del quarto, seguita poi da un ritorno al RE maggiore di impianto generale. L’opera presenta inoltre diversi caratteri di ciclicità (anche questa un’invenzione dell’ultimo Beethoven).

Il primo movimento si apre con una Introduzione (à la Haydn) in Andante di 41 misure, in RE maggiore-minore, con una modulazione anche a DO maggiore. Sono le viole, per prime, seguite dai violoncelli, ad intonare Il gregoriano Magnificat tertii toni, con cui molti anni addietro Mozart aveva caratterizzato il finale in DO della sua Jupiter e che molti anni più tardi anche Richard Strauss citerà, sullo stesso RE, nel suo Zarathustra (all’espisodio von der großen Sehnsucht):
Enfatiche fanfare, che anticipano il primo tema, insistono prevalentemente sui gradi di dominante, tonica e sopratonica di RE, finchè a battuta 33 e per 4 battute (e ripetendolo a battuta 38, dopo l’ultima fanfara) i violini, muovendosi per quinte parallele (primi e secondi) intonano il Dresden Amen. Una serie di accordi di ambigua interpretazione: se li riferiamo alla tonica RE (qui tonalità d’impianto) sono ottenuti con salita da dominante a sopratonica nella prima voce e da tonica a dominante (ma con quarta aumentata) nella seconda; se li riferiamo alla tonica LA, contemplano una salita da tonica a dominante (prima voce) e da sottodominante a tonica (seconda):

  
Mezzo secolo dopo, Wagner (anteponendogli l’incipit dell’Agape) lo renderà ancor più famoso nel Parsifal come motivo del Gral (ma anche Bruckner e Mahler lo infileranno in loro sinfonie).

A questo punto inizia l’Allegro con fuoco, rigorosamente in forma-sonata. E nell’Esposizione troviamo subito una chiara… reminiscenza? o proprio un plagio in piena regola? La vittima dello scippo è l’imparruccato Josephus Haydn, di cui il nostro giovin di belle speranze si appropria del motivo dell’introduzione di una delle ultime (se non proprio l’ultima) sinfonia, la 104. Per di più, nella stessa tonalità di RE minore:

Che anni dopo anche Schumann imiti Mendelssohn in questo… omaggio a Haydn (attacco della seconda sinfonia, in DO) sta solo a dimostrare come gli eredi del vecchio maestro fossero altrettanto… disinvolti che creativi!  

Il primo tema sviluppa furiosamente questo motto haydn-iano con una modulazione alla relativa FA maggiore, poi torna a casa per sfociare, dopo un fugace passaggio da FA e DO (sempre sul motto iniziale) in tonalità di LA, dove entra il secondo soggetto, che si caratterizza subito con tre poderosi accordi di LA minore e che vira momentaneamente – su una risposta delicata negli archi - anche a LA maggiore, per poi riprendere il minore, in un’atmosfera ossianica che ricorda i turbini di vento delle Ebridi o della Scozzese (rispettivamente composta e abbozzata quasi contemporaneamente alla Reformation) prima di chiudere l’Esposizione, che non prevede alcun ritornello, ma introduce direttamente lo Sviluppo.

Sviluppo ancora incentrato sul motto iniziale - presentato con accordi sempre più cupi e contrappuntato da veloci quartine di crome negli archi - e da una fugace apparizione del secondo tema che sfocia in un’autentica serie di ondate sonore in flauti e archi (anche qui paiono le folate della Terza) prima di chiudere con il ritorno ad accordi di dominante di RE. E sui quattro LA in unisono di tutta l’orchestra ecco prepararsi il teatrale ritorno (singolo, stavolta) del Dresden Amen, che a sua volta introduce la Ricapitolazione.

La quale è abbastanza breve, aprendosi con il primo tema, esposto però quasi in forma… depotenziata, insomma alleggerito (vedi le note puntate o pizzicate degli archi) e privato dello sviluppo che aveva avuto nell’Esposizione. Ecco poi subito il secondo tema, canonicamente trasposto in RE, che ci guida (comprese le sue triplette di accordi) fino al ritorno del motto iniziale nei fiati, cui gli archi fanno da scorta fino alla maestosa, enfatica e pesante reiterazione del motto che chiude su un RE in unisono di tutti gli strumenti, appena arricchito dal LA dei soli violini secondi. Poco prima i fiati avevano smaccatamente esposto una salita sulla triade di RE minore, dalla tonica alla dominante un’ottava sopra, che in un certo senso anticipa quella (ancor più estesa) in RE maggiore del Finale.

L’Allegro vivace (3/4 in SIb) è di fatto uno Scherzo con Trio. La prima sezione del motivo principale ricorda nell’incipit trocaico la seconda parte (battute 2 e 3) del motto di Haydn del primo movimento, e già con ciò insinua un vago elemento di ciclicità nell’opera:

Il tema principale si compone di due sezioni: alla prima, nei soli fiati e ripetuta, caratterizzata da una melodia per terze che scende e poi – modulando alla dominante FA - specularmente risale, ne segue una seconda (pure ripetuta) assai più ampia. Essa è costituita da un controsoggetto ancora nei fiati, cui subentrano gli archi con una progressione ascendente che porta alla riesposizione della prima sezione e poi ancora della prima metà di essa, la cui discesa si prolunga negli archi e quindi a canone anche nei fiati; quattro battute di cadenza in clarinetti e fagotti, con salita dalla dominante e ripiegamento sulla tonica chiudono lo Scherzo.

Il RE, mediante del SIb di impianto, diviene ora dominante del SOL maggiore su cui si dispiega il Trio, pure suddiviso in due sezioni: la prima (ripetuta) presenta una lunga e cullante melodia, ancora per terze, esposta dagli oboi con i flauti a trillare in una specie di idillio:


La melodia chiude sulla dominante RE. Dopo la ripetizione ecco una specie di sviluppo del Trio, con modulazione ancora a LA maggiore, da qui a minore e ancora a DO maggiore, da cui si torna al SOL per la conclusione del Trio, affidata ad una cadenza tonica-dominante negli archi. Essa porta, nei fiati, ad un brusco e abbastanza cacofonico ritorno al SIb dello Scherzo, le cui sezioni ora non vengono ripetute (come da sacre regole). Si arriva così alle quattro battute di cadenza di clarinetti e fagotti che però ora (a differenza dell’esposizione) vengono riprese dagli archi e poi anche dai fiati, che ampliano a dismisura tale cadenza, portando gradatamente ad una rarefazione del suono (crome intervallate da pause) fino al suo definitivo spegnersi in pianissimo, col pizzicato degli archi e il tappeto dei clarinetti che scendono, sempre per terze, da mediante-dominante a tonica-mediante.

Il brevissimo Andante che segue (54 sole battute in 2/4, SOL minore) è una vera e propria canzone, esposta praticamente dai soli primi violini, accompagnati dagli altri archi e da tre soli interventi dei fiati, rispettivamente di tre, cinque e sei battute. Come si vede, alla quinta battuta del tema rifà anche qui la sua comparsa il motto udito fin dal primo movimento.


Il tema si sviluppa toccando la relativa SIb maggiore, con il primo intervento di flauti e fagotti. Ancora gli archi con una divagazione che vira al MIb, per poi tornare al SOL minore. Qui i violini primi riespongono il tema e vengono contrappuntati a canone largo da flauti e fagotti (che entrano per la seconda volta).

Si noti al proposito la straordinaria rassomiglianza con un analogo passo - secondo tema, in SI minore, del movimento iniziale - della Terza Sinfonia di Ciajkovski:
Pura combinazione? Sappiamo che Ciajkovski scrisse la cosiddetta Polacca nel 1875, quindi 7 anni dopo la pubblicazione postuma della Sinfonia di Mendelssohn: che lui l’abbia potuta conoscere e ascoltare prima del 1875 non è dato sapere (la ascoltò a Parigi nel 1879, come risulta da una sua lettera al fratello); ma ciò che è certo è che il compositore russo (al contrario di tale Wagner, smile!) aveva di Mendelssohn la più alta considerazione, testimoniata dai numerosi articoli di stampa da lui vergati proprio in quegli anni. Le 4 note del tema sono le stesse usate dal compositore russo anche per aprire il suo primo Concerto per pianoforte, di pochissimo anteriore alla sinfonia.  Quindi…

Una cadenza finale che ricorda il secondo tema del movimento iniziale sfocia in SOL maggiore e prepara la tonalità con cui attacca il Finale. Il quale rappresenta probabilmente il lato peggiore di questa sinfonia. Intanto dal punto di vista della struttura, una cosa che definire bizzarra è un eufemismo: più che un tempo di sinfonia sembra una fantasia di motivi, uno più enfatico dell’altro, buttati lì quasi alla rinfusa. Vagamente possiamo distinguervi: un’Introduzione (il corale luterano) presentata in tempo lento e subito ripetuta in tempo veloce; poi l’esposizione di un’accozzaglia di motivi, proprio ammucchiati l’uno all’altro; quindi un ritorno del corale introduttivo; una specie di ripresa dei motivi precedenti, ma escluso il principale (!); infine la pesantissima perorazione del corale.

È il primo flauto ad esporre, in tempo Andante con moto (4/4), il motivo del corale luterano Ein feste Burg ist unser Gott (Una robusta fortezza è il nostro Dio):

Dopo che tutta l’orchestra (violini, contrabbassi e timpani esclusi) ne ha ripreso e sviluppato il tema, arriviamo all’Allegro vivace (6/8) dove quello stesso tema – su un tappeto giambico degli archi - si scatena nei fiati in una corsa degna di Quando passano per via gli animosi bersaglieri… dico, pare di vedere il povero Martin Luther correre con la lingua fuori (smile!)

Ma in fondo siamo ancora all’introduzione del movimento, che entra finalmente nel vivo dopo che gli strumentini hanno modulato il SOL come sottodominante di RE e lo hanno ribattuto con ostinate terzine, portandoci al RE maggiore dell’Allegro maestoso (4/4) di tutta l’orchestra. Qui l’esposizione ci presenta non meno di cinque (!) motivi, indicati nella figura con le lettere a), b), c), d) ed e):

Il primo di essi - mutuato da quello in RE minore prima della chiusa del primo movimento, e suonato a voce spiegata (quasi… sguaiata) da tutta l’orchestra - che sale dalla tonica alla mediante due ottave sopra, per poi scendere alla tonica e risalire alla sesta (un procedimento mutuato dal beethoveniano Imperatore) non verrà più ripreso nel seguito, quindi resta lì come un… cactus nel deserto (smile!) Segue il motivo b), sempre in RE maggiore e sempre a piena orchestra e subito lo incalza il c) ancora in fortissimo. Poi subentra il d), nella relativa SI minore, di chiara ispirazione bachiana, un motivo che Mendelssohn tratta ovviamente in contrappunto, poi lo espande con le note ribattute nei fiati e le crome spesso in tremolo negli archi. Si arriva così, modulando a LA maggiore, al motivo e) che nasce piuttosto sommesso nei fiati e si sviluppa poi nella sua seconda sezione, per portare dopo la sua fragorosa ripetizione ad accordi in fortissimo che conducono, su semiminime puntate e pesanti (anche qui Ciajkovski pescherà qualcosa…) ad un climax culminante in un accordo generale sulla dominante MI.

Ora subentra una specie di pausa di riflessione: prima il fagotto e i violoncelli, e poi il clarinetto ci ripropongono spezzoni del tema del corale luterano, subito raccolto dall’orchestra, tornata al RE maggiore (che non verrà più abbandonato) che ne espone una parte variata, sfociante nella ripresa del motivo b). Al quale ora segue direttamente il d) con il suo seguito di contrappunto, quasi esclusivamente negli archi.

Il tema del corale, ora dilatato a doppia ampiezza (anche se è cresciuto il tempo) torna enfaticamente nei fiati, prevalentemente tromboni, contrappuntato dal motivo d) negli archi; lo segue il motivo e) adesso esposto in fortissimo dall’intera orchestra, nelle sue due sezioni, la seconda delle quali viene ulteriormente ampliata e conduce ad un’atmosfera di preparazione alla chiusa, in cui qualcuno sente anche una spruzzatina di Weber (il passo dell’Ouverture del Freischütz che richiama l’esternazione di Max (Ha! Furchtbar gähnt der düstre Abgrund!) alla gola del lupo:


La coda è aperta da un nuovo motivo, esposto da archi e strumentini, con gli altri fiati a suonare quelli che vengono intesi come rintocchi di campane (tonica-dominante):


Il motivo viene reiterato e poi lascia spazio ad un nuovo imperversare dello scampanìo negli ottoni, irrobustito dai rintocchi LA-RE del timpano, finchè il corale non arriva con ampiezza (ed enfasi e affettazione, di conseguenza) ulteriormente raddoppiata, a chiudere in modo francamente assai più cattolico che luterano questa controversa sinfonia.
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Devo dire che Bignamini, oltre ad aver messo a memoria tutta la (pur non sterminata) partitura, ha fatto del suo meglio per rendercela quanto più digeribile: nel movimento iniziale ha ben messo in risalto i chiaroscuri (i violini, guidati da Dellingshausen, hanno mirabilmente esalato l’Amen); nei due centrali ci ha messo la giusta liricità e in quello conclusivo ha tolto il vivace dall’Allegro della seconda apparizione del corale (così il buon Martin non ha rischiato di schiattare, smile!)

Quindi grande successo per Direttore e Orchestra e arrivederci fra sette giorni quando – si spera, con tutti questi contrattempi – tornerà Aldo Ceccato per riprendere il suo cammino in compagnia di Dvorak.

2 commenti:

mozart2006 ha detto...

La vostra Zhang Xian dirigerà da noi la RSO des SWR, il 31 gennaio e 1 febbraio. Io ci sarò.

daland ha detto...

@mozart2006
Farà Hindemith e Grieg, o sbaglio?
Due autori che qui non ha (ancora) diretto.
Buon divertimento!
Ciao