Per il secondo concerto del 2013 torna
sul podio Martin Haselböck (al posto
di Claus Peter Flor) a dirigere laVerdi
in un programma direttamente
(Britten) o indirettamente (Mendelssohn) legato al mondo d’Oltremanica.
L’apertura è con l’Ouverture Meerestille und Glückliche Fahrt
del compositore amburghese di casa a Lipsia.
Come per Beethoven (che ci costruì una
cantata) l’ispirazione viene a Mendelssohn da due poesie di Goethe: Meeresstille,
dove il marinaio osserva impietrito e tremebondo una calma piatta che impedisce
alla nave di veleggiare verso la sua destinazione; e Glückliche
Fahrt, dove finalmente la brezza si rialza e la nave si rimette in moto.
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Per la verità l’iniziale Calma di mare (che occupa solo 44
battute, pur in Adagio, 3 sole delle
46 pagine della partitura e meno di un terzo della durata totale del brano - in Beethoven è parecchio più della metà...) non
ci trasmette proprio l’atmosfera rabbrividente di Goethe (Una quiete mortale che fa spavento! Todesstille fürchterlich! sentire per confronto come
la evoca Beethoven…) bensì un’immagine di siesta
sonnolenta e tranquilla, in assenza totale non solo di vento, ma anche di pathos. Al più si potrebbe pensare ad un
equipaggio composto da pii marinai, che religiosamente pregano fiduciosi il
buon Dio che gli mandi qualche refolo (smile!)
Le lente e ondeggianti volute degli archi, qua e là contrappuntati dai fiati, si muovono dal RE maggiore d’impianto al LA maggiore, poi tornano al RE, che chiude la prima parte sulla dominante LA, ove avvertiamo i primi soffi di vento, portati dal flauto.
La seconda parte è in una specie di forma-sonata. Innanzitutto troviamo un’abbastanza lunga e parecchio retorica introduzione (addirittura 51 battute!) tutta costruita attorno all’arpeggio di settima di dominante, e poi finalmente arriva il primo tema, in RE maggiore, che dalla mediante FA# scende cromaticamente alla sopratonica MI, per poi innalzarsi alla dominante LA; quindi la risposta poderosa – una citazione assai scoperta, anche se non letterale, di Beethoven - nell’unisono degli archi, che scende da mediante a dominante, passando per sopratonica e tonica. Il tutto ripetuto una seconda volta, prima della modulazione alla dominante LA del secondo tema, vagamente mutuato dalla beethoveniana Leonore.
In una specie di sviluppo abbiamo uno squarcio quasi di tempesta e di vento che fischia attraverso i cordami della nave, di cui si ricorderà il pochissimo riconoscente (anzi!) Wagner nel suo marinaresco Holländer. Si transita brevemente anche da DO maggiore, poi la nave fila veloce - la ripresa ripresenta i due temi principali, col secondo accodatosi ubbidiente al RE maggiore - e arriva a destinazione, fra enfatici martellamenti di timpani (intesi come strumenti musicali, ma anche come componenti dell’organo uditivo umano, smile!) dove è accolta trionfalmente da una fanfara in piena regola, prima di ammainare le vele e riposare al riparo dal vento, sullo specchio d’acqua del porto, piatto come un olio…
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Le lente e ondeggianti volute degli archi, qua e là contrappuntati dai fiati, si muovono dal RE maggiore d’impianto al LA maggiore, poi tornano al RE, che chiude la prima parte sulla dominante LA, ove avvertiamo i primi soffi di vento, portati dal flauto.
La seconda parte è in una specie di forma-sonata. Innanzitutto troviamo un’abbastanza lunga e parecchio retorica introduzione (addirittura 51 battute!) tutta costruita attorno all’arpeggio di settima di dominante, e poi finalmente arriva il primo tema, in RE maggiore, che dalla mediante FA# scende cromaticamente alla sopratonica MI, per poi innalzarsi alla dominante LA; quindi la risposta poderosa – una citazione assai scoperta, anche se non letterale, di Beethoven - nell’unisono degli archi, che scende da mediante a dominante, passando per sopratonica e tonica. Il tutto ripetuto una seconda volta, prima della modulazione alla dominante LA del secondo tema, vagamente mutuato dalla beethoveniana Leonore.
In una specie di sviluppo abbiamo uno squarcio quasi di tempesta e di vento che fischia attraverso i cordami della nave, di cui si ricorderà il pochissimo riconoscente (anzi!) Wagner nel suo marinaresco Holländer. Si transita brevemente anche da DO maggiore, poi la nave fila veloce - la ripresa ripresenta i due temi principali, col secondo accodatosi ubbidiente al RE maggiore - e arriva a destinazione, fra enfatici martellamenti di timpani (intesi come strumenti musicali, ma anche come componenti dell’organo uditivo umano, smile!) dove è accolta trionfalmente da una fanfara in piena regola, prima di ammainare le vele e riposare al riparo dal vento, sullo specchio d’acqua del porto, piatto come un olio…
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Esecuzione, a mio modesto avviso, un pochino
piatta (smile!) soprattutto nel Fahrt, dove anche i momenti di maggior vivacità
mi son parsi assai molli e poco incisivi: insomma, una prestazione senza infamia
e senza lode.
In omaggio al centenario della nascita del compositore, ecco poi la poco eseguita Serenade
di Benjamin Britten, opera composta
in piena Seconda Guerra Mondiale (1943, più o meno coeva del Peter Grimes) e ispirata da due
musicisti con cui Britten aveva rapporti speciali: di natura artistica (Dennis Brain) ed anche affettiva (Peter Pears): ciò spiega l’originale
organico del pezzo, scritto per tenore e corno solista, più una modesta (per
dimensioni, ovviamente) orchestra d’archi.
La struttura del pezzo, dedicato ad Edward Sackville-West (scrittore e
musicista, sponsor di Britten cui consigliò
i testi da musicare) prevede sei liriche
di autori britannici (dal 1400 al 1800) in qualche modo improntate alla notte
(da qui il titolo) cantate dal tenore e accompagnate (tranne l’ultima) in primo
piano dal corno, più un Prologo e un Epilogo, suonati dal solo cornista con armonici naturali (ciò che rispetto al
temperamento equabile implica che alcuni gradi siano calanti o crescenti). L’Epilogo
è perfettamente identico al Prologo, ma è da suonarsi da dietro le quinte, e
ciò spiega perché l’ultima lirica non abbia l’accompagnamento del corno, per
dar tempo all’esecutore di abbandonare il palco e andare a… nascondersi. Qui
un’esecuzione agli Arcimboldi, nel maggio del 2002, della Filarmonica scaligera
e della sua prima parte, il grande Danilo Stagni, che per Prologo ed Epilogo imbraccia
direttamente un corno… naturale, al posto di quello moderno.
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Prologue (Epilogue, come detto, è identico) consta di 14 battute che il
cornista può intonare sempre ad libitum pur
in presenza dell’indicazione agogica di Andante
e metronomo 80 semiminime. Il tempo
non è esplicitamente indicato, poichè continua a variare: 5 – 4 – 5 – 7 – 5 – 5
– 4 – 4 – 7 – 5 – 6 - 6,5 - 4 - 5 (semiminime per battuta). La tonalità è FA,
quella di base del corno (qui la parte non
trasposta):
La
melodia richiama proprio atmosfere da guardiano
notturno: vengono toccati tutti i gradi della scala diatonica di FA, ad
eccezione del settimo, che è abbassato (battute 7 e 9). Si noti come tutte le
battute (tranne la quintultima e l’ultima) abbiano un incipit in metro giambico (nota breve seguita da
nota lunga): anche le prime tre liriche saranno caratterizzate da questo metro.
Pastoral
(Lirica
originale: The Evening Quatrains di Charles Cotton - 1630-1687 – 10
quartine, di cui musicate le 1-3-4-10) – Lento,
3/8, 4/8, 5/8, RE bemolle.
La
sera scende e le ombre si allungano: così le formiche assomigliano a mostruosi
elefanti; il pastorello ad un maestoso Polifemo; la gente siede e ciarla,
finchè Febo, tuffandosi
nell’Occidente, indica a tutto il mondo la strada del riposo.
Bellissima
la melodia principale della voce (ricorda atmosfere del contemporaneo Grimes) che scende da dominante a
dominante lungo la triade maggiore, per poi risalire alla mediante, contrappuntata
dal corno (che si inabissa fino al MIb grave):
La
seconda strofa è simile alla prima, ma dal terzo verso sale di un semitono,
chiudendo poi sul SOL#, invece che sul FA. La terza strofa (dove le ombre
ingigantiscono gregge e pastorello) è quasi tutta in puntato, prima di adagiarsi sulla tonica REb. L’ultima strofa
riprende la forma originale, ma modula a MIb, prima di tornare a REb, con una
discesa della voce dalla sottodominante SOLb alla dominante LAb, imitata dal
corno che rimane da solo a chiudere sull’arpeggio discendente LAb-FA-REb-LAb.
Nocturne
(Lirica
originale: The
splendour falls, dalla raccolta The
Princess di Lord Alfred Tennyson -
1809-1892 – 3 strofe, tutte musicate) – Maestoso,
4/4, 5/4, 6/4, cadenze libere, MIb-LA-MIb.
Splendido
poema di contemplazione della natura (con castelli, monti, valli, sommessi
suoni di corni di elfi, echi che si perdono lontano) ma con indiretti
riferimenti anche ai concetti di vita e di morte.
Le
tre strofe (le estreme in MIb maggiore, l’interna in LA minore) sono
accompagnate dagli archi con brillanti incisi giambici, che sembrano gettare
lampi di luce su oggetti e panorami, e ripetono una specie di ritornello (Blow, bugle, blow,
set the wild echoes Flying / Bugle blow; answer, echoes, dying, dying, dying
– Suona tromba, suona, fai volare
echi selvaggi / rispondete, echi, morendo, morendo, morendo) che Britten
musica come Cadenza (senza misura) e in cui il corno – che
per il resto tace - è chiamato a veloci e concitate terzine in staccato:
La
melodia delle tre strofe ha la stessa base, ma con diverse varianti, di
armonizzazione e altezza. Dopo l’ultimo ritornello il corno chiude restando
sulla dominante grave (SIb) accompagnato dai quattro incisi giambici degli
archi.
Elegy
(Lirica
originale: The Sick Rose
da Songs of Experience di William Blake - 1757-1827 – 2 strofe) –
Andante appassionato, 4/4, MI minore,
maggiore.
Brevissima
lirica (8 versi) che piange una rosa malata, rosa dall’invisibile verme notturno, il cui oscuro amore la
distrugge. Evidente qui la simbologia rosa=amore e verme=morte e sotterranea
l’allegoria della relazione amore-peccato ancora così radicata nella società di allora, ma anche dei tempi di Britten
(che ne doveva saper qualcosa) e pure di oggi…
Il
corno incastona il recitativo (lento) della voce (sul quale si tace) con
due lunghe melopee che sul pedale giambico degli archi si caratterizzano per
una serie di seconde minori (SOL#-SOL,
SOL-FA#, SI-SIb, SIb-LA, MI-MIb, MIb-RE, RE-DO#, DO-SI, SI-SIb, FA-MI, …) che
bene evocano la lenta azione erodente
del virus; qui la seconda (parte non
trasposta) che chiude sul SOL#-SOL-SOL#:
Dirge
(Lirica
originale: Lyke-Wake Dirge di autore
anonimo - 15° secolo – 11
strofe, tutte musicate tranne le 6-7) – Alla
marcia grave, 4/4, SOL minore.
Lungo
canto funebre (Lyke-Wake significa
vegliare una salma) in lingua arcaica e in forma di filastrocca. Vi si promette
il Paradiso o l’Inferno a seconda dei comportamenti – caritatevoli o egoisti -
dell’individuo. Ma sempre… Christe receive thy saule, Cristo riceva la tua anima.
Il
motivo principale è un ostinato ondeggiare, a mo’ di cantilena, su una seconda
minore: SOL-LAb-SOL, che in sostanza riprende, a note invertite, la battuta
finale della lirica precedente:
Il corno entra solo nella
quartultima (From
Brig…) e terzultima (If ever…) strofa, con spettrali figurazioni,
mentre il passo di marcia si fa più pesante:
Hymn
(Lirica
originale: Hymn to Diana da Cynthia’s Revels di Ben Jonson - 1572-1637 – 3 strofe, tutte musicate) – Presto e leggiero, 2/4, 6/8, SI bemolle.
Inno
a Diana (Cinzia) che trasforma la
notte in giorno e impedisce così alla terra di cadere preda delle tenebre.
Scoperto (ai tempi) il riferimento alla Regina
Elisabetta I, assimilata a faro dell’impero britannico!
È
l’unica lirica caratterizzata da grande gaiezza e umorismo. Qui il corno è
chiamato a difficili passaggi, con veloci terzine e scale ascendenti e
discendenti:
E dove anche la voce deve eseguire
lunghe volate:
La chiusa del corno, sul SIb
grave, sembra quasi un’amabile… sberleffo alla sovrana!
Sonnet
(Lirica
originale: To sleep di John Keats - 1795-1821 – 14 versi, tutti
musicati) - Adagio, 4/4, chiave di RE
maggiore – SI minore, ma tonalità in perenne modulazione.
Inno
al sonno, che ci fa dimenticare ogni dispiacere: le melodie sono lente,
cullanti e le armonie continuamente cangianti.
È
però anche un inno al sonno eterno, la morte, in cui trovare finalmente pace. E
la pace per Britten arriva proprio sulla battuta conclusiva, sulla parola Soul (Anima) allorchè gli archi virano all’accordo
di RE maggiore.
Come
detto, in questa lirica il corno tace e l’esecutore si rifugia dietro le
quinte, per suonarvi l’Epilogue.
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Radovan
Vlatkovich ha fatto tutto con un
corno moderno limitandosi, in Preludio ed Epilogo, a non mettere le dita sulle…
valvole e consegnandoci quindi gli sgradevoli suoni armonici (SIb e RE) come da
prescrizione britten-iana! Come sempre ha fatto sfoggio della sua
tecnica sopraffina e della sua grande sensibilità.
Il 29enne Julian Prégardien ha cantato abbastanza bene, peccato che la sua sia proprio una vocina, che fatica a passare.
In complesso comunque un’esecuzione più che apprezzabile, che rende pieno merito a questa originale partitura.
Il 29enne Julian Prégardien ha cantato abbastanza bene, peccato che la sua sia proprio una vocina, che fatica a passare.
In complesso comunque un’esecuzione più che apprezzabile, che rende pieno merito a questa originale partitura.
La chiusura del concerto è ancora
riservata a Mendelssohn, ma un Mendelssohn… Scozzese. I cui suoni si
sono diffusi ultimamente in Auditorium meno di un anno fa, tramite la bacchetta
del venerabile Sir Neville
Marriner.
Miracolosamente, qui un bel cipiglio si manifesta fin dalle prime battute e così orchestra e direttore riscattano in pieno la scialba apertura di serata con un’esecuzione davvero convincente. Fausto Ghiazza sciorina un’inebriante cascata di note nel Vivace non troppo e Sandro Ceccarelli trascina il pacchetto dei corni in un superbo Maestoso conclusivo. Ma l’Adagio resta sempre il momento più sublime della sinfonia. Bravi!
Miracolosamente, qui un bel cipiglio si manifesta fin dalle prime battute e così orchestra e direttore riscattano in pieno la scialba apertura di serata con un’esecuzione davvero convincente. Fausto Ghiazza sciorina un’inebriante cascata di note nel Vivace non troppo e Sandro Ceccarelli trascina il pacchetto dei corni in un superbo Maestoso conclusivo. Ma l’Adagio resta sempre il momento più sublime della sinfonia. Bravi!
Il prossimo è un appuntamento di quelli
capitali: il Requiem
di Brahms!
2 commenti:
Bellissima l'analisi della serenata, posso chiederti se per caso hai trovato lo spartito online gratuito? Interessante soprattutto quel richiamo dell'intervallo di semitono dal finale dell'elegia all'inizio della veglia. Proponiti per scrivere i programmi de laVerdi che come grado di approfondimento musicologico sono migliorabili!
@Alberto
Grazie dell'apprezzamento, che contraccambio per i tuoi interventi sul blog e su Operaclick!
Ho la partitura della Serenade (versione con accompagnamento al piano) che ho acquistato tempo fa dal mio... fornitore abituale di partiture non disponibili online (Sheet Music Plus).
Riguardo i programmi di sala de laVerdi, rimando la palla nel tuo campo!!!
Ciao!
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