Questa settimana si torna
alla grande tradizione ottocentesca con due somme Terze: Beethoven e Schumann! Sul podio di un Auditorium assai affollato (ma chissà mai
perchè...) Claus Peter Flor, che
schiera l’orchestra in configurazione crucca, con i secondi violini al
proscenio (così finalmente si possono ammirare anche loro, che solitamente
stanno nascosti nel mezzo del plotone) i bassi a sinistra e i timpani giù al
pianterreno, sulla destra.
Due sinfonie che hanno in
comune poco più che la tonalità di impianto (MIb maggiore) essendo separate
da... una vita, 47 anni! Da una parte il Beethoven severo illuminista e dall’altra
lo Schumann romantico sognante.
Dunque, l’Eroica
per eccellenza. Flor forse esagera un filino con i contrasti (di agogica e
soprattutto dinamica) e così, invece del (del resto detronizzato) Bonaparte,
pare far capolino... Don Chisciotte. Ma è una lettura stimolante, a dispetto di
qualche simpatica sguaiatezza. La marcia
funebre mi è parso il movimento più equilibrato e ispirato.
Da lodare tutti i ragazzi
per la pulizia del suono e la precisione esecutiva (il Trio dei corni ne è stato chiaro esempio) il che gli ha garantito
un’accoglienza trionfale.
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Ecco poi la Renana.
È lo Schumann tornato a vivere (prima della fatale ricaduta) in quel di Düsseldorf,
e nella sinfonia chi canta e sogna è proprio il suo lato intimistico (Eusebius)
come dimostra lo Scherzo, trasformato
in una specie di Lied...
Flor mette bene in risalto
la struttura (per così dire) concava della sinfonia, con i due movimenti
esterni che risaltano in piena luce, lasciando in una discreta e sognante penombra
(che si fa davvero misteriosa nel chiesastico corale dei tromboni) i tre
interni.
Grande successo per i
ragazzi e ripetute chiamate per il Direttore: insomma, una serata di musica di
quelle che ti fanno scordare le miserie che ci circondano.
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