Tutta Spagna – in occasione della Festa
Nazionale - nell’appuntamento settimanale in Auditorium. Iberici sono i due
autori presentati (DeFalla e Albéniz) come pure (almeno di origine) i due...
presentatori: il Direttore José Antonio Montaño e il pianista (nato a Cuba da genitori
spagnoli) Jorge Luis Prats. I due –
lo dico con la massima simpatia – visti insieme paiono proprio Don Quixote e
Sancho Panza!
Si inizia con
una composizione per pianoforte e orchestra di Manuel deFalla, che ebbe una lunga gestazione: dopo aver composto
alcuni notturni per pianoforte durante il soggiorno parigino (1909-14) nel 1915, trasferitosi
presso Barcelona in una villa del pittore Santiago Rusiñol, deFalla
fu colpito da alcuni quadri aventi per soggetto diversi famosi giardini
spagnoli. Da qui l’idea di trasformare i notturni in una grande composizione
per solista e orchestra. Ecco quindi nascere Noches en los jardines de España, la cui prima esecuzione ebbe luogo a Madrid poco
più di un secolo fa, domenica 9 aprile 1916: sul podio l’amico Enrique Fernández Arbós, che ritroveremo poi a fianco di Albéniz.
La struttura
sembra, ma è solo apparenza, quella di un concerto,
con i classici tre movimenti; si può in realtà apparentare - come contenuti extramusicali
- ai poemi sinfonici romani di
Respighi (pini, fontane, folklore): ciasuno dei tre brani si ispira infatti ad
un diverso giardino e a danze popolari dell’Andalusia. Ma è soprattutto all’impressionismo
francese (Debussy, Ravel, che deFalla ben conobbe e frequentò nei suoi
soggiorni parigini) che si richiama invece scopertamente l’orchestrazione.
I. En el
Generalife - Allegretto tranquillo e misterioso. Siamo all’Alhambra, Granada, precisamente nel giardino dell’architetto, fra cipressi, frutteti,
fiori, fonti e specchi d’acqua pura. La tranquillità vi regna sovrana, rotta
soltanto da improvvise irruzioni sonore, quasi fossero zampilli d’acqua che si
aprono nelle fontane del giardino, o cascatelle che si animano improvvisamente.
II. Danza lejana
– Allegretto giusto. A differenza di quanto fece per gli altri due, deFalla
non lasciò mai indicazioni specifiche riguardo il luogo ispiratore di questo
secondo brano, una tipica danza gitana. C’è chi ipotizza che l’aggettivo lejana (lontana) stia a significare
musica che arrivava all’orecchio dell’autore da Albaicìn (che si trova a nord-ovest dell’Alhambra) poco distante
dalla sua casa di Granada.
III. En los
Jardines de la Sierra de Córdoba - Vivo. La scelta del riferimento
geografico per questa danza a sfondo erotico-spirituale potrebbe essere dipesa
dalla conoscenza che deFalla aveva della figura del filosofo arabo Ibn Masarra, che aveva stabilito la sua
dimora, circondata da giardini, appunto nella foresta attorno a Córdoba.
___
Seguiamo la musica facendoci guidare dalla
venerabile Martha Argerich.
I. C’é praticamente un solo tema che spazia
lungo l’arco del brano, in forma originale e variata o derivata, prima in modo
minore, poi in maggiore, ed è un tema languido dove la melodia si muove per
gradi congiunti e continui ondeggiamenti. Il pianoforte la ripete,
aggiungendovi, con l’arpa, figurazioni liquide,
proprio ad evocare – con taglio decisamente impressionista - l’ambiente
naturale.
In tempo Allegretto tranquillo e misterioso il tema conduttore viene subito anticipato da
viole ed arpa, punteggiato da accordi dell’orchestra. A 29” il corno, poi il
corno inglese e infine i violoncelli lo sviluppano ulteriormente, preparando
l’ingresso del solista (1’06”) che espone il tema, insieme
al clarinetto e poi al corno, subito ripetendolo e arricchendolo. A 1’44”
ancora corni, poi flauti e clarinetti reiterano il motivo, finchè (2’08”,
Poco più animato) arriva la prima
irruzione: è il pianoforte ad innescarla, trascinandovi l’intera orchestra, che
sembra rispondere con scrosci d’acqua.
A 2’34” sono i fagotti, con i violoncelli in pizzicato, a
proporre una variante del tema, presto raggiunti dal pianoforte che prosegue in
crescendo fino a tacere (3’01”, Tempo giusto) lasciando all’orchestra il compito di presentare
un’ennesima variante del tema che porta (3’18”) al ritorno del solista con un
motivo cantabile, in modo maggiore, chiaramente derivato dal tema principale. A
3’51”
è l’orchestra a rispondere con piglio nobile (si noti la perorazione dei corni)
alla sollecitazione del solista, per poi spegnersi (4’20”, Tranquillo, ma non tanto) in corni,
clarinetti e flauti e, dopo un cupo intervento degli archi bassi in tremolo,
riprendere il tema principale (4’44”) con l’accompagnamento
arpeggiato del pianoforte. Due stentorei interventi (5’11 e 5’20”)
di trombe e corni portano (5’28”, Poco calmo) ad un intermezzo orchestrale che richiama un classico
stilema andaluso.
Poi (5’59”) il solista si imbarca in una specie di cadenza
arpeggiante, con clarinetto e archi a cantare sempre il motivo principale; al
termine della quale (6’37”) l’orchestra ribadisce la
cadenza andalusa. Il solista (6’54”) e poi corno inglese e fagotto
(7’34”)
ripropongono spezzoni del tema, con tempi allargati, quindi (7’57”)
accompagnato con discrezione da pochi strumenti dell’orchestra, il pianoforte
riespone, sviluppato al massimo grado, il motivo principale, conducendolo... in
braccio all’orchestra (8’40”).
Qui abbiamo un colossale crescendo
orchestrale, che sviluppa il tema in volute sempre più alte portando (9’07”,
Largamente, ma non troppo) ad una
grandiosa perorazione, sfociante (9’35”) nella dimessa coda conclusiva, con il tema che si
spegne lentamente, nel corno, fino agli accordi in pianissimo di DO# maggiore.
II. A 10’55” in tempo Allegretto giusto sono le viole su un sottofondo del contrabbasso
solo che richiama ancora il tema del primo movimento, ad introdurre questa
danza gitana, il cui nucleo di base (3/4) è costituito da minima, doppia croma
e minima, terza minore ascendente e poi discendente. È esposto inizialmente (11’03”)
da corno inglese e flauti, che al motivo di base fanno seguire uno svolazzo per
terze (qualcosa che ci ricorda... Carmen, guarda caso!)
A 11’18” tocca al clarinetto ribadire il motivo elementare e poi,
dopo quattro piccoli schianti dei legni, entra il solista (11’29”) che espone il
nucleo di base e poi lo sviluppa ampiamente con una seconda sezione più ricca,
dal sapore intensamente andaluso, ben supportato a turno dai diversi strumenti
dell’orchestra. Si arriva così a 12’21”, Poco animato, dove l’orchestra (si noti l’ingresso della celesta)
ripresenta la seconda sezione del tema. Questa (12’32”, Tempo giusto, molto
ritmico) viene ribadita con protervia dal
pianoforte e da tutta l’orchestra.
Adesso il solista tace e Accelerando pochissimo, ma gradualmente (12’42”) sono i corni e poi le trombe con sordina
a ribadire la seconda parte del tema, sopra un ribollire degli archi e i secchi
accompagnmenti di arpa e legni. A 12’51”, Poco più vivo che prima, è ancora il solista a subentrare, rimbeccato poi (13’16”) dall’orchestra.
A 13’24” (Doppio meno vivo) tocca ai corni esporre la cellula di base, successivamente ripresa con il
seguito (13’34”) arricchito ulteriormente dai legni sull’accompagnamento
del pianoforte.
Si arriva così (14’34”, Stringendo sempre, ma gradualmente) ad un culmine (Tempo giusto, ma vivo, 14’45”) chiuso dal classico stilema andaluso in
arpa e archi bassi. Adesso il tempo torna Tranquillo (14’59”) e sul tremolo dei violini è la celesta
(con flauti e ottavino) a riproporre il motivo di base, con agogica dilatata,
seguita e poi accompagnata da trombe, corno inglese e flauti.
A 15’40”, Poco animato, il pianoforte si
imbarca in un crescendo che porta direttamente, senza alcuna soluzione di
continuità al...
III. Tempo Vivo
(15’53”, 3/4). L’Andalusia qui la fa davvero da
padrona, fin dall’attacco di archi e legni che prefigurano il primo tema,
esposto poi (16’15”) dal pianoforte che lo reitera e lo chiude con un
classico stilema gitano.
Violini e strumentini (16’36”, Calmando appena e gradualmente) con una scala discendente portano
verso un secondo tema (Allegro moderato)
introdotto da corni, violini e viole (16’52”) con un motivo di chiara
matrice andalusa. È il pianoforte (17’00”) ad esporre il nuovo tema,
tipicamente fandango di Malaga, la
cui prima sezione è seguita dal motivo introduttivo (corni, violini e viole)
mentre poi la seconda (17’21”) si dispiega compiutamente,
intercalata (17’33”, Tenuto e pesante)
da accordi di archi, corni e fagotti prima di procedere (17’37”) ad una discesa
plagale, autentico stilema flamenco. L’episodio
si chiude su una specie di cadenza del pianoforte, caratterizzata da ubriacanti
svolazzi, prima che torni (17’59”) il motivo che ha introdotto
il secondo tema.
Ora (18’08”) gi archi ritornano al primo tema, assai variato e mosso
da veloci figurazioni del pianoforte e dei legni, con i corni a contrappuntare
con possenti figurazioni di sapore andaluso. Si arriva quindi ad un accordo
generale (18’51”) che dà il via all’esposizione di un terzo tema (18’51”,
Ben misurato) molto pesante, ripreso
poi (19’14”)
dal pianoforte in continuo dialogo con l’orchestra.
A 19’52” (Più liberamente, con espressione) il
tema viene reiterato dal solista, accompagnato da incisi dei fiati. A 21’10”
ecco una transizione dove il tempo rallenta gradatamente, portando (21’12”)
ad una stasi in cui il tema viene esposto con grande larghezza, finchè (22’05”)
il pianoforte riprende il tema del fandango.
A 23’01” (Con ampiezza, ma
non troppo) l’orchestra riprende il terzo tema, seguita dal solista, e il
suono si perde in lontananza nei corni e in tre sommessi rintocchi di piano,
timpani e pizzicato degli archi
bassi.
___
Prats ci dà dentro come un forsennato,
mettendo a dura prova le corde dello strumento, e garantendo così il posto di
lavoro all’accordatore (!) Si tiene lo spartito sul leggìo, il che evidentemente
significa che il pezzo non è proprio nel suo repertorio abituale, ma non significa
che la sua interpretazione sia improvvisata o approssimativa, al contrario: per
dire, la sua esposizione del tema di fandango del movimento conclusivo è stata davvero
trascinante.
___
Seguono le due Suite da El sombrero de tres picos,
il balletto che deFalla aveva derivato (su richiesta di Diaghilev) da una sua precedente pantomima. L’esilarante
storiella –
vittima il Corregidor (Podestà lo
chiameremmo noi...) - che fa da soggetto al balletto fu opera di Gregorio Martinez Sierra, che si ispirò ad un racconto di Pedro Antonio de Alarcòn. Per la prima londinese
del 1919 venne ingaggiato anche Pablo
Picasso, che disegnò i fondali e i costumi.
Gli 8 numeri delle due
Suite (5 + 3) rispettano fedelmente la sequenza dei brani delle due parti del
balletto, come riportato nel seguente schema:
balletto
|
suite
|
||
I-1
|
Introduzione
|
1-1
|
Allegro ma non troppo
|
voce
|
|||
Introduzione (ripetuta)
|
|||
2
|
Meriggio
|
||
Il mugnaio e il merlo
|
|||
La moglie del mugnaio
|
|||
La fonte
|
|||
Il bellimbusto
|
|||
La processione
|
2
|
Allegretto mosso (dal segno 11)
|
|
3
|
Danza della mugnaia
|
3
|
Allegro ma non troppo (Fandango)
|
Il Podestà
|
4
|
Moderato
|
|
I grappoli d’uva
|
5
|
Vivo
|
|
Danza della mugnaia (ripresa)
|
Vivo
|
||
II-1
|
Danza dei vicini
|
II-1
|
Allegro ma non troppo (Seguidilla)
|
2
|
Danza del mugnaio
|
2
|
Poco vivo (Farruca, fino al segno 12)
|
La guardia del corpo
|
|||
La mugnaia
|
|||
voce
|
|||
Il Podestà
|
|||
3
|
Danza del Podestà
|
||
Il Podestà e la mugnaia
|
|||
Il mugnaio
|
|||
4
|
Danza finale
|
3
|
Poco mosso (Jota)
|
Il mugnaio braccato dalla guardia
|
Poco più mosso
|
||
Il lancio in aria del Podestà
|
Più vivo ancora, ma non troppo
|
Complessivamente le due Suite incorporano
circa i 2/3 (di durata) dell’intera musica del balletto, che contiene anche un
paio di interventi cantati (per mezzosoprano).
Montaño guida con sicurezza un’Orchestra in gran
forma, che non perde un colpo nell’affrontare una partitura davvero difficile
come questa. La jota conclusiva in particolare trascina
il pubblico all’entusiasmo.
___
Di Isaac Manuel Francisco Albéniz ecco infine le Cinque impressioni da Iberia nell’arrangiamento
per orchestra di Enrique Fernández Arbós. Composta fra il 1905 e il 1909, l’opera originale è
costituita da 12 pezzi pianistici raggruppati in quattro quaderni. Dopo un
abortito tentativo di orchestrarli, il compositore, ormai vicino alla morte
prematura, chiese all’amico Arbós di farne una versione strumentale, e costui
ne cavò una suite di 5 brani.
La tabella sottostante riporta la struttura dell’opera originale e la
sequenza dei 5 brani orchestrati da Arbós:
quaderno
|
Albenìz
|
Arbós
|
tempo
|
I
|
1. Evocación
|
1
|
Allegretto espressivo
|
2. El Puerto
|
4
|
Allegro comodo
|
|
3. Fête-Dieu à Séville
|
2
|
Allegro gracioso
|
|
II
|
4. Rondeña
|
Allegretto
|
|
5. Almería
|
Allegretto moderato
|
||
6. Triana
|
3
|
Allegretto con anima
|
|
III
|
7. El Albaicín
|
5
|
Allegro assai, ma melancolico
|
8. El Polo
|
Allegro melancolico
|
||
9. Lavapiés
|
Allegretto bien rythmé mais sans presser
|
||
IV
|
10. Málaga
|
Allegro vivo
|
|
11. Jerez
|
Andantino
|
||
12. Eritaña
|
Allegretto grazioso
|
Come per le Noches di deFalla, anche Albéniz si focalizza
sull’Andalusia, che ispira la quasi totalità dell’opera (l’eccezione è Lavapiés, piazza di Madrid). L’orchestrazione
di Arbós è forse troppo carica e spesso fa perdere leggerezza e freschezza ai
quadretti di Albéniz che, come testimoniano le indicazioni agogiche, si muovono
quasi sempre in punta di piedi e raramente lasciano spazio ad enfasi e
affettazione.
Il pubblico – non proprio oceanico, direi – riserva comunque a tutti applausi calorosi: fuori, dopo le note dell’assolata Andalusia, lo attende la fastidiosa pioggerella milanese di un inverno precoce.
Il pubblico – non proprio oceanico, direi – riserva comunque a tutti applausi calorosi: fuori, dopo le note dell’assolata Andalusia, lo attende la fastidiosa pioggerella milanese di un inverno precoce.
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