Il Festival
Internazionale Donizetti-Opera offre quest’anno due primizie: Olivo&Pasquale e Rosmonda d’Inghilterra.
Quest’ultima opera fu rappresentata in prima
assoluta a Firenze (Teatro della Pergola)
giovedi 27 febbraio 1834 e poi, dopo una fugace ripresa a Livorno 11 anni più
tardi... scomparve dai radar per 130 anni! Rimessa recentemente a nuovo dalla Fondazione Donizetti (curatore Alberto Sonzogni) costituirà il primo passo del progetto Donizetti a Firenze, che intende appunto indagare e sviluppare gli
aspetti del rapporto fra il compositore bergamasco e la città toscana. Ecco quindi
che, in vista delle rappresentazioni di fine novembre a Bergamo (in forma scenica) l’opera viene data in una
specie di anteprima (in forma di concerto) a Firenze, non nella natìa Pergola
peraltro, ma nella monumentale OF (la terza ed ultima recita del 15 verrà trasmessa da Radio3). Sotto la
guida del Direttore Sebastiano Rolli,
quattro dei cinque interpreti canteranno sia a Firenze che a Bergamo, con due diverse
orchestre e cori, fiorentini e bergamaschi.
___
Il libretto di Felice
Romani (che anni prima ne aveva prodotto uno di pari soggetto per Carlo Coccia a Venezia) narra di vicende
piuttosto complicate (sennò che melodramma sarebbe?) accadute a Woodstock (no, gli hippy non c’entrano, qui siamo in Inghilterra, l’America era
ancora di là da venire!) nel lontano secolo XII, in un maniero dell’allora Re
Enrico II. Costui, uno sciupafemmine degno antesignano del più famoso ottavo della serie, se la fa, sotto il
falso nome (e te pareva...) di Edegardo (che sarebbe poi Edgardo in romanesco) con
la bella Rosmonda (che per parte sua si innamora perdutamente di lui,
ignorandone la vera identità) cornificando alla grande la nobile Leonora di
Guienna e meditando il divorzio da quest’ultima.
Come sempre (o spesso, nei melodrammi perlomeno)
accade, c’è qualcosa che va storto ai Re fedifraghi: capita che il giovane
(Arturo) cui il Re incautamente affida in custodia segreta Rosmonda, mentre lui
è occupato in una delle solite e noiose guerre con l’Irlanda, abbia non uno, ma
ben due buoni motivi per sputtanarlo di fonte alla moglie: il primo è che lui,
povero orfanello, deve proprio a Leonora la sua sopravvivenza, ed è quindi in
debito di riconoscenza verso la Regina, cui rivela la tresca; il secondo è che
lui è a sua volta innamorato stracotto di Rosmonda!
Non bastasse, si scopre che il padre di Rosmonda è
tale Clifford, il vecchio tutore del Re, che appena scopre la tresca non esita
a rampognare il suo sovrano (ed ex-pupillo) ingiungendogli di lasciare l’amante
(che ancora ignora essere la figlia, dalla quale si era dovuto separare perchè
furbescamente spedito dal Re in una missione diplomatica) per tornare alla
mogliettina fedele, e ottenendo il permesso di incontrare la donna oggetto di
adulterio per indurla al pentimento. Quando poi scopre trattarsi della figlia
abbiamo una prolungata scena madre: Clifford svela a Rosmonda, che se ne
dispera, l’identità dell’amante, che puntualmente arriva e conferma le sue
intenzioni di sposarla e di scacciare Leonora. La quale a sua volta
sopraggiunge e così abbiamo un parapiglia perfettamente adatto a reggere il grandioso concertato del finale primo!
Enrico insiste nel suo disegno (sbarazzarsi della
moglie e sposare Rosmonda) ma Leonora si mostra tutt’altro che arrendevole e
pare ben decisa a non farsi divorziare
dal marito, al quale – durante un epico scazzo – rammenta che lui, insignificante
Duca di Normandia, deve proprio a lei e al suo prestigio internazionale la sua
ascesa al trono. Per di più gli manifesta immutato amore (!?)
Leonora ha un piano, che Clifford approva ed espone
alla figlia: verrà spedita in Aquitania, sposata ad Arturo (che esulta per
l’insperato regalo!) Rosmonda preferirebbe il convento (dopo Edegardo-Enrico
lei non può amare altri uomini) ma alla fine cede ed accetta. Però poi è
talmente ingenua da tradirsi involontariamente proprio con Enrico, che le ha
appena annunciato di volerla far Regina.
La situazione precipita: mentre attende il momento
della partenza, Rosmonda è raggiunta da Leonora, che la accusa di aver
deliberatamente fatto fallire il suo piano (al fine di sostituirla sul trono) e,
armata di pugnale, è decisa a liberarsi di lei. Ma poi, impietosita dalle
attestazioni d’innocenza della rivale, pare quasi orientata a risparmiarla. Senonchè
in quel preciso momento arrivano Enrico e i suoi per sventare il suo piano,
così Leonora trafigge Rosmonda e può proclamare in faccia al marito: Trema, Enrico! Io regno ancor! (Qui chiude il libretto originale, ma... ci saranno
delle sorprese.)
___
Beh, insomma, non sarà un libretto all’altezza delle
opere della trilogia Stuart, ma non è
nemmeno da buttare. Va detto che quattro dei cinque personaggi hanno
un’identità storica ben precisa: Henry II, Eleanor of Aquitaine, Rosamund
Clifford e suo padre Walter (e anche Woodstock è un luogo ben preciso nell’Oxfordshire).
Solo Arturo è un’invenzione del librettista, al quale serviva per romanzare la
vicenda: storicamente non è per nulla accertato, tutt’altro, che Rosamund sia
stata eliminata da Eleanor: lo tramandano soltanto alcune tradizioni popolari.
E in realtà pare che il Re e l’amante abbiano convissuto addirittura per 10
anni, avendo forse pure un paio di figli, prima della morte di lei, appena 26enne.
___
Quanto alla musica, il suo livello spiega a fatica
la collocazione dell’opera fra le minori
di Donizetti, e meno ancora giustifica il letargo secolare che l’ha colpita: la
struttura drammaturgica è assai solida, pochi sono i cali di tensione e i
diversi numeri (solistici o di gruppo) sono di ottima fattura. Come ad esempio l’aria
d’esordio di Rosmonda Perchè non ho del vento l’infaticabil volo?
seguita dalla cabaletta Torna, ah! Torna, o caro oggetto, che verranno da
Donizetti riciclate (complice la Fanny
Tacchinardi-Persiani, prima Rosmonda a Firenze) nientemeno che al posto di Regnava nel silenzio (!) dapprima nelle
rappresentazioni veneziane della Lucia
del 1837, poi nella versione francese della Lucie
(Que n'avons-nous des ailes? e Toi par qui mon coeur
rayonne).
Ci sono anche due numeri, per così
dire, contestati, nel senso che non si trovano nel libretto uscito in occasione della prima
dalla stamperia Fantosini di Firenze. Si tratta di una nuova cabaletta di Leonora (Ti vedrò, donzella audace, nella seconda scena - con Arturo - in
sostituzione di Sì, ti leggo in cor) e del finale
dell’opera (Tu! spergiuro, disumano) cantato da Leonora e
coro. Queste varianti si trovano nella partitura manoscritta di pugno
dell’Autore, scovata a San-Pietro-a-Majella
nei primi anni ’70 dello scorso secolo da parte di Patric Schmid, co-fondatore di OperaRara,
scomparso nel 2005, il quale le ha poi presentate in esecuzioni pubbliche e in
registrazione (1975 e poi 1994). Va ricordato che l’opera avrebbe dovuto essere
rappresentata (ma non è certo che lo fu) a Napoli nel 1837, con il titolo Eleonora
di Gujenna, il che probabilmente spiega la presenza del
manoscritto nel locale Conservatorio. In attesa di ascoltarla dal vivo, ci possiamo
gustare la registrazione del 1994 di OperaRara con
la Fleming.
(1. continua)
Nessun commento:
Posta un commento