Dopo la prima,
alcune reazioni abbastanza… premeditate parlavano di una montagna di volgarità,
violenza gratuita, degrado materiale e morale dispensati a piene mani: tutti
ingredienti che con la poetica di Verdi farebbero semplicemente a cazzotti. Un Ballo inventato di sana pianta,
rivoltando l’originale come un calzino, da un regista che si crede un genio.
Una roba vomitevole che grida vendetta! Puro trash da teatrini underground.
Da denuncia penale per scempio di opera
d’arte! E a nulla serviva ricordare a mo’ di giustificazione scempi anche
peggiori, come così…
o cosà!
Poi, dalla seconda in avanti, e anche ieri sera per
la quarta (in un Piermarini con vasti
spazi vuoti) tutto è rientrato nella più grigia normalità: successo tiepido o
caldino in dipendenza dei gusti, nessuno scandalo, nessuna denuncia, nulla di
nulla.
Comincio dalla
parte più importante, cioè da Verdi (Michieletto mi perdonerà se lo tratto
dopo). Le cose qui, almeno secondo il
mio modestissimo parere, non sono andate poi così male come si era
stigmatizzato in precedenza.
Daniele Rustioni (beato lui) non è ancora
Toscanini e chissà se lo diventerà mai. Però, eccettuato qualche eccesso di
irruenza che lo ha portato in un paio di occasioni ad esagerare con il
fracasso, nel complesso giudicherei la sua direzione fra il sufficiente e il
discreto, avendo mostrato una apprezzabile dimestichezza con questa partitura
fra le più difficili di Verdi. Ecco, se volessimo proprio fare una classifica basata
sul demerito, allora lui verrebbe dopo colleghi come Battistoni e Wellber,
tanto per far due nomi di giovani comparsi in tempi recenti sul podio
scaligero.
Avendo Álvarez datala buca, è stato Piero Pretti (secondo
cast) a ripetersi dopo un sol giorno di riposo nel ruolo chiave. Che dire? La
voce non è propriamente di quelle che lasciano il segno, e probabilmente la
parte ancora non gli è entrata, come dire, nel sangue: ha alternato cose
interessanti a momenti di chiara difficoltà, soprattutto all’inizio. Nei duetti
con Amelia ha dovuto soccombere, sovrastato dalla voce di lei.
La quale lei era Sondra
Radvanovsky, una che ha un vocione da far tremare i palchi, anche se la
capacità di controllarlo non sembra delle più sviluppate. Però nei momenti
topici o critici in cui deve fare accapponare (in senso positivo, sia chiaro)
la pelle dello spettatore, lei è splendidamente riuscita nell’impresa. Uno su
tutti, il Miserere d’un povero cor,
con quella sbudellante salita al DO acuto, che le ha meritato un’autentica
ovazione a scena aperta.
Zeljko Lucic ha una voce sguaiata proprio di natura, adatta magari a brutti ceffi
wagneriani come Hunding o Hagen, per dire. Il suo Renato è francamente troppo
truce. Alla vita che t’arride
dovrebbe in effetti… arridere un po’ più di dolcezza; a Eri tu un po’ più di cuore esacerbato. Invece, sempre un piglio da
energumeno.
L’Ulrica di Marianne Cornetti
è abbastanza convincente: l’esperienza, anche nel ruolo specifico, garantisce
sempre prestazioni all’altezza.
Non così dicasi di Patrizia Ciofi,
un Oscar piuttosto incolore e con pochi decibel.
Fernando Rado e Simon Lim, così come Alessio
Arduini perlomeno si son fatti sentire chiaramente anche dal loggione.
In conclusione – sto ripetendomi come un disco rotto, lo so - una
prestazione complessiva sufficiente erogata però da un fornitore di fascia
alta, anzi (secondo lui) al top. Come se la Lexus, al prezzo e con la
prosopopea della Lexus, ti rifilasse una… Tata (smile!)
___
Ed ora passo a Michieletto, che qualcuno sostiene – anche con plausibili
argomenti – essere stato vittima di vili attacchi premeditati e di complotti di
palazzo (leggasi appunto: loggione…)
Intanto,
leggendo questa
intervista, qualcuno potrebbe addirittura trovarvi la confessione del
reato, il distillato più puro ed esiziale di quella degenerazione della
professione di portatore in scena di
opere musicali che va sotto il nome di Regietheater:
(per il regista è quindi) importante trovare un
racconto che serva il dramma.
Eccola là: il regista deve inventare un soggetto suo proprio – ecchissenefrega
se l’originale va a farsi benedire - per giustificare la sua salata parcella
messinscena di un’opera d’arte! Ciò si configurerebbe come adulterazione o, se si preferisce, come commercio di prodotti contraffatti: reati puniti dalle vigenti
leggi, come lo spaccio di Rolex, o Lacoste, o vanGogh falsi.
E poi, perché mai si dovrebbe spostare
l’ambientazione rispetto all’originale? Ecco qua:
Cambiare
l'ambientazione ha come obbiettivo potenziare il dramma, renderlo più efficace,
creare le circostanze per una messa in scena più vivida rispetto all'etichetta
di un conte del 1600 con cui oggi nessuno di noi può condividere nulla.
Quindi quei sentimenti, quelle pene, quegli amori, quegli
odi, quei sospetti e quelle ipocrisie del 1600 che, nobilitati e poetizzati
dall’arte di Verdi, sarebbero stati perfettamente comprensibili e condivisibili
dal pubblico di ben 250 anni dopo (= 150 anni fa) al punto che ne andava in
delirio, oggi farebbero solo cadere le braccia a noi scafati del terzo
millennio? E invece tornerebbero a toccarci il cuore e a commuoverci se
appiccicati a qualche tamarro dei giorni nostri? Senza cambiare una virgola di
parole e musica?
___
Però, si sa, le interviste che pubblicano i quotidiani sono
sempre da prendere con le molle: non sai mai se ciò che è messo in bocca
all’intervistato sia uscito per davvero dalla bocca sua, o non da quella
dell’intervistatore, se non addirittura da quella del redattore dell’articolo
(per dire, il 99% di ciò che si scrive abbia detto Berlusconi viene
regolarmente smentito il giorno dopo dal diretto interessato… smile!)
Così, per meglio accertare le idee e l’approccio del regista,
proviamo a scorrere un’altra intervista, che però ha tutti i crismi
dell’autorevolezza (Franco Pulcini) e
soprattutto ha avuto verosimilmente la piena certificazione da parte
dell’interessato, essendo ciò che si può leggere sul Programma di sala (le parti cui farò riferimento sono trascritte verbatim).
E qui Michieletto parte davvero con il piede giusto, quando
afferma:
Un regista deve
servire il racconto, la sua drammaturgia, l’archetipo narrativo.
Beh, intanto si
ammetterà che è un filino diverso da quel trovare un racconto che serva il dramma…
Ora, non tutte
le opere si prestano all’individuazione di archetipi narrativi, ma certamente
ci si presta molto bene il Ballo,
quindi fin qui tutto OK: Michieletto a)
si propone di derivare, dal racconto particolare di Somma&Verdi, l’archetipo (cioè un modello universale,
astratto) per poi b) da questo far
scaturire la sua personale versione di quel racconto originale, versione che
sia più e meglio godibile dal pubblico di oggi. Se l’archetipo è derivato
correttamente, per conseguenza anche la sua nuova materializzazione (se a
sua volta correttamente desunta
dall’archetipo) sarà coerente con l’originale.
Ora, da dove
cominciamo? Beh, direi dalla figura del protagonista, leggendo ciò che ne dice
Michieletto:
Riccardo è un leader politico
occidentale, idolatrato da alcuni e odiato da altri. Tipico di chi gestisce il
potere. Del resto ai due congiurati ha fatto uccidere il fratello e sequestrato
un castello. Per alcuni quindi è un criminale che si è sporcato le mani, un
uomo senza scrupoli che per salire al potere ha compiuto delitti e soprusi; per
altri invece, sedotti anche dalla propaganda, è un salvatore da amare ed
adulare (vengono descritti come “una servil genìa che sta lambendo l’idolo e
che non sa il perché”). Come leader politico, Riccardo ha bisogno delle
conferme, del consenso. Da queste riflessioni ho cominciato a pensare a lui
come a un importante politico occidentale alla vigilia della sua rielezione,
durante la campagna elettorale, nel momento della massima tensione nervosa.
Certo, ad una
lettura superficiale, parrebbe una descrizione abbastanza fedele del protagonista
del dramma. Ma basta un minimo-minimo di approfondimento per far scricchiolare
questa vision del regista.
Tanto per
cominciare, Riccardo non è un leader politico, eletto dal popolo (anzi, da una parte,
e nemmeno maggioritaria, se parliamo degli USA, di esso). E quindi non
è né poco né tanto condizionato dalla maggioranza (o peggio, minoranza) che lo
ha eletto. È una pubblica autorità,
nominata da Sua Maestà Britannica come Governatore di una provincia coloniale
(non dimentichiamo che in origine era addirittura un RE!) Io deggio su’ miei figli vegliar, perché sia pago ogni voto, se
giusto… Quindi, una persona investita di
un’autorità che le viene dall’alto, non da una parte del popolo, ma che ha come
fine primo e ultimo il bene dell’intero popolo che gli è stato affidato. (I
governanti eletti dal popolo affermano la stessa cosa, ma in realtà fanno
interessi di parte, o di classe, o di lobby, cosa del resto assolutamente legittima, in democrazia
perlomeno…)
Ancora: proprio perché a Riccardo il potere viene dall’alto,
l’insinuazione che Michieletto prospetta, interpretando i casi personali di
Sam&Tom (per
salire al potere ha
compiuto delitti e soprusi) appare quanto
meno azzardata. Primo: lui non ha dovuto affatto salire al potere, ma vi è
sceso (nel senso che ci è stato messo da una decisione superiore). Secondo:
dal contesto si dovrebbe evincere che condanne a morte e sequestri di beni
altro non fossero che regolari sentenze di tribunali, che il Governatore ha
semplicemente controfirmato, non avendo ragioni per cassarle. La prova di ciò?
L’atteggiamento di Riccardo che rifiuta di controfirmare la sentenza di bando
per Ulrica, che testimonia della sua
magnanimità e serenità di giudizio: non dimentichiamo che tale era la
personalità di Gustavo III, l’archetipo (smile!)
del personaggio di Somma&Verdi.
A proposito della maga-santona-imbonitrice, suvvia: nessun uomo
politico farebbe mai visita - in campagna elettorale poi - al suo show, né a viso aperto, né in incognito
(sai il rischio!) E di certo non prenderebbe quell’occasione per comunicarle la
grazia e consegnarle un bell’assegno come risarcimento, chiudendo la puntata
con una manifestazione di propaganda (della serie: come perdere le elezioni)!
Invece, ancora
una volta, un sovrano o un suo nominato dotato di un minimo di humor se lo può benissimo permettere,
non dovendo temere di perdere voti ma
– qui, più che al ballo – potendosi mostrare come governante illuminato e
benigno.
Quindi la campagna elettorale
e la conseguente tensione
nervosa c’entrano con la vicenda di Riccardo narrata da
Somma&Verdi proprio come i cavoli a merenda (ahi, ahi, caro Damiano!) E una
conseguenza di ciò è la natura stessa del ballo.
Leggiamo cosa si inventa al proposito Michieletto:
Nella mia idea, questo “ballo
splendidissimo” è il party conclusivo della campagna elettorale: un momento di
esaltazione dell’immagine pubblica di Riccardo, sintetizzato dallo slogan da
lui dichiarato nel primo atto (“Incorrotta gloria”).
E nella citata
intervista così si era espresso:
La necessità di consenso lo porta (Riccardo)
a organizzare un party elettorale che catalizzi su di sè l'attenzione, e una
campagna mediatica condotta a colpi di slogan promozionali, che nello
spettacolo diventano simboli scenici importanti.
Conclude il
nostro, sempre a proposito del ballo:
La solita storia propagandistica: un
potere per il popolo, per chi soffre, per chi non riesce ad arrivare alla fine
del mese… Quella scritta s’incendia alla fine. L’epitaffio conclusivo “Notte
d’orrore” non è solo la sua fine, ma anche la fine della sua immagine, col
crollo delle sue sagome, che cadono a terra con lui.
Anche qui
purtroppo il nostro inventore di personaggi e di soggetti (inventore è peraltro
eccessivo: i mega-poster di contenuto politico li ha già usati tale Vick nel suo recente Macbeth fiorentino…) ha preso un bell’abbaglio.
Intanto, il ballo del Governatore (come quello del RE che lo ispirò) non è una
manifestazione di parte o di partito (tipo una festa dell’unità
sotto elezioni o una convention
elettorale americana). Al contrario, è una manifestazione di popolo (cui certo non è estraneo il desiderio dell’autorità di
dare lustro alla propria immagine di potere
illuminato); anzi, è fatta proprio per
il popolo, è un (piccolo o grande) regalo che il Governatore fa ai suoi
governati; lui non ha bisogno di essere rieletto, né di raccogliere fondi per la
sua campagna elettorale, al contrario spende risorse pubbliche per far contento
il popolo intero. E lui parrebbe nemmeno volervi intervenire, al ballo: se lo
fa, è per sfidare i presunti congiurati (Renato è il primo ad essere scettico
sulla di lui presenza) e per rivedere Amelia, non certo per mettersi in bella
mostra davanti ai suoi… sudditi. Insomma: il ballo è una specie di appuntamento
tradizionale, sia pure nell’ambito del panem
et circenses che caratterizza lo scenario descritto e musicato da
Somma&Verdi.
Ma soprattutto
il finale di Somma&Verdi è le
mille miglia lontano dal proporci il crollo di Riccardo e la fine della sua immagine: è vero
esattamente il contrario, my dear
Michieletto!
Sulla
personalità di Riccardo così si esprime il regista:
Inoltre è un uomo in conflitto fra il
suo essere pubblico e la sua sfera privata. C’è il Riccardo che sta sotto ai
riflettori, brillante e sorridente mentre firma autografi e distribuisce
strette di mano. Poi c’è il Riccardo che vediamo quando i riflettori sono spenti:
la sera arriva per tutti, e Riccardo, spente le luci della ribalta, è un uomo
solo; questo il suo dramma di potente. Ama la donna del suo migliore amico,
annulla nella risata il suo nervosismo, tradisce un certo forzato
esibizionismo, è un narcisista pieno di sé, con tratti infantili.
Mah, qui
qualcosa di vero ci può stare, ma il libretto e la musica per la verità ci
mostrano un uomo abbastanza genuinamente ottimista, sereno e disincantato; un
poco esibizionista forse, ma per nulla nervoso. Di sicuro: nessuno stress da elezioni! Certo: innamorato e, come sempre, l’amore, in
specie se è difficile, porta con sé
le sue inevitabili pene.
Ecco, fin da qui
purtroppo si deve rilevare come il processo tipo1->archetipo->tipo2
operato dal regista sia inficiato da qualche grande o piccola imprecisione,
che finisce per rendere abbastanza incoerenti tipo1 (Somma&Verdi) e tipo2
(Michieletto).
___
Veniamo ora
alla figura di Amelia (e con lei a quella di Renato). Il punto cruciale si
tocca nelle scene dell’atto secondo, che hanno suscitato le maggiori e più
scomposte reazioni negative di una parte del pubblico della prima.
Intanto: il campo abbominato (quello dei patiboli,
nell’originale) e l’erba miracolosa che vi cresce sono evidenti allegorie
(anche senza dover scomodare Freud)
che ciascuno può interpretare come crede. Allo stesso modo, il vaneggiamento di
Amelia - che sente qualcuno piangere davanti a lei - e soprattutto l’apparizione
(allo scoccare di mezzanotte) della testa di una delle persone giustiziate in
quel campo, potrebbero avere mille significati, tranne però uno solo: essere delle
presenze reali, da rappresentarsi con
il più crudo verismo.
Tutta la scena
dell’arrivo dei congiurati, con le due sorprese (quella di Sam&Tom di
trovarsi di fronte Renato e non Riccardo e poi quella generale della
rivelazione dell’identità di Amelia) è - parliamoci chiaro - la parte del
libretto di Somma tra le più gratuite e le meno plausibili dell’intera opera
(anche se ha dato modo a Verdi di comporci una delle più straordinarie pagine
di musica). Sarà anche stata voluta così dal librettista (per irridere i
carbonari mazziniani, essendo lui un monarchico simpatizzante per la Società
Nazionale Italiana) ma è un fatto che sul piano della logica fa acqua da ogni
punto la si guardi.
Se immaginiamo
che i congiurati si convincano che Renato (e non Riccardo) fosse l’uomo che
avevano inseguito, allo scoprire che la donna con lui è Amelia non avrebbero
motivo per gridare (o cantare) allo scandalo: poiché sarà pure strano che due
coniugi si trovino in piena notte in quel postaccio ma, visto che son lì da
soli - del miele
sulle rugiade (a) corcar(si)
- fino a prova contraria non si vede perché il fatto in sé dovrebbe poi
finire sulle prime pagine dei giornali (cosa che invece sarebbe plausibilissima
se i congiurati – come è capitato a Renato - avessero colto in flagrante Amelia
con Riccardo).
Se invece
immaginiamo che i congiurati restino convinti che fino a poco prima lì ci
fosse, con Amelia, proprio Riccardo, allora certamente avrebbero motivo per
canzonare Renato e per far circolare lo scandalo (avente per oggetto le corna, null’altro, si badi bene) per la città. Ma in cambio non si
capirebbe perché si accontentino dello scandalo, invece di inseguire in ogni
dove la loro vittima, che non può certo essersi di molto allontanata…
Delle due
versioni la seconda è quella diciamo… meno strampalata (e anche più
accreditata): vero è che nell’atto terzo Renato non rivela a Sam&Tom la
ragione del suo passaggio nelle loro file, ma chiunque sarebbe portato – a quel
punto - ad ipotizzare che sia proprio la questione di corna.
Ora, che fa Michieletto?
Intanto sposa decisamente una delle due alternative (e fin qui possiamo
seguirlo): precisamente la prima, cioè la meno credibile, che comporta che i congiurati
si convincano di aver preso un abbaglio, avendo scambiato il segretario per il
Governatore. E che si chiedano perplessi cosa ci stessero a fare due coniugi in
un posto come quello. Ed ecco che Michieletto pensa di migliorare il libretto
mostrandoci una ragione più che plausibile perché si possa da ciò sollevare un
grande scandalo, altrimenti davvero miserello e gratuito: siamo in un luogo
frequentato da puttane e ai congiurati Amelia si rivela precisamente come una di
loro, e il marito come un magnaccia! Ecco come il regista, nell’intento
(lodevole?) di chiarire la situazione allo spettatore un po’ interdetto, si
inventa la presenza delle prostitute:
Quando Renato presume di aver scoperto il tradimento da parte della
moglie, ci sono tanto la gelosia e la rabbia per essere stato tradito proprio
con un amico, quanto il fatto che i congiurati gli ridano in faccia per la
situazione imbarazzante di essere stato scoperto con la consorte di notte in un
luogo particolare, in una periferia tra le prostitute. Ecco lo scandalo. Vedrai
domani, cantano, “che baccano sul caso strano e che commenti per la città”:
finirai sui giornali, sarai sbeffeggiato, la tua immagine è finita. Amelia
viene ridicolizzata perché sembra una delle prostitute che erano in quel luogo.
Amelia infatti era stata rapinata della pelliccia e, per celare la sua
identità, indossa l’impermeabile bianco della prostituta. Che ci stanno a fare
lì, si chiedono i congiurati, quei due? Giochetti di scambisti? Una signora
inquieta alla ricerca di novità eccitanti?
Qui il
problema non è che Michieletto porti in scena delle luride battone (ciascuno di
noi può avere la sua idea di come Verdi avrebbe giudicato la cosa) una delle
quali rapina Amelia della pelliccia, lasciandole in cambio il suo soprabitino
da sgualdrina. No, qui il problema è squisitamente artistico-estetico. Domanda:
è il Ballo per caso un’opera verista?
Ahinoi e ahilui, Michieletto – almeno per queste scene dell’atto secondo - pare
proprio aver risposto di SI (!?) L’errore che il regista ha commesso qui è, per
così dire, di aver voluto strafare, inserendo indebite componenti iper-realiste
e veriste in una scena che è invece tutta
pervasa da introspezione psicologica e da indecifrabile quanto comica ambiguità.
Per dire, un accenno
alle prostitute (purchè fatto con… discrezione e senza farle intervenire
nell’azione) avrebbe anche potuto indicare il senso di colpa di Amelia, che si
sente (almeno spiritualmente) un’adultera; il che da lontano (ma
plausibilmente, secondo un’analisi freudiana) potrebbe apparirle come il primo
passo verso la prostituzione (ecco come
finiscono le adultere, le suggerirebbe il suo subconscio…) Invece
Michieletto si immagina una scena perfettamente e compiutamente verista – quindi
totalmente estranea alla natura dell’opera – solo per raggiungere uno scopo tutto
sommato secondario: spiegarci in modo più convincente di Somma il perché del
riferimento allo scandalo fatto dai congiurati.
E senza
accorgersi di aprire così un’autentica voragine sulla credibilità delle vicende
successive del dramma. Sì perché, oltre ai congiurati, anche Renato non può non
sospettare che la moglie fosse lì non per fargli le corna, ma nell’esercizio di
un… secondo lavoro! Ma allora, accipicchia, il buon Riccardo non è più il suo
cornificatore unico, bensì uno dei tanti utilizzatori
finali delle prestazioni di quella troia di sua moglie! E perché quindi
dovrebbe essere lui, e non lei, la prima e unica
vittima della sua sete di vendetta? Insomma, il resto del Ballo qui va precisamente
a… meretrici (smile!)
Il sospetto
che tutto ciò sia quindi una premeditata provocazione del regista (perché
Michieletto è di sicuro tutto fuorchè scemo) non mi pare proprio campato in
aria. E se ne tira dietro un altro: che la frase dell’intervista citata all’inizio
non fosse affatto un’invenzione dell’intervistatore…
___
Il processo tipo1->archetipo->tipo2 relativo
alla maga Ulrica doveva essere facile-facile, datosi che questa è, fra tutte,
la figura indubbiamente più semplice da attualizzare: perché, in fondo, è essa
stessa già un archetipo! Eppure Michieletto ha voluto anche qui esagerare,
trasformando una veggente e lettrice di carte, di tarocchi e mani in una
santona guaritrice di paralitici e di affetti da HIV. Roba da circo equestre!
Quanto alla
caratterizzazione di Oscar - cui Michieletto toglie la dignità di travesti, presentandolo proprio come una
donna, e pure professionalmente super-attiva e diligente - mi pare che abbia
più difetti che pregi: il personaggio finisce col perdere tutta la sua verve da Cherubino; e soprattutto la musica
di cui Verdi lo riveste mi pare del tutto incoerente con l’immagine che ce ne
dà il regista, della classica segretaria-racchia-tuttofare-innamorata-del-capo.
Infine, si tenga presente che l’equivoco sul sesso di Oscar potrebbe essere,
nell’originale, un raffinato accenno alle tendenze omosex di Gustavo III,
un’allusione che il regista cancella del tutto.
Bene, fin qui
abbiamo fatto a Michieletto l’esame di teoria
e – a mio modestissimo parere – il regista di Scorzè non se l’è cavata per
nulla bene: dopo aver impostato correttamente il lavoro, ha finito per
contravvenire alle sue stesse premesse, con una serie di scelte discutibili e
incoerenti con i suoi presupposti e, ciò che più conta, con l’originale.
___
Passiamo
quindi all’esame di pratica.
La prima parte
del primo atto è presentata con grande efficacia, non c’è che dire. Salvo per
gli smaccati riferimenti alla campagna elettorale, che fatalmente gettano
sull’ambiente di Riccardo una luce, come dire… faziosa: lì non c’è il popolo, cui il Governatore elargisce
magnanimi favori, ma soltanto i fan
del candidato che devono aiutarlo nella campagna (e magari qualcuno che invece
gli vuol fare le scarpe…) Beh, la distanza dall’originale non è proprio da
poco, si ammetterà.
La maga
Ulrica, nell’originale, è di pelle nera (dell’immondo sangue dei negri scrive Somma, attirandosi sdegnate accuse di razzismo). Perché
noi invece vediamo una megera bianchissima e biondissima? Cos’è, una specie di affirmative action alla rovescia? (smile!)
E poi, chi può
mai pensare che uno show televisivo americano di un santone-predicatore venga
introdotto da una sigla musicale fatta dalle prime 22 battute della scena sesta
del primo atto? Sai quanti trafelati zapping
di gente con le mani sui coglioni? (stra-smile!)
Qui mi
permetto di fare un appunto tecnico a Michieletto: ad uno spettatore che non
conosca bene il libretto risulta del tutto incomprensibile la scena in cui
Silvano si ritrova… miracolato. Nessuno riesce a distinguere il momento in cui
Riccardo (che è circondato da un nugolo di persone, e nemmeno si capisce quando
entri in scena) scrive il biglietto da infilare nella tasca della giacca del
suo marinaio. E anche poco dopo, quando Amelia è a colloquio con Ulrica, la
presenza di parecchie altre comparse oltre a Riccardo fa perdere gran parte
dell’efficacia drammatica di quella scena.
Nella scena
del campo abbominato Michieletto si
presta anche a critiche a buon mercato, del tipo: ma perché Riccardo, arrivato
in BMW, non ci carica Amelia e se ne va, invece di scappare a piedi, lasciando
lì la sua lussuosa auto e la sua amante in preda a malviventi? Qui ci si
inoltra in uno stucchevole ginepraio di ipotesi, del tipo: sulla strada ci sono
posti di blocco di congiurati e lui deve scappare a piedi per un sentiero fra
roveti e immondizia (lei no, per via dei tacchi-13).
Ma allora: possibile che i congiurati non riconoscano poi che quella è l’auto
di Riccardo? Fosse così, andrebbe però a… meretrici (smile!) tutto il discorso sullo scandalo Renato-Amelia nella
versione così alacremente e
ingegnosamente costruita dal regista. Risposta: sì, possibile, perché si tratta
di una delle tante auto-blu della flotta del Governatore, a disposizione di
tutto il suo staff… E via inventando
un’obiezione e una giustificazione dopo l’altra, mentre la musica di Verdi… se
ne va inascoltata!
Poi, non
contento della sua dettagliata spiegazione del libretto, Michieletto ci mostra
apertamente il significato dei versi Ve’, se di notte qui colla sposa l’innamorato
campion si posa, e come al raggio lunar del miele sulle rugiade corcar si sa! mostrandoci
una simulazione di ciò che avviene in quel lurido luogo, mediante alcune
effusioni finocchiose di congiurati sulla medesima BMW. Avanspettacolo
puro!
L’estrazione
del nome dell’assassino di Riccardo è un altro esempio di quel misto di
velleitarismo e di ingenuità che caratterizza la messinscena di Michieletto.
Sì, d’accordo, sappiamo bene che sono dei bambini ad estrarre le palline dei
numeri vincenti del superenalotto e
della lotteriaitalia, e di tutte le riffe di questo mondo. Ma qui il
miserevole concetto che il regista ci trasmette è che le colpe dei padri (anzi delle madri) ricadono sui figli! Mammamia…
La scena
finale, con tutte quelle sagome di Riccardo che mandano i congiurati in
confusione, appare assai suggestiva e ben realizzata. L’idea di sdoppiare corpo
(morto) e anima di Riccardo, facendone cantare l’anima nell’atto della lettura,
da parte di Amelia, del dispaccio del Governatore è assai poetica e interessante.
Senonchè lascia l’effetto che delle ultime volontà di Riccardo venga a
conoscenza solo la donna, e non l’intero popolo.
Il che è
coerente con l’idea portante di Michieletto (il crollo della figura di Riccardo, accompagnato dall’incendio dei
poster elettorali) ma stride maledettamente con la musica di Verdi, che è invece un’autentica apoteosi per il
Governatore ingiustamente ucciso. Il conclusivo Notte d’orror! non è certamente il
pollice-verso del popolo contro il suo capo, al contrario, rappresenta
l’esecrazione per un delitto odioso e per la fine immeritata della guida tanto amata
(cui si associano, ipocritamente, anche gli stessi congiurati!)
Ecco, anche
l’esame di pratica non mi sembra
proprio sia stato superato.
Insomma, una regìa che – come altre di
Michieletto – parte da lodevoli presupposti, ma poi finisce per smentirli, poco
o tanto, lungo la strada. Ecco perché personalmente non mi sento di promuoverla,
pur non arrivando a stroncarla a
prescindere. È semplicemente un’interpretazione che non arreca alcun valore aggiunto all’originale, ed anzi paradossalmente
lo rende più astruso ed incomprensibile per lo spettatore medio.
Caso mai, direi che il regista ha qui
perso l’occasione per fare una bella profezia
su qualche membro della… Casa Reale Britannica (stra-smile!!!)
___
Adesso basta Scala per un po’
(conveniva forse che chiudesse per ferie dopo il successo del doppio Ring…) e
proiettiamoci verso Pesaro
(passando, via-radio, per Bayreuth).