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14 luglio, 2013

Un pluridecorato Muti porta il Nabucco romano a Ravenna


Come favore stagionale alla moglie (stra-smile!) Riccardo Muti ha portato a Ravenna Orchestra e Coro dell’Opera di Roma per un’esecuzione concertistica del Nabucco.

Pala De Andrè come al solito gremito in ogni ordine di posti da gente che arriva da tutti gli angoli del mondo, solo per lui, il maeschtre

Il quale non ha affatto tradito le attese (e non solo dei suoi fan) con una direzione (non esagero) davvero superlativa, con la quale ha trascinato orchestra, coro e voci ad una prestazione sontuosa.

Di cui è andato giustamente fiero alla fine allorquando, al termine di una duplice premiazione (il Premio Giustiniano dalla città di Ravenna per il suo impegno in favore della cultura, e un significativo riconoscimento da quella di Sarajevo per le sue passate iniziative in quella città martoriata) non si è lasciato scappare l’occasione per lanciare una caustica frecciatina verso chi di eccellenza si riempie solo la bocca per ottenere privilegi, invece di dimostrarla concretamente sul campo… come ha invece fatto lui con i suoi dell’Opera di Roma. Insomma, detta in milanese: O Lissner, ciapa sü, encarta e porta a ca’!

In effetti il trionfo è stato totale, costellato da ripetuti applausi a scena aperta (diciamo pure, sapientemente… agevolati dal Maestro) e da interminabili ovazioni alla fine dell’esecuzione.

Tatiana Serjan è stata la mattatrice, con una prestazione invero maiuscola, disegnando la complessa e multiforme personalità di Abigaille con grandissima efficacia e drammaticità. Muti le ha concesso qualche minuto supplementare di pausa dopo la prima parte, che le è servito per sciorinare una grande prestazione nelle prime due scene della seconda parte, entrambe accolte da lunghissimi applausi. Ma la cantante russa ha convinto sempre, fino alla drammatica confessione finale.   

A Luca Salsi manca forse qualche decibel, tuttavia il suo Nabucco è stato di grande spessore ed espressività: paradigmatico il suo non son più re, son Dio!  

Note di assoluta eccellenza per Francesco Meli, voce davvero bella in tutti i registri: un vero piacere a sentirsi (e quindi: peccato che la parte non sia più corposa!)    

Di Sonia Ganassi si conoscono pregi e difetti: dopo una partenza un pochino… problematica, si è però ben ripresa, disegnando una Fenena più che accettabile.

Ottima la prestazione di Riccardo Zanellato, voce tanto potente quanto pulita, senza ingolamenti o forzature: anche per lui applausi a scena aperta, già dal primo Freno al timor!   

Gli altri tre interpreti, diciamo così di contorno (Saverio Fiore, Simge Büyükedes e Luca Dall’Amico) hanno dato il loro lodevole contributo, in particolare il soprano turco, che ha una parte non proprio trascurabile.

Eccellente la prova del coro, che Roberto Gabbiani seguiva da vicino, seduto al di sotto, sulla sinistra; sempre preciso negli attacchi e capace delle diverse sfumature che la partitura impone: dalla grande retorica al più intimistico raccoglimento.

L’orchestra dell’Opera di Roma, in passato assai malconcia, con Muti evidentemente ha ritrovato se stessa e il Maestro ne può ben andar fiero: i suoi ormai sembrano una macchina che, una volta avviata con un attacco, sa muoversi alla perfezione anche da sola. Segno che dietro c’è tanto lavoro di prova e un invidiabile affiatamento.

Quanto a Muti, la sua interpretazione mi è sembrata improntata a grande equilibrio e sobrietà, pur senza rinunciare a far emergere – dove appropriato – un pizzico di enfasi e qualche giustificato fracasso: forse il suo non è più il Verdi sanguigno, bandistico e garibaldino dei tempi che furono (con l’età tutti si diventa più… riflessivi?) ma tutto sommato quello che si perde in superficie lo si guadagna in profondità.
        
In definitiva: una serata di quelle che… lasciano il segno!

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