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04 luglio, 2013

Discorsi sui massimi sistemi: come evitare l’agonia della musica classica?


Intanto ci si dovrebbe chiedere: ma evitare l’agonia della musica classica (per l’opera lirica le cose stanno un poco – ma poco poco – diversamente) è possibile, o è un’impresa fallita in partenza?

Nel secondo caso, inutile disquisire, fine del discorso e aspettiamo rassegnati gli eventi.

Invece c’è chi ancora spera nel miracolo, ma si divide – e anche radicalmente – sul che fare per realizzarlo. E a fronteggiarsi sono perlomeno due (macro)scuole di pensiero, più le tante che su di esse in qualche modo si possono far convergere.
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La prima, che mi sembra essere maggioritaria, propone di aprire il mondo incartapecorito dei concerti, cercando ogni possibile modo e mezzo per raggiungere nuova, fresca e giovane audience.  

Quali sono gli argomenti esposti da questa scuola? Si parte da rilievi fatti alla forma e alla sostanza della tradizionale ed attuale offerta di musica classica, per proporre conseguenti soluzioni.

Intanto, la forma: cazzo, possibile che ai concerti, se uno arriva 10 secondi dopo che il direttore è salito sul podio, non possa più entrare in sala, fino all’intervallo? E poi: perché se uno applaude dopo un tempo intermedio di una sinfonia, viene zittito come fosse un disturbatore di professione? E perchè gli orchestrali, che prima del concerto stazionano fuori dalla sala in abbigliamento casual, e persino metal, entrano poi sul palco indossando quei ridicoli frac a code neri, corpetti e farfallino bianco, camicie col collo rivoltato all’insù? Dico: nel 2013, quando persino il Presidente degli Stati Uniti d’America si presenta in televisione senza giacca e cravatta, e con la camicia sbottonata? Suvvia!

Non parliamo poi del pubblico cui si indirizza l’offerta (questo è – ancora per poco – un problema di Paesi multi-etnici come gli USA, ma tra non molto lo sarà anche per noi, nonostante tutte le Bossi-Fini che possiamo inventarci): se vogliamo che il pubblico non sia una sparutissima parte della sola maggioranza (ancora per poco) bianca e occidentale, ma anche la componente della sempre più numerosa e futura maggioranza di extracomunitari di provenienza islamica o africana o sudamericana, gente abituata a cantare o ballare mentre ascolta la sua musica, o ad arrivare mezz’ora dopo l’inizio dello spettacolo, o ad interloquire animatamente con gli esecutori durante la performance… che si fa?

E poi, come facciamo ad attirare ai concerti la massa di giovani che conosce solo il rock, il rap, il pop e il pip?

Risposta: mettiamoli a loro agio, facendoli sentire come a casa propria!  
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Qui gli adepti della seconda scuola di pensiero (conservatori? bacchettoni, retrogradi?) hanno buon gioco a domandare: quindi, per accontentare ed attirare al prossimo concerto anche questi alieni, gli permettiamo di entrare rumorosamente in sala proprio mentre il violino solista attacca il tema del concerto di Beethoven? E poi tolleriamo che si mettano a parlare, mentre è impegnato nelle veloci scale della Totenfeier, col contrabbasso in fondo alla fila, chiedendogli perché per suonare usa l’archetto e non le dita? O tolleriamo che si mettano a ballare nei corridoi della platea, perchè eccitati dal tema principale della Settima di Beethoven? Oppure, per metterli a loro agio e farli sentire a casa propria, sostituiamo i timpani con bidoni di latta, i clarinetti con saxofoni e i violini con chitarre elettriche?

Insomma, che propongono i conservatori per salvare il futuro della musica classica? In definitiva, una cosa, una sola, ma assai precisa: insegnarla nelle scuole, fin da quelle materne! E, come supporto collaterale, farla oggetto di trasmissioni TV – pubblica e privata - per i più piccini. Il razionale? O l’individuo lo si cattura da piccolo all’interesse e all’apprezzamento della vera arte, oppure non c’è speranza alcuna: sarà fatalmente vittima dei monotoni fracassi della musica pop, oppure si rifugerà nelle altrettanto monotone cantilene del muezzin di guardia. 
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Cosa ne pensi io, poco importa. Io so solo che se – a scuola – non fossi stato costretto a studiarla, oggi non saprei nemmeno dell’esistenza della Divina Commedia; o magari - inciampandoci per caso in Google cercando Taide, la puttana - la liquiderei con disprezzo, perché non abbastanza porno.     
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Ps: spunti arrivati da erratiche letture in rete: qui, poi qui e qui.

2 commenti:

mozart2006 ha detto...

Mi sono letto i link. Un mucchio di fregnacce, se posso permettermi la definizione. Non si aiuta la divulgazione dei concerti e dell' opera provando a trasformarli in un film o in un concerto simil-rock, e lo dico col massimo rispetto per due generi che hanno una loro dignità artistica autonoma. La musica classica va fatta in un certo modo e ha delle convenzioni che bisogna conoscere e rispettare, esattamente come una partita di calcio è tale solo se giocata da due squadre di 11 giocatori ciascuna, in un campo con due porte. Ogni disciplina necessita di una preparazione di base che non può essere elusa: è il fruitore che deve prepararsi, non certo l’ arte imbruttirsi per rendersi maggiormente appetibile. Se voglio leggere un trattato di fisica teorica metto in conto difficoltà che – pur nella scelta di testi divulgativi – sono connaturati alla disciplina stessa, non pretendo che sia di lettura immediata come la Gazzetta dello Sport. Lo stesso per la musica: si può partire da un repertorio più facile e immediato, ma non mandare tutto “in vacca” per renderla maggiormente fruibile a chi non vuole fare alcun passo per comprenderla. Altrimenti, cosa siamo ancora disposti ad accettare e cosa inventiamo in nome della divulgazione? Shakira che canta Violetta? Bon Jovi interprete del Don Giovanni?
Ciao!

daland ha detto...

@mozart2006
Beh, con me sfondi una porta... inesistente.

Dai concerti dei tre tenori alle promo della Clerici per l'Arena, siamo di fronte a fenomeni da baraccone che non producono un solo (serio) cultore (non dico proselita) di una delle arti più nobili che distinguono l'Uomo dalla bestia.

Qui c'entra anche la responsabilità di certo egualitarismo da quattro soldi, che predica che un'accozzaglia di suoni spacca-timpani abbia lo stesso valore intrinseco di una sonata di Beethoven, o che una musica nata in qualche bassofondo sudamericano o africano abbia lo stesso contenuto estetico di una fuga di Bach (lo dico con tutto il rispetto per le "bachianas" di Villa-Lobos, che infatti non nacquero di certo nelle favelas, ma nella opulenta Parigi).

Ti dirò che ciò che non mi fa disperare del tutto sul futuro è la... tecnologia: per dire, la disponibilità di materiale su Youtube può essere di per sè una grande risorsa per divulgare, oltre a tanta fuffa, anche contenuti di alto livello, il che può ottenere risultati assai più concreti di tanto marketing insulso.

Ciao!