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19 aprile, 2011

Gergiev fra una Turandot e l’altra


In questo periodo Valery Gergiev deve aver preso alloggio alla Scala, dato che quasi tutte le sere vi sale sul podio, o per una delle tante repliche di Turandot o per dirigere i tre concerti della Stagione Sinfonica, per i quali l'Orchestra Filarmonica agisce in veste di fornitore esterno di prestazione al Teatro.

Ieri sera secondo concerto (il terzo giovedi 21) con un programma tutto slavo.

Che prevede dapprima il celebre Concerto per violoncello di Dvorak, interpretato dal grande Mario Brunello.

Sappiamo ahinoi che i corni non sono propriamente la punta di diamante dell'orchestra, ma devono anche essere vittima di una discreta dose di sfiga, diciamolo pure. A battuta 56 dell'Allegro iniziale, assai prima dell'entrata del solista, c'è (ritardando, un poco sostenuto) il bellissimo intervento del primo corno, 9 misure, che espone la struggente melodia in RE maggiore:


poi proseguita dal clarinetto. Insomma, non sembrerebbe poi così impegnativa come l'apertura del Till… eppure ci scappa una inopinata, quanto clamorosa stecca, proprio sull'ultimo FA#. Managgia! Perché per il resto, Ciajkovski compreso, le cose non andranno neanche tanto male, anche se la perfezione è molto lontana.

Brunello suona invece da dio, riuscendo a suscitare, da questa pagina pur inflazionata, grandi emozioni, in specie nel centrale Adagio, ma non troppo. Gergiev fa di tutto per lasciargli sempre il primissimo piano, o per far emergere altre voci solistiche (in specie i clarinetti) e facendo poi sfogare l'orchestra nei pochi fracassi di prammatica. Gran trionfo per il solista che regala anche un bis.

Ecco poi Ciajkovski e il suo estremo capolavoro, la Patetica. Gergiev la conosce ovviamente a memoria (Dvorak invece lo leggeva, smile!) ma ogni volta ci mette qualcosa di nuovo. Quando tale Hanslick ascoltava cose come queste, affermava che si tratta di musica che puzza (sic!) Ora, Gergiev, specie nel movimento iniziale, deve aver cercato di dar ragione in tutti i modi al burbero critico ottocentesco. Forse non era proprio puzza quella che emanava dai suoni, magari era pure un profumo, ma di quelli ottenuti buttando melassa sull'incenso. Ecco, tutte le possibili esagerazioni sono state messe in campo: ammiccamenti gigioneschi, brodo di giuggiole in quantità, tempi stirati continuamente, dal lento esasperante ad improvvise quanto gratuite accelerazioni. Insomma, una cosa abbastanza disdicevole.

Dopodichè, tutto d'un fiato, i restanti tre movimenti sono tirati via da Gergiev quasi con fretta e supponenza, come a dire: la mia inventiva ve l'ho propinata all'inizio, il resto sarà per un'altra volta. Il pubblico ringrazia e aspetta la prossima occasione.
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