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Si legge sempre più spesso su stampa, e soprattutto su blog, del progressivo decadimento delle prestazioni dell'Orchestra scaligera, nel repertorio operistico e più ancora in quello concertistico. E parecchia confusione sotto il sole esiste fra Orchestra del Teatro alla Scala e Orchestra Filarmonica della Scala. La struttura e la natura dei rapporti fra le due istituzioni meritano qualche osservazione e considerazione.
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Fino al 1982 il Teatro alla Scala aveva alle sue dipendenze gli orchestrali, che per contratto dovevano coprire la stagione principale (opera/balletto) ed anche la stagione sinfonica, che Toscanini aveva voluto a suo tempo per alzare il livello professionale dei musicisti, in base alla considerazione che la musica operistica sia (con rispetto parlando) di serie-B rispetto a quella strumentale-sinfonica e che quindi l'impegno in quest'ultima non possa che giovare ad innalzare la qualità della prima.
Nel 1982, da un'idea di Abbado e con il supporto di alcuni mecenati (Canale5 in testa, Confalonieri però, mica Berlusconi!) nacque l'Associazione Filarmonica della Scala: in sostanza, orchestrali dipendenti del Teatro alla Scala si costituirono in entità separata (l'Associazione) al precipuo scopo di operare in profondità nel campo strumentale e sinfonico. La cosa era fatta dichiaratamente in imitazione dei Wiener Philharmoniker.
I quali Philharmoniker sono sì un'Associazione formata esclusivamente da componenti dell'Orchestra della Staatsoper (oggi 127 su 141) ma con questa hanno un rapporto chiaro ed univoco: la stagione di opera e balletto, punto, e per quella soltanto sono stipendiati. Salvo rarissime eccezioni (una sarà proprio quest'anno, il 18 maggio con Daniele Gatti, per ricordare Mahler, che fu direttore lassù) la Staatsoper non ha un programma di concerti, ma produce esclusivamente opera e balletto. E va da sé che i contratti di lavoro dipendente degli orchestrali con la Staatsoper prevederanno tutti i vincoli e la remunerazione legati al supporto della stagione opera-balletto. Rispettati quei vincoli, i Philharmoniker hanno poi, e la gestiscono in proprio, la loro stagione di concerti, principalmente al Musikverein (che nulla ha a che fare con la Staatsoper, essendo la sala della Società degli Amici della Musica) e poi a Salzburg e in altre tournée. E ovviamente gestiscono tutto il business indotto a livello media.
Esiste quindi una chiara distinzione di attività fra Opera/Balletto (pertinenza del Teatro, che per questo paga gli strumentisti dipendenti) e Concerti (pertinenza dei Philharmoniker, che si autogestiscono). Ed esistono per le due attività controparti ben distinte e trasparenza massima fra prestazione e remunerazione. L'ampiezza dell'organico della Staatsoper – che oggi include anche una seconda orchestra (Das Bühnenorchester der Wiener Staatsoper) composta da ben 41 strumentisti (non eleggibili ad entrare nei Philharmoniker) - consente anche frequenti sovrapposizioni di date fra il calendario operistico e l'attività autonoma dei Philharmoniker.
Al proposito, un caso speciale è rappresentato dalla Staatskapelle Dresden, forse la più antica orchestra esistente (da quasi mezzo millennio!) che suona prevalentemente alla Semperoper di Dresda, sia per darvi i propri concerti che per supportare la stagione operistica di quel Teatro. Anche loro hanno un organico che gli permette l'ubiquità, ad esempio – il prossimo 10 maggio - accompagnare alle 19 una Gazza ladra a Dresda con il nostro bravissimo Michele Mariotti, e contemporaneamente – alle 20 - tenere un concerto a Parigi col venerabile Eschenbach!
Come funziona invece la cosa a Milano? Intanto c'è una notevole differenza di organici, rispetto a Vienna. L'Orchestra della Scala ha oggi 116 dipendenti e la Filarmonica 97 associati. È evidente che l'una e l'altra dovranno ricorrere spesso ad ingaggiare musicisti esterni per far fronte ai diversi impegni (in nessuno dei due organici è specificamente presente il ruolo del timpanista!) In ogni caso – a differenza di Vienna e Dresda – qui non c'è mai sovrapposizione fra attività di Teatro e di Filarmonica.
Ma la differenza fondamentale rispetto a Vienna riguarda i cartelloni. Il Teatro alla Scala, oltre alla stagione principale (opera/balletto) ha in calendario – a differenza della Staatsoper – anche una propria stagione sinfonica (5 titoli per 15 concerti nel 2010-2011, più altri concerti diversi). Questa stagione non è da confondersi con quella della Filarmonica della Scala (nel 2011: 12 concerti in Scala e 12 fuori-sede) anche se capita che qualche concerto delle due stagioni abbia contenuti simili e stessi protagonisti (direttori, solisti di strumento e di canto).
La cosa curiosa è che entrambe le stagioni sono coperte dalle prestazioni di un unico organismo: la Filarmonica! In sostanza accade che gli strumentisti della Filarmonica, come i viennesi, sono allo stesso tempo lavoratori dipendenti (del Teatro) e lavoratori in proprio (nella loro Associazione, per la propria stagione, e per lo sfruttamento commerciale della loro attività) ma in più qui sono anche prestatori d'opera esterni nei confronti del Teatro (di cui in gran parte sono anche dipendenti!) per coprirne la stagione sinfonica.
Già a questo punto un ingenuo non capisce perché non si sia fatto come a Vienna, cioè il Teatro non si limiti alla stagione opera/balletto e la Filarmonica – rispettati i vincoli di tale stagione – non si faccia totalmente in proprio tutti i concerti che vuole. Vero è che a Milano non esiste un Musikverein, ragion per cui la Scala, reclamando la sua fama, pretende (ma deve?) anche rimanere sede di concerti, ma è altrettanto vero che un teatro non è proprio il luogo più adatto per questo tipo di spettacolo.
Ma passiamo oltre: essendo, per la stagione sinfonica del Teatro (i 15 concerti) i Filarmonici un fornitore esterno e indipendente, essi dovrebbero – secondo sane leggi di mercato - intrattenere con il Teatro medesimo un regolare rapporto di fornitura, che preveda condizioni, prezzi e l'invio di regolare fattura di prestazione, che il Teatro dovrebbe regolarmente pagare. In un regime di mercato poi, il Teatro dovrebbe essere libero di affidare di volta in volta la propria stagione concertistica al miglior offerente, scelto con regolare gara d'appalto, in base a criteri di price/performance (quindi non esclusivamente alla Filarmonica).
Invece le cose stanno in tutt'altro modo. La prima cosa bizzarra è che per queste prestazioni concertistiche la Filarmonica non incassa un solo Euro dal Teatro! Come si spiega questa apparente stranezza? Ecco, il tutto è sancito in una convenzione Teatro-Filarmonica, dove i concerti della stagione del Teatro sono definiti come concerti in restituzione: ma restituzione de chè? Evidentemente di quella parte di stipendio che gli orchestrali continuano bellamente a percepire dal Teatro come ai tempi in cui con esso avevano anche impegni di lavoro dipendente di tipo concertistico, in aggiunta a quelli di tipo operistico.
Altra considerazione: la metà o più dei concerti della Filarmonica (12 quest'anno) si tengono comunque dentro il Teatro alla Scala, dove vengono anche effettuate quasi tutte le prove. Quindi la Filarmonica, per le sue attività, diventa cliente del Teatro, da cui acquista l'impiego della struttura, di cui però paga solo una parte dei costi (costi della tecnica, come definiti in gergo nella suddetta convenzione) quindi anche qui non certamente un prezzo di mercato.
Insomma, per riassumere:
1. Il Teatro ha alle sue dipendenze un organico orchestrale per la sola stagione opera/balletto;
2. Gli orchestrali (oggi 97 su 116) sono anche riuniti in Associazione Filarmonica indipendente;
3. Il Teatro ha in cartellone anche una stagione sinfonica, la cui copertura è appaltata in esclusiva alla Filarmonica, e a costo zero;
4. La Filarmonica utilizza le strutture del Teatro per tenervi prove e concerti della propria stagione, e ne paga soltanto parte dei costi.
I punti 3. e 4. sono regolamentati da una convenzione fra Teatro e Associazione (che prescinde quindi da ogni legge di mercato).
Ora, non c'è bisogno di pensar male nell'immaginare che una situazione di questo genere, che presenta (come minimo) assai scarsa trasparenza, sia stata – come spesso accade da noi – creata a bella posta in modo da lasciare aperti enormi spazi di discrezionalità (a tutte le parti e a tutti i livelli) e consentire i soliti giochini, aumma-aumma, intrallazzi e privilegi diversi.
Insomma, abbiamo messo in moto un'imitazione che temo - come molte cose fatte all'italiana - abbia da Vienna copiato puntualmente i problemi, senza invece conseguirne i benefici. A proposito dei quali: lo scopo principale della fondazione dei Wiener (promossa da Otto Nicolai attorno al 1840, quasi 150 anni prima che ad Abbado venisse la stessa idea) fu quello di far crescere la qualità dell'orchestra – tramite l'impegno concertistico – da cui poi potesse trarre vantaggio la Hofoper (oggi Staatsoper) per la stagione operistica.
Ecco, da quanto si sente e si sente dire, almeno ultimamente, pare che a Milano ci sia invece una rincorsa verso il peggio.
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