Ieri sera Riccardo Chailly è tornato sul podio della Filarmonica scaligera per proporci la (celebre?) Settima Sinfonia di Gustav Mahler. Musicologi, analisti, editori ed esegeti non si sono mai accordati su quale sia la tonalità di impianto del primo movimento: c'è chi dice MI minore (sono i più, e lo conferma la locandina cartacea) e chi invece propende per SI minore (quest'ultima è effettivamente la tonalità dell'incipit). Forse è per questo che il sito della Filarmonica ha tagliato la testa al toro e, per accontentare tutti, ha salomonicamente indicato RE minore. Meno male che almeno il minore è rimasto (smile!) Vero è che almeno un movimento (il terzo dei cinque) è effettivamente in quella tonalità.
Nella romanzata sequenza delle sinfonie del boemo, questa sarebbe una di quelle dove l'eroe (perché attenzione: c'è sempre un eroe come protagonista, siamo ancora nel romanticismo, sia pure tardo, chiaro?) in qualche modo risorge, o si purifica, o si reincarna, o magari semplicemente chiede scusa per essersi suicidato (ma solo per finta!) nella sinfonia precedente.
Così la seconda porta al camposanto l'eroe uscito faticosamente vittorioso - nella tenzone contro il temibile fra-martino-minore - dalla prima; ma nella terza l'eroe salito al cielo impara ad ascoltare la natura, i prati, gli animali, le campane e, ovviamente, dio; nella quarta l'eroe – sempre da morto – prende in giro un po' tutti, compresa la morte medesima e il paradiso; ma nella quinta risorge e, dopo aver per la verità rischiato di ri-morire subito (a Venezia, smile!) torna più vivo e in carne che mai; poi però nella sesta si martella per tre volte (sadico!) i coglioni e ne esce distrutto, finito, annichilito e polverizzato.
Ecco, a questo punto bisogna spiegare all'ascoltatore che quella era tutta una finta, un'affettazione; insomma: una roba tardo-tardo-tardo (3 martellate, per l'appunto) romantica; e come tale da non prendersi troppo sul serio. A trasmettere tale messaggio è finalizzata la settima, una sinfonia prosaica, con passeggiate notturne - allietate da chitarre e mandolini, una cosa a metà fra la Ronda di Rembrandt e la Ritirata di Boccherini - e walzeroni sguaiati, insieme a scimmiottature di maestri-cantori. Insomma, la parodìa della parodìa. Ma per l'apoteosi si dovrà ancora aspettare l'ottava, dove il nostro eroe dalle mille morti e millanta vite verrà finalmente attratto in alto dall'eterno femminino (ma questo eterno femminino cosa aspetta, di grazia, ad attirare in alto – e non nei sotterranei del bunga-bunga - il nostro amatissimo PM? strasmile!)
Dopodichè, a forza di gridare al lupo al lupo, per Mahler la vita si farà maledettamente dura per davvero; e serissime assai saranno di conseguenza le sue tre ultime opere.
Ma torniamo alla settima e soprattutto a come ce l'ha propinata il Riccardone per interposti Trepper. Quello di Chailly mi è parso un approccio à la Klemperer-tardo, in particolare nel primo movimento, piuttosto strascicato. Le Nachtmusiken avevano caratteristiche più soporifere che sognanti. Lo scherzo un po' troppo in punta di piedi, nemmeno fosse un menuetto… E il Rondò ha solo in parte riscattato una prestazione così-così, inquinata anche dai soliti incespicamenti degli ottoni, nessuno escluso (no, forse la tuba). Il migliore è stato l'addetto ai timpani (smile!):
Il pubblico ha comunque voluto premiare tutti, e va bene così…
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