Le tesi della difesa.
Certo, bisogna riconoscere che Wagner ha contribuito di bel suo a creare le premesse per una non propriamente onorevole fama, con scritti e comportamenti violentemente antiebraici. Ma intanto bisogna pur sapere che nel pieno ‘800, specialmente nel mondo tedesco, l’antisemitismo era di casa, un pò come certo anti-
islamismo nell’Occidente di oggi. Gli islamici non si integrano nella nostra società, non parlano bene la nostra lingua, non mangiano come noi, sembrano piuttosto sporchi, “rubano” posti di lavoro ai nostri figli, non capiscono la nostra arte, l’unica loro musica è l’insopportabile cantilena del muezzin, insomma, ci sono istintivamente repellenti… lo pensano in molti, anche qui da noi, vero? E qualcuno – gente assai importante - lo scrive sui giornali e sui libri, lo dice in TV. Bene, è su per giù ciò che Wagner scriveva degli ebrei, nel 1850.
Ma si potrebbe addirittura retrocedere nei secoli, e scoprire che un antisemita accanito fu Martin Luther (cui nessuno osa attribuire responsabilità dirette per l’Olocausto) e che altrettanto fu William Shakespeare, di cui nessuno, che si sappia, ha mai proposto di proibire in Israele la rappresentazione del “Mercante di Venezia”.
Tornando a Wagner, visto che la musica e l’opera erano il suo “pane quotidiano” e la sua suprema aspirazione esistenziale, non è fuori luogo immaginare che il maestro abbia, in qualche modo, ricavato dalle sue convinzioni antiebraiche – meglio sarebbe dire: dai suoi pregiudizi - più di uno spunto per la composizione delle sue opere e, in particolare, per la presentazione dell’aspetto “esteriore” di alcuni suoi personaggi. Ma già questo è un primo punto importante da sottolineare: l’antiebraismo di Wagner riguardava principalmente l’Arte e, in particolare, la
Musica. Lui - magari solo perchè invidioso dell’onnipotente Meyerbeer, che dettava legge nella Parigi musicale, e si arricchiva assecondando le più abiette tendenze “artistiche” della locale borghesia - giudicava gli ebrei “non portati” per l’arte musicale, almeno come essa era concepita in Germania e in Occidente, ma è del tutto gratuito attribuirgli la spiegazione di ciò come conseguenza della rinuncia all’amore e dell’asservimento al potere dell’oro da parte della razza ebraica (e solo di essa, attenzione!)
Quando era il momento di chiedere quattrini, lo stesso Wagner applicava disinvoltamente il famoso adagio latino: “pecunia non olet”… e si può star certi che molti dei rossi mattoni del Festspielhaus abbiano sangue ebraico nel loro pedigree. E quando si trattava di scegliere i migliori collaboratori per la riuscita delle sue Opere, Wagner non esitava a chiamare amici ebrei, come accadde per
la prima del Parsifal - invero una cosuccia da nulla! - che venne affidata, con grande successo e soddisfazione di tutti, a Hermann Levi (il fatto che Wagner gli abbia anche, contraddittoriamente, manifestato più volte il suo disprezzo non fa che confermare l’assunto: il suo antisemitismo era “relativo” e non “assoluto”).
Non solo: quando si trattava di trovare spunti interessanti per le sue opere, Wagner non esitava a saccheggiare quelle di compositori ebrei, vedi Mendelssohn, da lui offensivamente ridicolizzato nel
Giudaismo, ma poi abbondantemente scopiazzato dalla
Melusina, dalla
Scozzese, dalla
Riforma. E persino l’odiato Meyerbeer darà spunti - col
Robert le diable - al Parsifal.
Rispetto al possibile uso politico delle opere di Wagner, basterà ricordare che, molto prima di Hitler, anche Ludwig II si era letteralmente “innamorato” del compositore e delle sue opere, ed aveva conosciuto molto bene il suo acceso antisemitismo. Ma ciò non aveva comportato che la Baviera invadesse la Polonia, nè che allestisse campi di concentramento e forni crematori. Anzi, il giovane re, che per il Wagner artista spendeva e
si spendeva, fu sempre molto fermo con il Wagner antiebreo, non risparmiandogli aspri rimbrotti in merito e bocciandone ogni proposta operativa.
E persino l’ostracismo a Wagner in Israele è nato solo nel 1938 (precisamente il 12 novembre, all’indomani della tristemente famosa
Kristallnacht, di cui stiamo proprio ricordando l’anniversario) quando il nazismo cominciò a mettere in atto la “soluzione finale” al problema ebraico. Prima di allora, l’Orchestra della Palestina (diventata poi Israel Philharmonic) suonava tranquillamente Wagner (con un tale Toscanini sul podio, ad esempio). E come non ricordare tutte le personalità, grandi e piccole, del mondo ebraico che furono e sono convinti ammiratori del Wagner
artista, pur riconoscendo (e condannandole) le idee antisemite del Wagner
uomo: Gustav Mahler e Daniel Barenboim, giusto per citare due nomi fra i tanti.
Anche se è cosa estremamente difficile - quanto camminare sulla lama affilatissima di un rasoio - sono convinto che vada fatto sempre ogni sforzo per tenere distinti gli aspetti deteriori del Wagner uomo, ideologo, capopopolo, da quell’unica qualità per la quale Wagner ha titolo per essere ricordato ed apprezzato: l’
Artista!
Passiamo ora ad esaminare e confutare i vari
capi di imputazione che vengono contestati a Wagner e che ho sommariamente elencato nella
precedente puntata.
Vediamo
I Maestri Cantori.
Intanto cominciamo col dire che
Beckmesser non può essere ebreo: come tale mai avrebbe potuto far parte dell’accolita dei Cantori. E allora qualcuno dovrebbe spiegare che senso avrebbe far incarnare ad un non-semita tutte le qualità deteriori - massimamente quelle fisico-morfologiche - attribuite dal Wagner “politico” agli ebrei. Insomma, per assurdo: se Beckmesser, che certamente non è semita, cammina e parla e canta come un semita... significa che fra semiti e non-semiti non c’è differenza alcuna! E allora casca tutta l’impalcatura dell’accusa.
Ma andiamo oltre: alla fine del primo atto Beckmesser confida a Pogner il desiderio di avere in moglie sua figlia Eva. E Pogner, pur riaffermando che sarà Eva a dover acconsentire, si impegna a intercedere per lui presso la figlia. Ergo: Pogner, rappresentante a pieno titolo della società e della cultura tedesca, non ha alcuna preclusione verso il “merker”, che evidentemente considera del tutto degno - Eva consentendo - di diventare suo genero.
Il “puro ariano” Hans Sachs, viceversa, sarà anche “nobile” e saggio, rinunciando in partenza ad Eva, ma si mostra assai carogna (e geloso?) nei confronti di Beckmesser allorquando, nel secondo atto, fa di tutto per rovinargli la “serenata”. E persino il giovane David, tratto in inganno dallo scambio di persona Eva-Maddalena (non certo voluto dal povero Beckmesser) si rende responsabile di percosse e maltrattamenti nei confronti dello scrivano, e della gigantesca rissa che ne segue, da cui l’incolpevole Sixtus uscirà letteralmente con le ossa rotte! Ed è proprio in conseguenza delle botte subite la sera prima che Beckmesser, nel terzo atto, in casa di Sachs e poi sul terrapieno della tenzone canora, appare barcollante e malfermo sulle gambe, non certo perchè questo sia il modo di camminare congenito agli ebrei!
Beckmesser - è vero - ruba il foglio su cui Sachs ha trascritto il
lied di Walther. Non è certo una bella azione, ma non si può non riconoscere che Sachs si è comportato con lui in modo davvero indegno; e adesso quella canzone gli sembra dimostrare che Sachs pretenda alla mano di Eva, e gli conferma il sospetto che il calzolaio, la sera prima, avesse architettato tutto ai suoi danni, per pura gelosia!
Insomma, ragionando a mente fredda, vien da concludere che Beckmesser sia una vittima, più che un pericolo pubblico. E che Sachs sarà anche un
tedesco doc, ma è pure parecchio carogna. E allora: ammesso che Beckmesser impersonifichi il semita, non è che Wagner volesse per caso mostrarci la triste condizione degli ebrei, sottoposti ad ogni tipo di angheria? Altro che antisemitismo...
Ma veniamo alla sostanza: la musica!
Pochi passaggi musicali sono così magistralmente concepiti, e così
belli, come l’assurda e patetica serenata (oltretutto una reminiscenza e insieme parodia della rossiniana
canzone di Lindoro) che Beckmesser canta nel secondo atto, e che doveva servire al compositore – secondo i sostenitori del Wagner nazista - per prendere di mira la pretesa incultura musicale del mezzo-ebreo Eduard Hanslick (il critico che lo “criticava”, peraltro con grandissimo equilibrio). Al confronto, gli
stollen-abgesang dello
Junker Walther (ma come potrebbe mai impersonificare un “eroe ariano” uno il cui cognome -
von Stolzing – è già di per sè una parodia?!) sembrano esercizi di un (mediocre) allievo di liceo musicale. Tutta la musica che sostiene la strepitosa, stupefacente scena finale della baruffa del secondo atto nasce e si sviluppa proprio da lì, altro che cantilena da Sinagoga! E si noti che persino David, all’inizio del terzo atto, intona inizialmente il mottetto “Am Jordan Sankt Johannes stand” proprio sulla melodia della serenata di Beckmesser! Inquinato anche lui dalla sub-cultura semitica? Bisognerebbe dimostrarlo, partitura alla mano!
Quanto al
preislied, Wagner è a sua volta davvero carognesco nel formularne la “versione Beckmesser”: ma un simile stravolgimento del testo originale è spiegabile con mille motivazioni, e non solo con la difficoltà di un Ebreo nel comprendere la lingua tedesca (e chi ci dice che non sia stata tutta una manfrina di Sachs, quella di scrivere il testo appositamente in modo indecifrabile, per tendere un trappolone al povero “merker”?) Musicalmente è poi tutt’altro che da buttar via, e il fallimento, nella generale derisione, è legato all’insensatezza del testo, non certo alla musica.
Non dimentichiamo infine che Wagner intendeva creare, con i Meistersinger, un’
opera comica, e in tutte le opere comiche c’è necessariamente qualche personaggio che si deve prestare alla bisogna (sarà solo il caso di ricordare un certo don Bartolo...) senza per questo dover scomodare pregiudizi razziali.
Passiamo adesso alla
Tetralogia.
Secondo l’accusa, dato che l’ebreo ha una cultura che spregia l’amore e predilige l’oro, e dato che
Alberich rinuncia all’amore per l’oro, ne deve conseguire necessariamente che Alberich sia un semita, e con lui tutta la sua razza. (Sarà appena il caso di fare un’elementare osservazione: i Nibelunghi sono pur sempre un prodotto del (sotto)suolo germanico, e non hanno alcuna ascendenza “levantina”. E parlano in
Stabreim come tutti gli altri personaggi del Ring). In realtà questo è un ”postulato” bello e buono, in nessun modo dimostrabile: sono il poema e la musica del
Rheingold, a informarci che Alberich sarà sì piccolo e brutto, ma non è cattivo, cioè non è congenitamente nemico dell’amore, anzi è soggiogato dalla sua potenza, e che la sua successiva maledizione dell’amore è una conseguenza del fatto che questo gli viene inconcepibilmente negato (dalle Figlie del Reno).
Addirittura - volendo dare per forza interpretazioni esclusivamente politiche al Ring - si potrebbe qui
ribaltare la tesi e sostenerne a pieno titolo una diametralmente opposta: che Wagner, da occidentale-germanico-ariano faccia un’aperta autocritica e voglia invece presentarci, con Alberich, la triste condizione degli ebrei, disprezzati da ben due millenni dall’ipocrita società occidentale, sia cattolica che luterana, emarginati e relegati in ghetti materiali e spirituali, dai quali possono uscire solo rifugiandosi (anzi, essendo perfino a ciò costretti!) nell’oro.
Per di più , la capitale decisione che Alberich prende ne fa una figura grande, perchè anche per peccare, in modo cosciente, razionale ed assumendosi fino in fondo responsabilità e rischi, bisogna pur avere una
statura al di sopra della mediocrità. Altro che meschino verme ebreo!
Veniamo ora a
Wotan e al suo preteso “inquinamento” ad opera del semita Alberich. Attenzione! poiché, una volta fatta passare per vera tale ipotesi, si ha poi gioco facile a pervenire alla comodissima tesi secondo cui, nel Ring, Wagner vuole attribuire tutte le colpe della società e della cultura occidentale, in particolare germanica, quindi ariana – anche quelle più gravi ed inconfessabili - all’essere essa in via di inquinamento da parte della sub-cultura semitica (proprio ciò che sosterranno i nazisti!) E che Wagner, con il
Ring, questo e non altro ha voluto rappresentarci; e peggio ancora: che nelle opere del protonazista Wagner, Hitler trovò bell’e pronti non solo tutta la sua “visione politica”, ma anche il suo dettagliato programma di eliminazione fisica degli ebrei.
Orbene, sfido chiunque a trovare in tutto il
Ring una qualunque, sia pure lontana, giustificazione di questa tesi sciagurata, quanto pretesuosa. Attenzione: stiamo parlando qui del Ring, non di questo o di quell’articolo di giornale, di questa o di quell’altra lettera, o di una frase pronunciata dopo una cena con amici o riferita da Nietzsche, da vonWolzogen, da Cosima, da Gobineau...
Allora cominciamo col dire che l’
anello, il simbolo di tutto il male universale, viene sì materialmente forgiato da Alberich, ma a lui preesiste, e sappiamo benissimo dove, avendo ascoltato il Rheingold! Precisamente nella
conoscenza delle tre Ninfe, le figlie del Reno, e cioè dell’acqua, il principale dei quattro elementi fondamentali dell’universo. E sulla partitura musicale, il tema dell’anello compare per la prima volta addosso a Wellgunde, non certo ad Alberich! Quindi il nesso causa-effetto non è Alberich-Anello, ma esattamente l’opposto: Alberich è una vittima dell’anello (il male) esattamente come lo è (e lo vedremo subito) Wotan.
Non per nulla, nella seconda scena del Rheingold, Wagner ci ri-presenta il tema dell’anello, letteralmente appiccicandolo a Wotan, come una sanguisuga, fin dalle primissime battute; ed è chiaramente legato al “peccato” del dio, che ha promessa Freia (l’Amore!) ai Giganti, in cambio del Walhall (il Potere). Per di più, lo stesso tema del Walhall altro non è se non una variante del tema dell’anello, la sua “faccia nobile” (ma anche ipocrita?) potremmo dire. Da dove o da cosa, da chi o perché si possa dedurre che Wotan, già a quel punto, sia stato “inquinato” dalla sub-cultura semitica, questo è per me un mistero, anzi… un’invenzione, bella e buona.
La realtà (come ce la racconta Wagner, parole e musica, basta leggere ed ascoltare) è quella che ci hanno già chiaramente presentata gli “eddici” Saemund e Snorri: tutta la razza divina, da Ymir, a Bor, e giù giù fino a Odin(Wotan) è affetta da “peccati originali”, dei quali l’ultimo ci è stato da Wotan confessato già nella Walküre con queste inequivocabili parole: “Als junger Liebe Lust mir verblich, verlangte nach Macht mein Mut: von jäher Wünsche Wüten gejagt, gewann ich mir die Welt.” (
Quando di giovine amore languì il desiderio, l'animo mio aspirò a potenza: di improvvise brame dal furore spinto, a me conquistai il mondo. La traduzione è del sommo Guido Manacorda).
Chiaro abbastanza, vero? Ma invece, come non bastasse, il Viandante-Wotan ci fornisce i dettagli del suo peccato nella seconda scena del Siegfried, ed è la mortale ferita da lui stesso inferta al mitico frassino Yggdrasil, per ricavarci l’asta di una lancia, su cui incidere i caratteri runici delle leggi con cui dominare il mondo: “Aus der Welt-Esche weihlichstem Aste schuf er sich einen Schaft: dorrt der Stamm, nie verdirbt doch der Speer; mit seiner Spitze sperrt Wotan die Welt.” (
Del frassino del mondo dal ramo più sacro l'asta si costruì: inaridisce il fusto, non si logorerà mai la lancia; con la sua punta sbarra Wotan il mondo. Manacorda).
Poi c’è Erda, che nella prima scena del Terzo Atto di Siegfried così apostrofa Wotan: “Der den Trotz lehrte, straft den Trotz? Der die Tat entzündet, zürnt um die Tat? Der die Rechte wahrt, der die Eide hütet - wehret dem Recht, herrscht durch Meineid?“ (
Chi la tracotanza insegnò, punisce la tracotanza? Chi all’azione infiammò, dell'azione s'adira? Chi il giusto protegge e guarda il giuramento - il giusto impedisce e regge con spergiuro? Manacorda).
Non basta ancora? Ecco cosa notificano - per i distratti e i ritardatari - le Norne nel notturno prologo del Götterdämmerung: “Von der Welt-Esche brach da Wotan einen Ast; eines Speeres Schaft entschnitt der Starke dem Stamm. In langer Zeiten Lauf zehrte die Wunde den Wald; falb fielen die Blätter, dürr darbte der Baum...“ (
Dal frassino del mondo ecco Wotan un ramo recidere; l'asta d'una lancia tagliò quel forte dal tronco. Nel corso di lunghi tempi la ferita logorò la foresta; falbe caddero le foglie, intristì arido l'albero... Manacorda).
Se poi ricordiamo che Wotan
ruba l’anello ad Alberich, ne abbiamo abbastanza, direi… perciò, se immondi e peccatori sono gli
Untermenschen semiti, allora come minimo lo sono altrettanto i luminosi germanici-ariani (anzi, di più, poiché non hanno nemmeno l’attenuante della “provocazione” e dello “stato di necessità”: sappiamo che Alberich persegue la Potenza solo dopo aver subito il carognesco trattamento da parte delle Ninfe ed aver quindi constatato l’assoluta impossibilità per lui di accedere all’Amore; Wotan invece ha avuto l’Amore, e tanto abbondantemente da addirittura stancarsene - pur non arrivando a ripudiarlo - ed è quindi andato in cerca di Potenza come “variante esistenziale” all’Amore medesimo). Questo, e non altro, Wagner ci spiega, e senza bisogno di far ricorso ad etichette razziali, tutt’altro, ma semplicemente raccontando di:
Schwarz-alben e
Licht-alben. Quindi, tutti “elfi”, scuri e chiari, ma elfi. E la quarta scena del Rheingold è lì a testimoniarci, parole e musica, in modo esemplare, che il confronto Alberich-Wotan è quello fra un
empio (Frevler) - Alberich - e un
ladro (Schächer) - Wotan.
E quindi si deduce che per Wagner, nel Ring (lo ripeto fino alla nausea, non nel libello X o nel discorso Y o nella lettera Z, ma nel
Ring) il mortale confronto fra Wotan ed Alberich non è affatto lo scontro fra bene e male, fra puro-ariano e impuro-semita, ma quello fra due peccatori, rappresentanti di due civiltà sì diversamente sviluppate, ma ugualmente fondate sui deteriori (dis)valori dell’
anello. Per impossessarsi definitivamente del quale, non a caso entrambi ne combinano di cotte e di crude, fino a scatenare un vero e proprio “conflitto mondiale”, che porterà dritto-dritto al tracollo di entrambe le civiltà. Ed è proprio per questo, e per nessun’altra ragione – si ascolti Wagner, prego – che nessuno dei due personaggi (e nessuno dei due “opposti schieramenti” che a loro fanno capo, figli e figliastri e nipoti inclusi) l’avrà vinta sull’altro, perché nessuno dei due si merita di prevalere. Qualcuno ci vede qui sul serio la
Kristallnacht, l’invasione della Polonia, o l’
Anschluss? Caso mai, potremmo osservare che alla fine del Ring le cose vanno meno peggio ad Alberich, che non a Wotan! E questo cosa dimostrerebbe? Che Wagner, oltre che nazista, era pure masochista? E che si vide costretto a scrivere una successiva opera colossale, per tentare di porre rimedio alla “frittata” autolesionista del Ring?
Passiamo ora a
Mime: che rappresenti la meschinità e l’arretratezza culturale è palese a tutti; che nel Siegfried, Wagner ci racconti di come il miserabile nano soccomba alla purezza, all’entusiasmo e all’inventiva del giovane figlioccio cui fa da tutore, altrettanto.
Ma il punto è che Mime, a differenza di Alberich, che minaccia Wotan di totale distruzione, ha mire assai più ridotte, che ci rivela alla fine del primo atto del Siegfried: a lui “basterebbe” diventare signore dei Nibelunghi, giù nelle tenebre delle viscere della terra. Di Wotan gli importa solo di sfatarne la scommessa persa con lui, e salvarsi il capoccione, null’altro… E del resto, quando mai Wotan mostra di preoccuparsi di lui, o peggio, di considerarlo una seria minaccia? A differenza di Alberich, suo nemico mortale, che gli ha fatto perdere il sonno, ma che lui rispetta almeno quanto teme, per Wotan Mime è solo un mezza-tacca, un poveraccio da prendere - e guardate: persino bonariamente - per i fondelli.
Per il resto ci si dimentica, al solito, di leggere e di ascoltare il
Ring: nella terza scena del Rheingold, Mime descrive un mondo nibelungico addirittura idilliaco, prima della “provocata conversione” di suo fratello Alberich alla nefasta religione dell’oro, che ha poi costretto anche lui a tirar fuori il peggio di sé, per naturale reazione…
Quanto all’aspetto esteriore, non c’è dubbio che Wagner rivesta Mime (come in parte anche Alberich) delle qualità negative da lui attribuite agli ebrei (la parlata e la cantilena yiddish, in primo luogo): ma siamo appunto all’esteriorità, peraltro mirabilmente espressa sul pentagramma. (E Richard Strauss, nella
Salome, non ha forse musicato per
tenore le stridule parti di quattro personaggi ebrei?) Wagner, in fondo, forse doveva essere grato a quello stereotipo di ebreo, se gli consentiva di creare autentiche meraviglie in musica! E non solo qui nel Ring, come abbiamo visto a proposito dei Meistersinger e come vedremo poi nel Parsifal.
Siegmund e Sieglinde: è del tutto evidente che i due personaggi, la loro consanguineità e il conseguente incesto erano un’assoluta
necessità artistica per Wagner. L’incesto, che ha come presupposto il legame di sangue dei due gemelli, è l’unica
realistica motivazione per il comportamento di Fricka, per le sue richieste a Wotan e per tutto ciò che la loro soddisfazione comporta: il sacrificio di Siegmund, e da qui la “conversione” di Brünnhilde, la di lei punizione, e da qui... tutto il resto del Ring! La Walküre
opera d’arte, con il suo meraviglioso impianto e il suo stupendo finale, non potrebbe esistere che così. Viceversa, se Siegmund rappresentasse il puro-ariano, in cui la società germanica ha riposto le sue speranze di riscatto, come si spiegherebbe allora il suo rifiuto di ascendere al Walhall, per difendere quella società? E ancora: visto che è Fricka a chiedere la punizione del Siegmund-eroe-ariano, dovremmo allora pensare che anche lei sia in qualche modo “inquinata” dal nibelungico-semita? E di grazia: in base a quali elementi, circostanze, osservazioni, parole e musica? Ciò che di lei sappiamo (dal Rheingold) è che non è diversa dalla donna media e ”benpensante”, con le sue bigotte convinzioni, ma anche con le sue vanità e le sue debolezze, oro compreso.
Siegfried: che Wagner abbia immaginato in lui uno stereotipo del “puro ariano”, è più che verosimile, così come si può arrivare a pensare che la raffinata ricerca wagneriana nel campo dell’introspezione psicologica (lo straordinario sogno della madre e la reazione di Siegfried di fronte all’Amore) avesse come obiettivo secondario anche di dimostrare al mondo “quanto può fare l’Arte germanica” se paragonata alle “insulsaggini ebraiche” di un Meyerbeer… Ma, ancora una volta, restiamo saldamente ancorati al piano artistico: tirare in ballo quello politico, e più ancora quello razziale, è davvero cosa gratuita. Peraltro basterà, come al solito, stare alla lettera e al pentagramma del racconto wagneriano, per chiederci come si possa spiegare che un Siegfried eroico e incontaminabile, che “resiste”, e come! all’inquinamento di Mime finchè si trova nella sua tenera età (proprio quando invece potrebbe essere facilmente plagiato) successivamente – divenuto maturo ed esperto – possa cadere come un’autentica pera cotta, letteralmente in pochi secondi, davanti ad un qualunque mezzo-semita (Hagen) e ad una insignificante Gutrune! E questo ingenuo bambinone naìf dovrebbe rappresentare, secondo Wagner, il simbolo del riscatto della razza ariana? Roba da ridere… per non vergognarsene. Basti ricordare che le più spietate e stroncanti caricature degli anni ’20 - in Germania, si badi bene - raffigurano Hitler bardato proprio da Siegfried…
Ecco poi
Hagen, figlio di Alberich: una geniale invenzione di Wagner. Geniale, ma anche assolutamente necessaria dal punto di vista drammatico, perché l’identità dell’
Högni che esce dalle saghe medievali avrebbe reso totalmente gratuito e banale (perché ingiustificabile e del tutto insostenibile, in quanto
non realistico) il suo ruolo nella vicenda del Ring: di quel personaggio, il Wagner ideatore di drammi cosmici davvero non avrebbe saputo che farsene. Epperò il suo “Hagen-figlio-di-Alberich” doveva essere per forza di cose un pezzo grosso alla corte dei Ghibicunghi, e di conseguenza il realismo imponeva che lui fosse figlio di una ghibicunga, e non di una nibelunga! Pensare che Wagner volesse mostrarci, con Hagen, il malsano risultato dell’inquinamento semitico della società ariana è una chiara, quanto gratuita, forzatura… anche se non possiamo escludere che Wagner si sia compiaciuto del fatto che una scelta per lui
artisticamente obbligata avesse, come
by-product, anche un risvolto che magari non gli dispiaceva affatto; oppure che (scegliete voi) Wagner avesse tratto ispirazione dalle sue idee balzane sull’ebraismo per presentarci e descriverci in modo artisticamente sublime un passaggio topico del suo immenso dramma.
Wagner aveva cominciato il suo lungo cammino del Ring da Siegfried, ma è quella di
Brünnhilde la figura che alla fine campeggia e torreggia nella Tetralogia: a partire dalla stupenda, emozionante “presa di coscienza” nella Walküre, poi al risveglio e alla “presa di conoscenza dell’Amore” nel Siegfried, e finalmente alla “presa di controllo” sulle estreme vicende cosmiche, nel Götterdämmerung. In ogni caso, la figura di Brünnhilde la dice lunga su quanto sia strampalata l’idea secondo cui Wagner, col Ring, si prefiggesse l’obiettivo di esporci le sue pretese soluzioni politiche riguardo al futuro della Germania. Diciamo la verità: Hitler&C si servirono, a loro uso e consumo, di un artista e di una delle più straordinarie opere d’arte che l’umanità abbia mai prodotto.
Concludiamo con
Parsifal.
La semplice constatazione degli innumerevoli legami di questo dramma con il Buddismo e con Schopenhauer e Kierkegaard basterebbe a stroncare ogni accusa di razzismo e antisemitismo.
E poi, sulla presunta ebraicità di
Kundry (indicata dagli esegeti che accusano Wagner come l’incarnazione di Ahasvero, l’ebreo errante) è lecito avanzare più di un dubbio: ad esempio, la Erodiade, che Klingsor ci ricorda essere una precedente incarnazione di Kundry, aveva pubblicamente abiurato la sua religione ebraica.
Klingsor, appunto: un semita? E in base a quale prova, di grazia? Solo perchè vive “al sud”, nella Spagna araba? O perchè si è evirato? Forse che castrazione è sinonimo di circoncisione? (che nell’800 molti ignoranti antisemiti lo pensassero non dimostra che anche Wagner ne fosse convinto, nè tantomeno che volesse far passare per vera questa idiozia).
Altra domanda: com’è che Kundry - la quintessenza dell’inquinante semitico - viene finalmente ammessa - unica e prima
femmina - nel tempio del Gral? Dato e non concesso che sia di razza ebrea, ciò significherebbe, come minimo, che Wagner auspicava l’integrazione degli Ebrei - “culturalmente redenti” - nella società e nella cultura tedesca, e non certamente la loro violenta eliminazione fisica!
Ma è il lato musicale, ancora una volta, a far giustizia di ogni pretesa intenzione razzista e antisemita di Wagner. Sì perchè - guarda caso - è la strepitosa Kundry e non certo lo sciocco biondino preteso-ariano (“papero”, lo apostrofa il saggio vecchio Gurnemanz) a monopolizzare la scena, psicologicamente, fisicamente e musicalmente.
Chi vuol dipingere un Wagner tutto proteso a mostrarci nelle sue opere la natura repellente dell’ebreo, dovrebbe allora spiegarci come avviene che, al contrario, i personaggi a ciò da lui preposti (a partire da
Holländer, altra supposta reincarnazione di Ahasvero, per arrivare a
Kundry) siano fra i più musicalmente straordinari di tutta la sua produzione artistica. Vuoi vedere che Wagner ha finito per infondervi inconsapevolmente il suo supposto e temuto (quanto inconsistente) ascendente ebraico?
Il discorso fatto più sopra a proposito di Siegfried vale per il “puro folle”, che è, per l’appunto, folle. E che solo un folle (non certo Wagner) poteva pensare di prendere a modello. Immaginare che Wagner intendesse – seriamente - prefigurare nelle sue opere ai suoi compatrioti il futuro “redentore della specie” (e magari, perché no, addirittura il
Führer in persona) vestendolo con i panni di due ragazzotti sprovveduti – possiamo ben dirlo - come Siegfried e poi Parsifal… significa davvero far torto, in un sol colpo, all’intelligenza del Wagner
artista e a quella del Wagner
antisemita.
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E così alla fine, se proprio proprio si vuol trovare un parallelo (in termini di scontro ariano-semitico di culture) fra le opere di Wagner e la “visione” di Hitler, Göbbels e Himmler, non resta che un unico riferimento: ed è la Berlino che brucia, esattamente come il Walhall…
Ma allora: vuoi vedere che
Adolf Schicklgruber da Braunau am Inn, e i tedeschi plagiati da lui, essendosi macchiati di appropriazione indebita dell’
Artista Richard Wagner – proprio come Wotan dell’anello di Alberich - per farci il “sommo profeta” delle loro nefandezze, ne hanno poi dovuto tragicamente subire – sì, esattamente come Wotan – i colpi di una tremenda maledizione, realizzandone fino in fondo, sulla pelle di sei milioni di ebrei, ma in fin dei conti anche sulla propria, la più apocalittica e nichilista delle “visioni”?
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