affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

12 agosto, 2019

ROF-XL alla radio


Ieri sera il ROF del quarantesimo (significativamente dedicato a due grandi personaggi - del canto e della scienza musicale - da poco scomparsi, Monserrat Caballè e Bruno Cagli) ha aperto i battenti con una della bestie-nere (in senso buono, of course...) del catalogo rossiniano: Semiramide.

Dirò subito che il livello musicale dello spettacolo (per quanto si può giudicare per radio) mi è parso di alta qualità, se non proprio di eccellenza. Il profeta-in-patria Michele Mariotti ha confermato - ce ne fosse bisogno - di padroneggiare il complesso e difficile materiale rossiniano con assoluta perizia: certo, lui ha avuto il vantaggio di lavorare per anni con super-esperti come Zedda, e... si sente! La OSN-RAI non gli è stata da meno, con una prestazione impeccabile in tutte le sezioni, già manifestatasi fin dalla colossale Sinfonia.

Fra le voci mi ha sorpreso assai positivamente Varduhi Abrahamyan, un contralto che ha doti naturali degne di una Podles (!) Il suo Arsace ha la necessaria profondità di accenti e sono curioso di ascoltarla dal vivo per confermare questo giudizio.

Bene anche la beniamina del ROF Salome Jicia, che non sarà proprio la Colbran... ma che ha dimostrato di essere assai cresciuta in questi pochi anni, dopo il suo esordio in Elena.

Antonino Siragusa ha pure confermato alle mie orecchie la sua propensione per questi ruoli rossiniani: voce squillante, acuti staccati (quasi sempre) con sicurezza, dai DO e RE del primo atto, fino ai due DO# non scritti della sua aria di... addio-al-celibato, prima del viaggio di nozze.

La sua mogliettina non troppo convinta era Martiniana Antonie, che si è ben difesa, in una parte non proprio impossibile.  

Più che discrete le due voci basse, Nahuel Di Pierro è stato un efficace Assur, anche a livello di espresività, come dimostra la scena degli incubi, prima del finale; Carlo Cigni è stato un autorevole Oroe, anche se forse l’emozione di dover aprire l’opera gli ha creato qualche problema all’inizio. Oneste le prestazioni di Alex Luciano e Sergey Artamonov.

Il Coro del Ventidio Basso guidato da Giovanni Farina ha meritoriamente completato l’opera sul fronte musicale, accolto da un successo incondizionato, almeno a giudicare dagli applausi finali. Grandi contestazioni invece al team di Graham Vick, la cui regìa, secondo l’inviato di radio3 Oreste Bossini peccherebbe di eccessivo e indigesto cerebralismo (ma converrà giudicarla dal vivo).
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13 agosto - Demetrio&Polibio

Brillante davvero questa ripresa dell’opera prima di Rossini, comparsa al ROF nell’ormai lontano 2010, che ieri ha ottenuto (almeno a giudicare da ciò che l’etere ci ha portato alle orecchie dalla piccola bomboniera del Teatro cittadino) un gran successo di pubblico, con applausi dopo ogni numero e ovazioni finali.

Regina della serata (ma c’era da prevederlo) è stata una delle beniamine del ROF, Jessica Pratt, che in una parte che pare proprio scritta per lei e per le sue straordinarie doti naturali ha inebriato i suoi fan, sciorinando virtuosismi e sovracuti da brivido.

Ma bene anche Cecila Molinari (alla sua terza comparsa in 4 stagioni) e l’ormai veterano Juan Francisco Gatell, cui si è degnamente affiancato Riccardo Fassi.

Ripettando un’alternanza che vede le due Orchestre locali avvicendarsi di anno in anno in un’opera del cartellone principale, è toccato alla Filarmonica Rossini (da tempo affidata alle amorevoli cure di Donato Renzetti) accompagnare le voci sotto la guida del solido Paolo Arrivabeni, tornato al ROF dopo 16 anni. Meritevole di apprezamento anche il Coro della Fortuna diretto da Mirca Rosciani

In attesa dell’Equivoco, mi sento di dire che il livello strettamente musicale di questo quarantenne Festival è davvero ragguardevole.
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Titolo appropriato per le vicende politiche di attualità ferragostana: Buralicchio Salvini buggerato da Frontino Renzi... (che Dio ce la mandi buona!)

Chiusura scoppiettante delle tre prime del ROF-XL, con il dramma giocoso che occupa il terzo posto del catalogo rossiniano, subito dopo la Cambiale (di cui mutua la Sinfonia, inaugurando così immediatamente la prassi degli auto-imprestiti).

Anche ieri sera Radio3 ci ha portato belle notizie sul fronte dei suoni, con una compagnia di canto ben assortita (Iervolino e Bordogna su tutti) e una direzione (Carlo Rizzi) che ha saputo valorizzare al meglio le qualità di questa spumeggiante partitura del 19enne Gioachino. Accoglienza poco meno che trionfale, a testimonianza del gradimento del pubblico, fra il quale si è mescolato tale... Richard Bonynge!
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Ora non resta che l’esperimento in corpore vili... prossimamente.

02 agosto, 2019

Festival d’estate: ROF compie i 40


Sono tuttora in corso alcuni importanti Festival estivi d’opera: Bayreuth ha aperto con un Tannhäuser (per me più che accettabile) che ha suscitato reazioni contrastanti (ma già la seconda pare essere andata ancor meglio); poi con un Lohengrin e un Tristan dove il padrone di casa Thielemann, a dispetto (o forse proprio a causa) della sua straordinaria padronanza della materia,  ha palesato (alle mie orecchie perlomeno) una fastidiosa recrudescenza della sindrome-da-collina-verde, permettendosi libertà (soprattutto nell’agogica) invero eccessive; e un Meistersinger che giudico (musicalmente) la cosa migliore udita (grazie a Jordan e Volle, soprattutto). Nulla posso dire di Parsifal, negato all’etere da qualche strano diritto... Già si guarda al 2020, che proporrà un nuovo Ring, affidato alle cure di Pietari Inkinen (podio) e Valentin Schwarz (regìa). Si era parlato di un ritorno di Daniele Gatti, già lì nel 2008-11 per un Parsifal per la verità ricordato lassù più per l’innovativa regìa di Herheim che non per il podio del direttore milanese... ma evidentemente qualcosa non ha permesso che ciò si materializzasse. C’è comunque da osservare che il ciclo 20-24 sarà di carattere - per così dire -  interlocutorio, poichè il big-deal si avrà nel 2026 con l’edizione del 150° anniversario, che dovrà necessariamente fare storia (nel bene o nel male, come accadde a quella del 1976). E si accettano scommesse su chi sarà protagonista dell’evento epocale. Personalmente vedo due alternative: una tutta autarchico-autoaffermativa, di cui si approprierebbe la coppia padrona Kathi-Christian. L’altra (more-Wolfgang-1976: Boulez-Chéreau) di gran rottura (non di coglioni, si spera) affidata ad una strana coppia, come potrebbe essere oggi (fra anni si vedrà...) Currentzis-Sellars, freschi trionfatori (non senza contestazioni) con Idomeneo a Salzburg, altro Festival in pieno svolgimento.

Venendo ora a... Pesaro, avendo aperto i battenti nel lontano 1980 (e avendoli riaperti, da allora, ogni santo anno) il Rossini Opera Festival diventa quarantenne. Come tutti i compleanni importanti, anche questo verrà celebrato (il 21 agosto) con un gran Gala onorato dalla presenza di illustri personaggi che hanno fatto grande il ROF, o che (magari più spesso) il ROF ha fatto grandi.

Ecco la tabella sinottica aggiornata che riporta, in ordine decrescente di presenze al Festival, le 39 opere del catalogo rossiniano:

   
Questa edizione del 40° ripropone - come titolo di spicco - la tremenda Semiramide (assente dal 2003 e alla sua quarta presenza al ROF) con la premiata coppia Mariotti-Vick sul podio e sulla seggiola del regista; e la rivelazione pesarese Salome Jicia nei panni della fedifraga sovrana babilonese. Gli altri due titoli sono L’equivovo stravagante (nuova produzione e terza apparizione al ROF) e la ripresa del Demetrio e Polibio (quello di Livermore) che approdò per la prima volta al Festival nel 2010. Semiramide ed Equivoco vedranno impegnati la OSN-RAI e il Coro Ventidio Basso; il Demetrio la Filarmonica Rossini e il Coro M.Agostini.

A parte il piccolo e glorioso Teatro Rossini (che ospiterà il Demetrio) le altre 8 recite e il Gala si terranno (in attesa del ritorno, rimandato di anno in anno, al rinnovando Palafestival) alla ex-Adriatic Arena, ora ribattezzata Vitrifrigo Arena (...ci dobbiamo aspettare di esservi surgelati alla stregua di filetti di merluzzo?)

Radio3 resta fedele ai suoi impegni e diffonderà le tre prime: 11 agosto Semiramide (ore 19); 12 agosto Dem&Pol (ore 20); e 13 agosto Equivoco (ore 20). Come sempre, la triade verrà ripetuta nei giorni successivi per altre tre volte. Il Gala sarà invece irradiato sul maxischermo in Piazza del Popolo (21/8 ore 20:30). Da parte mia, qualche sommaria nota dopo ascolto radio e più avanti testimonianze/cronache da visioni live (...o quasi).

26 luglio, 2019

Tannhäuser a Bayreuth: buona la prima


Ieri si è aperto il 108° Festival di Bayreuth, con una nuova produzione di Tannhäuser, di cui sono responsabili due neo-assunti sulla collina, il diversamente giovane Valery Gergiev e l’autenticamente giovane Tobias Kratzer. Il quale ultimo ha tenuto a precisare che il suo Konzept non si focalizza tanto sul dualismo amore sessuale o platonico, ma piuttosto sulla questione del ruolo dell’artista nella società (“Nella mia produzione vedrete il minimo assoluto di pelle nuda nella storia dell’opera”). Beh, le intenzioni sembravano condivisibili e devo dire che, avendo potuto vedere il risultato, non sul posto, ma tramite lo streaming bavarese (in teoria limitato al territorio crucco ma misteriosamente pervenuto fin qui nel lombardo-veneto) mi sento di giudicare questa regìa (solo apparentemente strampalata) con una certa benevolenza.  

Ma intanto ci si chiedeva: ma quale delle tre (minimo) versioni dell’opera si rappresenta? Quella originale di Dresda 1845; quella (a parte la lingua) di Parigi 1861; o quella di Vienna 1875 (che è poi quella di Dresda con l’Ouverture mozzata e con incorporazione del baccanale da quella di Parigi)? Beh, abbiamo ascoltato Dresda, quindi con un Venusberg un filino... svaccato (inclusa la presenza di Gateau Chocolat e del nano Oskar):


Durante l’Ouverture un filmato (dei tanti che vengono proiettati nella parte superiore della scena, per integrare ciò che si vede sul palco, che altrimenti risulterebbe incomprensibile) ci aveva già mostrato l’uccisione di un poliziotto e poi Tannhäuser e Venus, con Gateau e Oskar in viaggio con una carretta Citroen (da Parigi a Dresda?):



Il protagonista abbigliato da clown potrebbe rappresentare il Wagner (nello zaino ha proprio un suo spartito) che, sfuggito al grande-circo-barnum che non lo ha capito (e anzi non lo capirà proprio con il tristanizzato Tannhäuser, anche nel 1861) spera di trovar pace nell’anarchismo del Venusberg, ma poi sente il potente richiamo delle radici della cultura tedesca, rappresentate dalla gloriosa Wartburg, e colà decide di trasferirsi. Ma ecco che, allontanatisi dal Venusberg, sempre a bordo del furgone Citroen, dove si arriva?


Ad un altro tempio, meta di moderni pellegrinaggi, tempio che - ironia della sorte - proprio Wagner innalzerà alla fine della sua carriera: il Festspielhaus! 


  
L’idea di inserire aspetti della biografia wagneriana nell’allestimento di una sua opera non è nuova, basti ricordare (ma è uno dei tanti esempi) il Parsifal di Herheim del 2008. Ma è un’idea coerente con il Konzept del regista, tutto imperniato come detto sulle problematiche della posizione dell’Artista nel suo tempo. Dunque, il Wagner ancora giovane ritrova un ambiente solo apparentemente accogliente (il nome di Elisabeth lo riempie di emozione) ma che si rivelerà (è forse una sottile critica alla Bayreuth-dei bidelli?) altrettanto gretto e imbalsamato di quello dal quale era fuggito (atto secondo):


Mentre scorrono i preparativi per la tenzone canora, dopo l’incontro di Tannhäuser con Elisabeth (che mostra i postumi di una lunga ferita al braccio destro... mah) vediamo fuori scena i suoi tre compari di avventura che si preparano ad un’azione di commando per liberare l’amico:


E la stessa Venus, dopo aver sequestrato e immobilizzato una delle quattro veline della cerimonia ed indossatone il costume, entra in incognito nella teure Halle:


Nel backstage si preparano gli altri due compari a fare irruzione in sala quando Tannhäuser scandalizzerà l’universo con le sue blasfeme teorie sul Venusberg:


Ed ecco il quartetto degli svitati appropriatisi del centro dell’attenzione:


A questo punto un addetto di scena solleva la cornetta del suo telefono e pigia un tasto: risponde la tenutaria Kathi Wagner in persona, che a sua volta compone un numero ben preciso, il 110 (sarebbe il 113 crucco) e nel filmato si vede un intero parco-auto della Polizei circondare il castello teatro, dove i sovversivi hanno esposto il loro striscione (Frei im Wollen - Frei im Thun - Frei im Geniessen) copyright Richard Wagner:


Ci sarà qui un riferimento al Wagner eroicamente presente sulle barricate di Dresda del ’48, inseguito poi da un mandato di cattura internazionale...?

Condannato - nonostante Elisabeth - all’esilio romano il reprobo Tannhäuser, portato via in manette, Gateau Chocolat esibisce ostentatamente il moderno simbolo della contestazione:


L’atto conclusivo è ambientato ancora in un posto desolato, col Citroen disfatto e Oskar che si ciba di pappa per gatti (che offre anche alla povera Elisabeth! colà in cerca del suo Tannhäuser). Vi arriva anche Wolfram, per consolare la povera ragazza:


E qui, prima della celeberrima Abendstern, ecco il fattaccio: Wolfram chiede ad Elisabeth di accompagnarla a casa; ma lo fa dopo aver subdolamente indossato pastrano colorato e parrucca arancione di Tannhäuser, ritrovati nel lurido furgone. E così lei - sorpresa, caro Wagner, dì la verità che non te l’aspettavi - invece di declinare gentilmente l’invito, ci sta! E si sdraia nel cassone trascinando sopra di sè il poeta, per farci una sveltina! Mah, qui francamente il regista mi pare abbia... deragliato, ecco (chissà se è questo che ha fatto scattare un unico ma forte buh al calar del sipario... o era per Gergiev?)

Tannhäuser finalmente ritorna, un filino malconcio, come da copione, ma sempre con lo spartito (cresciuto molto di spessore!) nello zaino; va in cerca del Venusberg e infatti ecco ricomparire anche Venus, ormai trasformata in terrorista della Baader-Meinhof. Wolfram cerca di convincere Tannhäuser a rinunciare a lei, che si prepara a scalare un traliccio evidentemente per fare un attentato:


Come nel primo atto, è il nome di Elisabeth che risveglia Tannhäuser di soprassalto, e il corpo della ragazza (rimasto nel furgone) viene trascinato fuori per farle il... funerale!


Tannhäuser viene redento e il filmato ce lo mostra mentre se ne va, sul Citroen rimesso a nuovo, con la sua Elisabeth! Sembrano proprio due squattrinati giramondo, tipo figli-dei-fiori di sessantottina memoria, appena un po‘ imborghesiti.


Che dire? Come minimo che questa concezione dell’opera ha una sua qual plausibilità, insomma un passo avanti rispetto alla ridicolaggine del precedente allestimento di Baumgarten (quello dell’impianto che trasformava il burro in merda...) Anche il pubblico (solitamente schizzinoso con le regìe genialoidi) pare aver tutto sommato gradito: a parte lo stentoreo ma isolato buh finale (da condividere con Gergiev?) il team di regìa ha solo (si fa per dire) collezionato qualche fischio in mezzo a molti applausi.
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Come giudicare il burbero orso russo? Per me, una prestazione, quella di Valery Gergiev, di grande spessore, almeno per gli aspetti che si possono valutare all’ascolto tecnologico: uno su tutti, quello dell’agogica, che in Wagner è fondamentale. Poi l’Orchestra e il superlativo Coro hanno fatto il resto. Per lui comunque un esordio non trionfale, forse condizionato dalla fama di amico-di-Putin del direttore.

La voce che più mi ha impressionato è stata quella di Elisabeth, dell’esordiente a Bayreuth Lise Davidsen, corposa, intonata, senza sbavature, ricca di accenti appropriati al personaggio. Un filino sotto la Venus di Elena Zhidkova, non sempre precisa nell’intonazione, ma che ha l’attenuante dell’arrivo all’ultimo momento dopo l’incidente capitato alla Gubanova (che dovrebbe rientrare già dalla prossima recita).

Bene, non benissimo, Stephen Gould, che comunque ha retto stoicamente fino in fondo, senza morire nell’ultimo, massacrante Inbrunst im Herzen, confermandosi Heldentenor di prima grandezza. Altrettanto dicasi del Wolfram di Markus Eiche, che per la verità mi è parso più sicuro nei passaggi del primo e secondo atto, che non nella Abendstern (forse era... provato dalla, ehm, scopatina con Elisabeth inventata di sana pianta dal regista!)

Rimarchevole anche la prestazione di Stephen Milling, autorevole Langravio, oltretutto dalla possente presenza scenica. Onorevoli gli altri quattro cantori e il pastorello en-travesti della Konradi. A tutti il pubblico ha riservato applausi e ovazioni.


19 luglio, 2019

Bayreuth 2019 alle porte


Fra una settimana riapre per la 108va volta il Festival di Bayreuth, che Wagner inaugurò con tre cicli del Ring nel 1876. Nella storia del Festival gli anni buchi furono quindi 36, legati (tranne i 9 del primo periodo bellico e post-bellico e i 6 del secondo dopoguerra) prevalentemente a difficoltà finanziarie, che per i primi 60 anni di vita interruppero spesso e volentieri la continuità della manifestazione. Dal 1951, anno della riapertura dopo la cosiddetta denazificazione, il Festival non si è più fermato, grazie a congrui finanziamenti pubblici e privati che ne garantiscono la sostenibilità. Nonostante tutto, la Direzione è rimasta costantemente nelle mani della famiglia Wagner, cui la Fondazione (Stiftung) ha continuato - non senza polemiche - a dare fiducia. Questa del 2019 sarà quindi la quarta edizione diretta in solitaria dalla pronipotina di Richard, la 41enne Kathi, che per i precedenti 7 anni, dopo la morte del padre (Fafner Wolfgang) aveva condiviso la responsabilità con la sorellastra maggiore Eva.

Perdurando il riposo sabbatico della Tetralogia (che tornerà con la produzione n°15 il prossimo anno) sono ancora 5 delle 6 opere (o drammi) extra-Ring - fra quelle considerate degne di rappresentazione nel tempio wagneriano - ad occupare il cartellone. All’Holländer subentra quindi un nuovo Tannhäuser, che si avvale della direzione di un neofita (per la collina) di eccellenza: Valery Gergiev. Permangono Lohengrin, Tristan, Meistersinger e Parsifal, con gli stessi Kapellmeister degli scorsi anni.

Fra essi si fa sempre più padrone del Festival tale Christian Thielemann, che salirà scenderà sul torrido podio per ben 13 volte (su 32) per dirigervi Lohengrin e Tristan. Con ciò consolidando il suo primato di direzioni (178, concerti inclusi) e distanziando ulteriormente il suo ex-tutor Barenboim (secondo, ma ormai fermo a 161). Il suo sodalizio con la tenutaria del baraccone tende ormai ad assomigliare a quello - materializzatosi negli anni d’oro del nazismo e conclusosi con la sua disfatta - fra il regista Heinz Tietjen e la pasionaria hitleriana Winifred Marjorie Williams-Klindworth (maritata Wagner).   

Ecco qui un prospetto storico (aggiornato al 2019) delle attività del Festival: 

titolo
rappresentazioni
stagioni
allestimenti
Parsifal
543
94
10
Ring (ciclo)
    (919)
86
14
    Rheingold
229


    Walküre
230


    Siegfried
229


   Götterdämmerung
231
  

Meistersinger
325
50
12
Tristan
250
49
11
Lohengrin
242
38
10
Holländer
238
40
10
Tannhäuser
226
36
  9
Walküre (isolata)
    3
      1


Come ormai in ogni teatro che si rispetti, anche qui all’ultimo momento si registrano due importanti defezioni: Ekaterina Gubanova (Venus) ha avuto un incidente in prova e sarà sostituita alla prima da Elena Zhidkova (si vedrà poi se potrà tornare per le restanti recite); Krassimira Stoyanova è a sua volta caduta in malattia, così la parte di Elsa verrà affidata a Camilla Nylung, che già si doveva sobbarcare il ruolo di Eva. Altri tre avvicendamenti riguardano KF Vogt, titolare di Walther, ma anche impegnato nelle prime tre recite come Lohengrin per poi far posto a Beczala; Anna Netrebko che a sua volta canterà le ultime due recite come Elsa; e Stephen Gould e Stefan Vinke che si divideranno equamente la parte di Tristan.

I wagneriti più incalliti che - come il sottoscritto - rinunciano al pellegrinaggio sulla verde collina, potranno parzialmente consolarsi con le diffusioni radiofoniche. L’italiota Radio3 si degna di propinarci la diretta della sola apertura (Tannhäuser, 25/7). 

I bavaresi della BR, oltre il 25, si collegheranno in diretta anche il 26 (Lohengrin) e l’1/8 (Tristan). 

I fedelissimi di Radio Clasica restano invece (quasi) imperterriti sul pezzo e diffonderanno 4 delle 5 prime (25, 26, 27/7 e 1/8, Parsifal escluso) sempre alle ore 16.

18 luglio, 2019

Un dittico per Maestri (e allievi) alla Scala


Ieri sera la Scala ha ospitato - in una sala con ampi spazi vuoti... - la penultima recita del dittico Salieri-Puccini, una delle tappe del Progetto Accademia, mirante a valorizzare le giovani risorse scaligere affiancandole a direttori e cantanti di prestigio. Così questo spettacolo bifronte ha avuto come garanti Adam Fischer sul podio e Ambrogio Maestri in palcoscenico.     

Prima la musica e poi le parole (lo scorso 6 luglio ebbe il suo debutto assoluto al Piermarini) è un Divertimento teatrale il cui soggetto per certi versi anticipa di 130 anni l’Ariadne di Strauss-Hofmannsthal: qui il mecenate di turno accorda pochi giorni a poeta e musico (in perenne disaccordo... filosofico) per approntare uno spettacolo di teatro musicale. Le due protagoniste (antesignane di Ariadne e Zerbinetta) sono una professionista di alto rango e una ruspante soubrette, che separatamente mettono in mostra le loro opposte prerogative, per poi cooperare ad un improbabile sincretismo estetico, con tanto di finale trionfalistico.

La produzione era affidata a Grischa Asagaroff, che si è avvalso di scene e costumi di Luigi Perego: la scena è occupata da suppellettili che ricordano enormi casse armoniche di strumenti ad arco, più un gigantesco contrabbasso-tuba e un clarinettone. Una minuscola spinetta serve al musico (Maestri) per accompagnare le due cantatrici. A sinistra fa da divano un enorme volume di poesie di Giacomo Leopardi, aperto sull’Infinito quando è in scena la cantante seria e sul Passero solitario quando subentra la cantante pop. (Chiedere al regista le recondite relazioni...)

Ramiro Marturana rivaleggia con il... Maestri nei battibecchi a sfondo estetico, mentre la ruspante Francesca Pia Vitale mi è parsa più efficace, vocalmente, della sostenuta Anna-Doris Capitelli (acconciata in stile Madonna). 

Adam Fischer, che viene dall’Ungheria degli Esterhazy, ha maneggiato con cura questo cammeo di Salieri che rivaleggia più con Haydn che con il rivale Mozart. All-in-all una proposta apprezzabile e apprezzata da questo pubblico, ehm... selezionato.
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Per Gianni Schicchi (qui una mia nota sul soggetto) Pereira ha importato da LosAngeles (dove lui mai fu sovrintendente, sia chiaro per i maliziosi...) la produzione 2008 che vide l’esordio di Woody Allen nella regìa d’opera.

La scena di Santo Loquasto ci mostra, sul classico quanto inflazionato panorama fiorentino, uno spaccato da ghetto del Bronx, fra strutture in ferro arrugginito e cavi stendi-biancheria. C’è anche la tecnologia sanitaria vintage, con tanto di bombole per la respirazione artificiale del... finto Buoso. Il quale è impersonato mimicamente da Fabio Vannuzzi che viene dislocato (morto) all’ingresso della sua (ormai ex-) casa quasi fosse un mendicante, cui il medico Spinellaccio e il notaio Amantio fanno l’elemosina (!)

A parte Maestri, che ovviamente non si discute, discretamente hanno fatto i due amanti Chuan Wang e Francesca Manzo (che si è presa il suo applauso di prammatica dopo il Babbino); bene la bisbetica Zita di Daria Chernyi. Ma tutti - inclusi Direttore e Orchestra - han dato il loro valido contributo alla riuscita piena dello spettacolo.

L’Accademia, dopo aver chiuso la stagione prima delle ferie, la riaprirà il 2 settembre con due inossidabili tutor: il Rigoletto Leo Nucci e Daniel Oren.

12 luglio, 2019

Da Atene a Ravenna per l’Amicizia


Una costante ormai del Ravenna-Festival è costituita da Le vie dell’Amicizia, un’iniziativa sorta nel 1997 per unire, in nome della musica, popoli e culture diverse, spesso purtroppo in conflitto fra loro. Quest’anno è la Grecia a gemellarsi a Ravenna nel nome di Beethoven.

Così martedi scorso il sublime richiamo alla fratellanza universale contenuto nella Nona sinfonia è risuonato nell’Odeo di Erode Attico, ai piedi della collina dell’Acropoli (RAI1 lo proporrà in differita il 5 agosto, 23:30):


Ieri sera è stato ripetuto nell’enorme spazio del PalaDeAndrè. Sempre protagonisti complessi strumentali e corali italo-greci, diretti dal padrone di casa Riccardo Muti. Si tratta di elementi dell’Orchestra Cherubini (la creatura del Maeschtre) e di ben sei orchestre greche, tutti guidati dalla spalla scaligera Francesco Manara. Il Coro Costanzo Porta (Antonio Greco) era integrato da elementi del Coro della Radio ellenica e della Municipalità di Atene (Stavros Beris). I quattro solisti erano Maria Mudryak, Anastasia Boldyreva, Luciano Ganci e Evgeny Stavinsky.

Palazzone affollato all’inverosimile e palcoscenico con un colpo d’occhio spettacolare, data la moltitudine di Musikanten che vi si sono stipati, con tanto di bandiere italiana, greca ed europea a sottolineare il carattere (anche) politico della manifestazione: 


E non per nulla prima della Nona, dalla quale è tratto l’inno europeo, sono risuonati (musica e parole) gli inni italiano ed ellenico (per quest’ultimo il primo violino greco Apollon Grammatikopoulos ha momentaneamente sostituito Manara sulla sedia della spalla). E alla fine Muti non ha perso l’occasione per un simpatico quanto caustico sfogo contro la sordità della nostra classe politica (ieri autorevolmente rappresentata dalla rodigina Presidente del Senato) di oggi ma anche di ieri, rispolverando la sua vecchia battuta sul dialogo fra Muti e... sordi. E rivendicando orgogliosamente  - pareva il pistolotto di Hans Sachs nel finale dei Meistersinger - all’Italia e all’arte italiana il posto di assoluto primo piano nella storia della musica occidentale!

Prima però aveva guidato quella pletora quasi straussiana di strumentisti provenienti da sette diverse orchestre (otto, se si include la Scala di Manara, colà assunto a suo tempo proprio da Muti) e i tre cori più i solisti con il piglio e l’autorevoezza di un capitano di lungo corso. Grande sostenutezza nell’iniziale Allegro non troppo; incedere martellante del Molto vivace dello scherzo; accorata religiosità dell’Adagio molto e cantabile; ferrea disciplina nel Presto, nel Recitativo e nell’attacco dell’Allegro assai (dove gli archi bassi si sono superati) e poi libero sfogo nel finale alle impervie arditezze cui sono chiamate le voci.

Inutile dire del successo a dir poco trionfale della serata.