Una costante ormai del Ravenna-Festival è costituita da Le vie dell’Amicizia, un’iniziativa
sorta nel 1997 per unire, in nome della musica, popoli e culture diverse,
spesso purtroppo in conflitto fra loro. Quest’anno è la Grecia a gemellarsi a Ravenna nel nome di Beethoven.
Così martedi scorso il sublime richiamo
alla fratellanza universale contenuto nella Nona
sinfonia è risuonato nell’Odeo
di Erode Attico, ai piedi della collina dell’Acropoli (RAI1 lo proporrà in differita
il 5 agosto, 23:30):
Ieri sera è stato ripetuto nell’enorme
spazio del PalaDeAndrè. Sempre
protagonisti complessi strumentali e corali italo-greci, diretti dal padrone di
casa Riccardo Muti. Si tratta di
elementi dell’Orchestra Cherubini (la
creatura del Maeschtre) e di ben sei
orchestre greche, tutti guidati dalla spalla
scaligera Francesco Manara. Il Coro Costanzo Porta (Antonio Greco) era integrato da elementi
del Coro della Radio ellenica e della
Municipalità di Atene (Stavros Beris). I quattro solisti erano Maria Mudryak, Anastasia
Boldyreva, Luciano Ganci e Evgeny Stavinsky.
Palazzone affollato all’inverosimile e
palcoscenico con un colpo d’occhio spettacolare, data la moltitudine di Musikanten che vi si sono stipati, con
tanto di bandiere italiana, greca ed europea a sottolineare il carattere
(anche) politico della manifestazione:
E non per nulla prima della Nona, dalla quale è tratto l’inno
europeo, sono risuonati (musica e parole) gli inni italiano ed ellenico (per
quest’ultimo il primo violino greco Apollon
Grammatikopoulos ha momentaneamente sostituito Manara sulla sedia della spalla). E alla fine Muti non ha perso
l’occasione per un simpatico quanto caustico sfogo contro la sordità della
nostra classe politica (ieri autorevolmente rappresentata dalla rodigina Presidente del Senato) di oggi ma anche
di ieri, rispolverando la sua vecchia battuta sul dialogo fra Muti e... sordi. E rivendicando orgogliosamente - pareva il pistolotto di Hans Sachs nel finale dei Meistersinger
- all’Italia e all’arte italiana il posto di assoluto primo piano nella storia
della musica occidentale!
Prima però aveva guidato quella pletora quasi
straussiana di strumentisti
provenienti da sette diverse orchestre (otto, se si include la Scala di Manara,
colà assunto a suo tempo proprio da Muti) e i tre cori più i solisti con il
piglio e l’autorevoezza di un capitano di lungo corso. Grande sostenutezza nell’iniziale
Allegro non troppo; incedere martellante
del Molto vivace dello scherzo; accorata religiosità dell’Adagio molto e cantabile; ferrea disciplina
nel Presto, nel Recitativo e nell’attacco dell’Allegro
assai (dove gli archi bassi si sono superati) e poi libero sfogo nel finale
alle impervie arditezze cui sono chiamate le voci.
Inutile dire del successo a dir poco trionfale
della serata.
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