Lo scorso 8 marzo, oltre che la
stucchevole festa della donna (la
quale poi per altri 364 giorni rischia che le
facciano la festa per davvero...) ricorreva il 150° anniversario della
scomparsa di tale Louis-Hector Berlioz.
Pochi se ne sono ricordati e fra questi, meritoriamente, il Ravenna-Festival,
che ha voluto dedicare alla memoria del vulcanico compositore il concerto
di ieri sera, protagonista - noblessse oblige - la prestigiosa ONF, guidata dal suo Direttore musicale,
Emmanuel Krivine. Concerto funestato (forse Berlioz
avrebbe detto arricchito!) dalle
intemperanze di Giove pluvio, tonante e fulminante (come si vedrà).
A Berlioz si è arrivati con un percorso retrogrado, iniziato da un autore che - almeno nell’immaginario collettivo - starebbe quasi agli antipodi del lunatico francese: Johannes Brahms, del quale abbiamo ascoltato le splendide Variazioni su un tema di Haydn, ultimo test attitudinale (1873) cui il burbero amburghese si sottopose in vista della sua tanto attesa e reclamata discesa in campo nell’arena sinfonica (1876). Insomma, una composizione che valse ad ottenere a Brahms il passaggio dell’esame (al pianoforte) con la severa Clara (Wieck, maritata Schumann) e a convincerlo a fare finalmente sul serio con la Sinfonia in DO minore.
A Berlioz si è arrivati con un percorso retrogrado, iniziato da un autore che - almeno nell’immaginario collettivo - starebbe quasi agli antipodi del lunatico francese: Johannes Brahms, del quale abbiamo ascoltato le splendide Variazioni su un tema di Haydn, ultimo test attitudinale (1873) cui il burbero amburghese si sottopose in vista della sua tanto attesa e reclamata discesa in campo nell’arena sinfonica (1876). Insomma, una composizione che valse ad ottenere a Brahms il passaggio dell’esame (al pianoforte) con la severa Clara (Wieck, maritata Schumann) e a convincerlo a fare finalmente sul serio con la Sinfonia in DO minore.
Il tema originario (Chorale
in honorem St. Antonii, scritto per organico di banda) è quasi certo che
non sia di Haydn: si è scoperto infatti che doveva essere un canto di
pellegrini boemi ripreso da Ignatz Joseph Pleyel. Certo è invece
che Brahms ne ha fatto un impiego magistrale: le otto variazioni che seguono
l’esposizione del tema (tutte sempre nel SIb di impianto, cinque in modo maggiore e
tre – 2-4-8 - in minore) ne sviluppano tutte le potenzialità, o ne
derivano altri motivi a mo’ di reminiscenza. Nel Finale (tempo
di passacaglia, ecco un altro chiaro richiamo al glorioso passato,
ma anche anticipazione del futuro... quarta sinfonia!) Brahms inventa ancora
una nutrita serie di (piccole) variazioni, su un motivo di basso
ostinato di 5 battute, tenuto inizialmente (per 9 volte) dai soli
contrabbassi, ma che poi passa ai violoncelli, alle viole e quindi emerge in
primo piano nei corni e ancora (in minore) negli oboi, poi nei flauti e di
nuovo nei corni, per tornare (in maggiore) a corni e violoncelli, prima della
trionfale e conclusiva ripresa del tema.
Esecuzione mirabile dei nazionali
di Francia, che si sono così meritati grandi applausi da un pubblico non
proprio oceanico, ma più caldo del caldo asfissiante che gravava (fino a quel
momento almeno) anche qui sulla riviera romagnola. Ma già qualche lampo
penetrato dal plexiglas del cupolone faceva presagire il peggio.
___
Per compiere l’avvicinamento a Berlioz,
la prima parte della serata è stata completata dal sesto dei poemi sinfonici di
Franz Liszt, Mazeppa, ispirato a Byron (1819)
ma soprattutto a Hugo
(1828) il cui poemetto è stampato in testa alla partitura. Il soggetto tratta
delle vicissitudini di questo giovane ukraino (Ivan Stepanovič Mazepa-Koledinsky) che, avendo occupato il posto di un
notabile polacco... ehm, nel di lui letto, fu legato nudo come un verme ad un
cavallo alimentato ad alghe marine (!) e poi spedito via al galoppo. Morto per
sfinimento il cavallo e moribondo lui, Mazeppa fu però rimesso in sesto da una
banda di Cosacchi ed eletto a loro condottiero! Naturalmente c’è chi ci vede
l’allegoria dell’Artista (sempre un
po’... scapestrato) che vince ogni ostacolo per raggiungere nobili traguardi.
Ecco qui Gianandrea Noseda
dirigerlo con la BBC Philharmonic
(sua antica dimora).
___
L’Introduzione è in 6/4, RE
minore, e dopo uno schianto dell’orchestra che evoca il nitrito del cavallo che
scatta via con Mazeppa in groppa, vi compaiono continue folate degli archi (il
galoppo) e semiminime prima ascendenti e poi discendenti (le salite e discese
percorse dal destriero nella sua folle corsa); si odono anche scoppi come di tuono
e fulmine (o sono altri nitriti del cavallo imbizzarrito...) Insomma un’atmosfera
da tregenda! Che a me ricorda irresistibilmente l’incipit di Walküre! E
forse non è un caso che Wagner, già amicissimo (prima di diventarne genero) di
Liszt, con il quale scambiava continuamente notizie su progetti e idee, si sia
ispirato a Mazeppa (che era in gestazione a Weimar proprio quando Wagner vi
transitò fuggendo da Dresda e diretto a Zurigo) per aprire la prima giornata
del suo Ring. Che, fra l’altro, è
nello stesso RE minore e in un tempo (3/2) simile, anche se a scansione
diversa, a quello del poema sinfonico.
L’Introduzione è seguita (1’08”)
da una lunga sezione, caratterizzata dal tema principale che evoca la cavalcata
di Mazeppa, dapprima esposto dai tromboni, poi (2’10”) dalle trombe. Una
transizione (3’22”) porta all’esposizione (3’37”) di una variante
lenta del tema principale. Essa viene riproposta a 4’48”, e conduce poi
attraverso un ponte di preparazione (5’26”) all’esposizione del tema
principale in modo maggiore (5’45”)
e con fiero cipiglio. A 6’19” il tema torna nei tromboni e
successivamente (7’15”) negli archi. A 8’20” troviamo una lunga
transizione, in cui compare (9’31”) smozzicato, l‘incipit del
tema principale: è il momento della fine della corsa: cavallo e... soma si
accasciano sfiniti.
Ma sappiamo che Mazeppa viene
salvato ed eletto a capo dai cosacchi. E a questo punto ecco la sezione
conclusiva del lavoro, che Liszt aggiunse in un secondo momento e che può
(secondo le indicazioni dell’Autore) anche essere eseguita separatamente da ciò
che la precede! Si tratta della marcia
tartara, aperta (10’24”) da fieri squilli di
trombette, che consta a sua volta di due sezioni: la prima (11’10”)
esposta a piena orchestra, dal carattere smaccatamente eroico, e la seconda (12’03”)
che presenta un tema squisitamente orientale, nei legni, magari proprio
cosacco... Il tutto viene ripetuto (12’46”) con formale da-capo.
A 14’21” il tema cosacco si
appesantisce, assumendo caratteristiche quasi minacciose (15’06”) ma preparando
così il trionfale ritorno (15’37”) del tema principale, in modo
maggiore, che a sua volta conduce alla
secca conclusione.
___
Krivine
non ha certo risparmiato enfasi e retorica (come del resto si addice a
kermesse di questo genere) e altri segnali atmosferici hano tutto sommato contribuito a sceneggiare la...
sceneggiata di Liszt, anche questa accolta da lunghi applausi.
___
Fu proprio Franz Liszt, in un lungo
scritto del 1855 (Berlioz und seine
Harold-Symphonie) a magnificare la qualità della composizione che ha chiuso (rocambolescamente,
per la verità) il concerto: Harold en Italie, propostoci dalla splendida viola imbracciata
da Antoine Tamestit, che guarda caso
si era esibito nello stesso brano con la Santa
Cecilia (e Gardiner) proprio lo
scorso marzo. Qui invece vediamo la
Sinfonia eseguita meno di un mese fa dalla ONF con Krivine (a casa
loro) e con la loro prima viola (Nicolas Bône) nella parte di
Harold.
Le cronache (e le stesse Mémoirs del compositore) ci raccontano
che l’opera fu in pratica commissionata all’inizio del 1834 a Berlioz da Niccolò Paganini, che desiderava così
portare al pubblico le preziosità di una viola Stradivari recentemente venuta in suo possesso. Berlioz - come
sempre esagerato - pensò ad una specie di cantata con orchestra, coro e viola
solista intitolata Les derniers instants de Marie Stuart, e addirittura rese pubblica la
notizia, prima di venire disilluso proprio da Paganini, che mai e poi mai si
sarebbe abbassato a fare da comprimario in qualcosa di così sesquipedale.
Berlioz per tutta risposta invitò allora la star internazionale a
comporsi il concerto da sè! (Cosa che Paganini effettivamente farà, ma senza
grande successo).
Così Berlioz si buttò a capofitto su Byron e sul
suo Child
Harold's Pilgrimage per trarne questa sinfonia-a-programma, presentata nel novembre 1834 con discreta
fortuna. Qualche anno dopo un Paganini malmesso e totalmente afono (il
figlioletto Achille gli faceva da portavoce) potè assistere ad un’esecuzione
dell’Harold e ne rimase folgorato, arrivando ad inginocchiarsi ai piedi di
Berlioz per baciargli la mano:
L’indomani gli inviò una lettera comunicandogli di aver incaricato il barone Rotschild di erogargli 20.000 franchi, a testimonianza della sua grande stima e ammirazione. Chiusi
pettegolezzi e dietrologie, veniamo al sodo.
___
Così come la (di poco) precedente Fantastique, anche Harold (che è articolato in 4 parti) ha una sua idée fixe, un motivo che caratterizza l’ombrosa
personalità del personaggio, e ritorna spesso e volentieri:
Dopo che una sua variante in minore
è comparsa in tutti i legni (1’40”) lo ascoltiamo per la prima
volta (3’29”) dalla viola solista - accompagnata dall’arpa - nell’Adagio (SOL maggiore) con il
quale inizia il primo movimento, sottotitolato Harold aux montagnes. Scènes de mélancolie, de bonheur et de joie, che poi proseguirà in Allegro. Ebbene, seguendo la moda degli auto-imprestiti di cui Rossini (allora Roi de Paris) era un campione, Berlioz
prende di peso il motivo da una sua composizione di un paio d’anni prima (l’Ouverture
Rob-Roy, ispirata a Walter
Scott) e precisamente dal centrale Larghetto,
espressivo assai (da 4’25” a 8’20” nella citata
esecuzione) pure in tonalità SOL maggiore, dove il tema è peraltro esposto dal
corno inglese, sempre con l’arpa ad accompagnare. Berlioz sembrò quasi
vergognarsi di questo imprestito: nelle sue Mémoirs
si guarda bene dal citarlo, e in compenso ricorda l’Ouverture Rob-Roy come un
ciarpame che lui stesso avrebbe dato alle fiamme (?!) dopo la prima deludente
esecuzione a Parigi.
A 4’28” ecco il controsoggetto del
tema principale, che chiude a 5’39”. Qui l’idée fixe viene riesposta dal solista, contrappuntata dai legni, dopodichè
ecco arrivare (6’58”) il secondo tema, Allegro
(siamo alla felicità e alla gioia...) esposto in orchestra, poi
ripreso, dopo qualche esitazione (7’42”) dalla viola. A 8’22”
appare un nuovo motivo, in funzione di cadenza (anch’esso preso da Rob-Roy, vedi a 2’53”) che porta (8’54”)
al da-capo del secondo tema e della
sua appendice, chiuso a 10’03” con l’inizio di un suo
sviluppo assai articolato. A 11’14” riecco il motivo cadenzante,
poi (11’47”)
la viola espone una variante più tranquilla del tema, ripresa in orchestra.
Dopo una pausa di riflessione, a 12’29” l’oboe esplode il motivo
cadenzante, seguito dagli altri fiati; si fa largo un accenno di idée fixe, dapprima in orchestra (12’47”)
e poi, dopo un vigoroso crescendo orchestrale (13’24”) anche nella viola.
Ecco ancora (13’57”) il motivo cadenzante nei fiati e nella viola, che porta
alla concitata conclusione.
Marche de pèlerins chantant
la prière du soir (Allegretto,
MI maggiore).
Dopo un’introduzione (15’17”) caratterizzata da
un sommesso dialogo dell’arpa con fiati e archi, spetta a questi ultimi (15’34”)
esporre il tema di questo movimento di lenta e faticosa marcia. Tema che è
completato da controsoggetti (fino a 16 varianti) che ne arricchiscono la
struttura. A 16’32” ecco nella viola riapparire l’idée fixe di Harold, che è qui al seguito dei pellegrini in marcia:
il suo canto si contrappunta infatti al tema principale. Tema che riappare (17’17”)
negli archi, inframmezzato da terzine e quartine ribattute nei fiati. A 18’36”
subentra un intermezzo (Canto religioso)
dove alle note in corale di legni e
poi archi si sovrappone la viola solista con un continuo arpeggio di ben 79
battute! A 20’05” sono i legni a riprendere il tema di marcia, rilevati
poi dagli archi. Dopo alcuni reiterati SI di flauto e oboe, un ultimo arpeggio
della viola chiude sul MI acuto.
Sérénade d'un montagnard
des Abruzzes à sa maîtresse (Allegro assai, Allegretto, DO maggiore).
Il movimento è
caratterizzato dalla presenza di due temi e dal riapparire dell’idée fixe. Su un ritmo di saltarello
scandito dalle viole, subito (22’24”) attacca in ottavino ed oboe
il primo tema scanzonato. A 23’04” ecco il corno inglese
(evocando un’ocarina abruzzese) esporre il secondo tema, più languido e
crepuscolare, in Allegretto. Ad esso
si sovrappone (24’07”, è Harold che osserva...) l’immancabile idée fixe nella viola. Questa sezione si
protrae a lungo, fino ad essere interrotta (26’28”) dall’impertinente
ritorno del primo tema. A 27’02” torna protagonista il secondo
tema, ma questa volta è la viola di Harold ad esporlo, mentre il flauto lo
contrappunta con l’idée fixe!
(insomma, Harold e il montanaro abruzzese si sono scambiati i ruoli...) Siamo
in chiusura e (27’55”) ricompare fugacemente il primo tema, poi seguito dal
secondo nella viola, che conduce alla sommessa cadenza finale.
Orgie de brigands. Souvenirs des scènes précédentes (Allegro frenetico, SOL
minore).
L’ultima parte della Sinfonia
si apre (28’59”) con una breve anticipazione (11 battute) del tema principale
(l’orgia dei briganti). Dopodichè Berlioz imita la nona beethoveniana, proponendo reminiscenze dei tre precedenti
movimenti, sempre esposte dalla viola (i... ricordi di Harold). Subentra dapprima
un Adagio (29’13”, Souvenir de l’Introduction) dove la
viola, accompagnata dal fagotto sul brusio degli archi, ci ricorda appunto l’atmosfera
udita proprio all’aprirsi dell’opera. Riprende (29’42”) il tema orgiastico
che poi (30’02”) lascia spazio alla seconda reminiscenza (Souvenir de la Marche des Pelerins, marcia
che aveva occupato la seconda parte dell’opera). Altro fugace ritorno orgiastico,
poi (30’17”)
ecco la viola ricordare il tema languido
del terzo movimento (Souvenir de la
Serenade). Altro scoppio dell’orchestra e (30’36”, Souvenir du premier Allegro) si
ripropone il secondo tema del movimento iniziale. Ancora l’orgia dei briganti e
poi (31’05”,
Souvenir de l’Adagio) ecco il tema di
Harold, l’Idée fixe, tornare
timidamente, quasi smozzicato.
Un progressivo crescendo orchestrale porta finalmente (32’02”)
alla proposizione estesa del tema principale (anche qui troveremo reminiscenze
di Rob-Roy...) L’esposizione è assai
articolata: inizia in SOL minore, poi (32’49”)
vira alla relativa SIb maggiore; poi (33’30”) a SIb minore, con pesanti interventi
(33’46”)
di tromboni e tuba. A 34’08”
ecco una transizione più calma ed elegiaca, che porta a chiudere l’esposizione. Questa viene
però ripetuta (35’10”) senza sostanziali differenze. A 37’43” subentra una
sezione di sviluppo dei temi, che porta (38’25”) alla ricapitolazione,
interrotta (38’41”) dalla ricomparsa del motivo della marcia dei pellegrini. Poi (39’33”) riprende il tema principale
che conduce (39’44”) alla pesante e retorica coda.
___
Durante l’intervallo i
presagi di temporalone si sono fatti più minacciosi e così, quando ancora non si
era arrivati a metà della prima parte della Sinfonia, ecco nascere un tremendo
accompagnamento, come di una batteria di grancasse rullanti (la pioggia
battente sul cupolone) che ha accompagnato la musica fino alla fine. Per la
cronaca, all’inizio si era presentato solo il Direttore, e forse qualcuno avrà
pensato che Tamestit l’avesse data buca... poi però il vagabondo Harold si è
fatto timidamente avanti, dal fondo sulla sinistra, dalla parte dei
contrabbassi, per proporre la sua idée
fixe. E per il resto della sinfonia ha poi continuato ad alternare la
presenza al proscenio con altre peripatetiche gite fra i leggii dell’orchestra,
tanto per sceneggiare un po’ il viaggio di Harold. Fine del primo movimento
accolta da... scroscianti (!!!) applausi del pubblico, mentre i due
protagonisti quasi si scusavano per la qualità della loro performance.
Forse sperando in un
rapido allontanarsi della buriana, tutti hanno attaccato il secondo movimento,
che a dir la verità ha proprio accentuato la faticosa mestizia della marcia dei
pellegrini, aggiungendovi qualcosa che Berlioz non aveva immaginato (ci penserà
con Les Troyens): l’orage! Altri applausi del pubblico, tra
lo sconcertato e il divertito, così, Imperterrito, Krivine ha dato il via alla
tarantella del terzo tempo. Non oso pensare come si sarà trovata la bella
suonatrice di corno inglese ad esalare la sua serenade in mezzo a quel frastuono. Ma anche Tamestit credo abbia
rischiato il tracollo del suo strumento pur di poterci far udire qualche nota. Così,
prima della ripresa del saltarello, altri applausi e il Direttore getta la
spugna! Non si può proseguire. Conciliabolo improvvisato sotto il podio; arriva
il padrone di casa (Riccardo Muti) e
chiede a Krivine se può attendere 15-20’ sperando nel miracolo. Così vien
fatto e - a pioggia tornata... normale - si riprende: ma non dal punto dell’interruzione,
bensì (grande sensibilità di Krivine e dei suoi) dall’attacco della marcia dei pellegrini!
___
Tornando alla festa della donna, una sua esagerata, godereccia e anti-retorica interpretazione è la notte rosa, che qui in Romagna si celebra ormai tradizionalmente agli inizi di luglio. E ce n’è davvero per tutti i gusti!
Nessun commento:
Posta un commento