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04 luglio, 2019

Berlioz tempestosamente ricordato a Ravenna


Lo scorso 8 marzo, oltre che la stucchevole festa della donna (la quale poi per altri 364 giorni rischia che le facciano la festa per davvero...) ricorreva il 150° anniversario della scomparsa di tale Louis-Hector Berlioz. Pochi se ne sono ricordati e fra questi, meritoriamente, il Ravenna-Festival, che ha voluto dedicare alla memoria del vulcanico compositore il concerto di ieri sera, protagonista - noblessse oblige - la prestigiosa ONF, guidata dal suo Direttore musicale, Emmanuel KrivineConcerto funestato (forse Berlioz avrebbe detto arricchito!) dalle intemperanze di Giove pluvio, tonante e fulminante (come si vedrà). 

A Berlioz si è arrivati con un percorso retrogrado, iniziato da un autore che - almeno nell’immaginario collettivo - starebbe quasi agli antipodi del lunatico francese: Johannes Brahms, del quale abbiamo ascoltato le splendide Variazioni su un tema di Haydn, ultimo test attitudinale (1873) cui il burbero amburghese si sottopose in vista della sua tanto attesa e reclamata discesa in campo nell’arena sinfonica (1876). Insomma, una composizione che valse ad ottenere a Brahms il passaggio dell’esame (al pianoforte) con la severa Clara (Wieck, maritata Schumann) e a convincerlo a fare finalmente sul serio con la Sinfonia in DO minore.    

Il tema originario (Chorale in honorem St. Antonii, scritto per organico di banda) è quasi certo che non sia di Haydn: si è scoperto infatti che doveva essere un canto di pellegrini boemi ripreso da Ignatz Joseph Pleyel. Certo è invece che Brahms ne ha fatto un impiego magistrale: le otto variazioni che seguono l’esposizione del tema (tutte sempre nel SIb di impianto, cinque in modo maggiore e tre – 2-4-8 - in minore) ne sviluppano tutte le potenzialità, o ne derivano altri motivi a mo’ di reminiscenza. Nel Finale (tempo di passacaglia, ecco un altro chiaro richiamo al glorioso passato, ma anche anticipazione del futuro... quarta sinfonia!) Brahms inventa ancora una nutrita serie di (piccole) variazioni, su un motivo di basso ostinato di 5 battute, tenuto inizialmente (per 9 volte) dai soli contrabbassi, ma che poi passa ai violoncelli, alle viole e quindi emerge in primo piano nei corni e ancora (in minore) negli oboi, poi nei flauti e di nuovo nei corni, per tornare (in maggiore) a corni e violoncelli, prima della trionfale e conclusiva ripresa del tema.

Esecuzione mirabile dei nazionali di Francia, che si sono così meritati grandi applausi da un pubblico non proprio oceanico, ma più caldo del caldo asfissiante che gravava (fino a quel momento almeno) anche qui sulla riviera romagnola. Ma già qualche lampo penetrato dal plexiglas del cupolone faceva presagire il peggio.
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Per compiere l’avvicinamento a Berlioz, la prima parte della serata è stata completata dal sesto dei poemi sinfonici di Franz Liszt, Mazeppa, ispirato a Byron (1819) ma soprattutto a Hugo (1828) il cui poemetto è stampato in testa alla partitura. Il soggetto tratta delle vicissitudini di questo giovane ukraino (Ivan Stepanovič Mazepa-Koledinsky) che, avendo occupato il posto di un notabile polacco... ehm, nel di lui letto, fu legato nudo come un verme ad un cavallo alimentato ad alghe marine (!) e poi spedito via al galoppo. Morto per sfinimento il cavallo e moribondo lui, Mazeppa fu però rimesso in sesto da una banda di Cosacchi ed eletto a loro condottiero! Naturalmente c’è chi ci vede l’allegoria dell’Artista (sempre un po’... scapestrato) che vince ogni ostacolo per raggiungere nobili traguardi.

Ecco qui Gianandrea Noseda dirigerlo con la BBC Philharmonic (sua antica dimora).
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L’Introduzione è in 6/4, RE minore, e dopo uno schianto dell’orchestra che evoca il nitrito del cavallo che scatta via con Mazeppa in groppa, vi compaiono continue folate degli archi (il galoppo) e semiminime prima ascendenti e poi discendenti (le salite e discese percorse dal destriero nella sua folle corsa); si odono anche scoppi come di tuono e fulmine (o sono altri nitriti del cavallo imbizzarrito...) Insomma un’atmosfera da tregenda! Che a me ricorda irresistibilmente l’incipit di Walküre! E forse non è un caso che Wagner, già amicissimo (prima di diventarne genero) di Liszt, con il quale scambiava continuamente notizie su progetti e idee, si sia ispirato a Mazeppa (che era in gestazione a Weimar proprio quando Wagner vi transitò fuggendo da Dresda e diretto a Zurigo) per aprire la prima giornata del suo Ring. Che, fra l’altro, è nello stesso RE minore e in un tempo (3/2) simile, anche se a scansione diversa, a quello del poema sinfonico.

L’Introduzione è seguita (1’08”) da una lunga sezione, caratterizzata dal tema principale che evoca la cavalcata di Mazeppa, dapprima esposto dai tromboni, poi (2’10”) dalle trombe. Una transizione (3’22”) porta all’esposizione (3’37”) di una variante lenta del tema principale. Essa viene riproposta a 4’48”, e conduce poi attraverso un ponte di preparazione (5’26”) all’esposizione del tema principale in modo maggiore (5’45”) e con fiero cipiglio. A 6’19” il tema torna nei tromboni e successivamente (7’15”) negli archi. A 8’20” troviamo una lunga transizione, in cui compare (9’31”) smozzicato, l‘incipit del tema principale: è il momento della fine della corsa: cavallo e... soma si accasciano sfiniti.  

Ma sappiamo che Mazeppa viene salvato ed eletto a capo dai cosacchi. E a questo punto ecco la sezione conclusiva del lavoro, che Liszt aggiunse in un secondo momento e che può (secondo le indicazioni dell’Autore) anche essere eseguita separatamente da ciò che la precede! Si tratta della marcia tartara, aperta (10’24”) da fieri squilli di trombette, che consta a sua volta di due sezioni: la prima (11’10”) esposta a piena orchestra, dal carattere smaccatamente eroico, e la seconda (12’03”) che presenta un tema squisitamente orientale, nei legni, magari proprio cosacco... Il tutto viene ripetuto (12’46”) con formale da-capo.

A 14’21” il tema cosacco si appesantisce, assumendo caratteristiche quasi minacciose (15’06”) ma preparando così il trionfale ritorno (15’37”) del tema principale, in modo maggiore, che a sua volta conduce alla secca conclusione.
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Krivine non ha certo risparmiato enfasi e retorica (come del resto si addice a kermesse di questo genere) e altri segnali atmosferici hano tutto sommato contribuito a sceneggiare la... sceneggiata di Liszt, anche questa accolta da lunghi applausi.
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Fu proprio Franz Liszt, in un lungo scritto del 1855 (Berlioz und seine Harold-Symphonie) a magnificare la qualità della composizione che ha chiuso (rocambolescamente, per la verità) il concerto: Harold en Italie, propostoci dalla splendida viola imbracciata da Antoine Tamestit, che guarda caso si era esibito nello stesso brano con la Santa Cecilia (e Gardiner) proprio lo scorso marzo. Qui invece vediamo la Sinfonia eseguita meno di un mese fa dalla ONF con Krivine (a casa loro) e con la loro prima viola (Nicolas Bône) nella parte di Harold.

Le cronache (e le stesse Mémoirs del compositore) ci raccontano che l’opera fu in pratica commissionata all’inizio del 1834 a Berlioz da Niccolò Paganini, che desiderava così portare al pubblico le preziosità di una viola Stradivari recentemente venuta in suo possesso. Berlioz - come sempre esagerato - pensò ad una specie di cantata con orchestra, coro e viola solista intitolata Les derniers instants de Marie Stuart, e addirittura rese pubblica la notizia, prima di venire disilluso proprio da Paganini, che mai e poi mai si sarebbe abbassato a fare da comprimario in qualcosa di così sesquipedale. Berlioz per tutta risposta invitò allora la star internazionale a comporsi il concerto da sè! (Cosa che Paganini effettivamente farà, ma senza grande successo).

Così Berlioz si buttò a capofitto su Byron e sul suo Child Harold's Pilgrimage per trarne questa sinfonia-a-programma, presentata nel novembre 1834 con discreta fortuna. Qualche anno dopo un Paganini malmesso e totalmente afono (il figlioletto Achille gli faceva da portavoce) potè assistere ad un’esecuzione dell’Harold e ne rimase folgorato, arrivando ad inginocchiarsi ai piedi di Berlioz per baciargli la mano: 



L’indomani gli inviò una lettera comunicandogli di aver incaricato il barone Rotschild di erogargli 20.000 franchi, a testimonianza della sua grande stima e ammirazione. Chiusi pettegolezzi e dietrologie, veniamo al sodo.
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Così come la (di poco) precedente Fantastique, anche Harold (che è articolato in 4 parti) ha una sua idée fixe, un motivo che caratterizza l’ombrosa personalità del personaggio, e ritorna spesso e volentieri:

Dopo che una sua variante in minore è comparsa in tutti i legni (1’40”) lo ascoltiamo per la prima volta (3’29”) dalla viola solista - accompagnata dall’arpa - nell’Adagio (SOL maggiore) con il quale inizia il primo movimento, sottotitolato Harold aux montagnes. Scènes de mélancolie, de bonheur et de joie, che poi proseguirà in Allegro. Ebbene, seguendo la moda degli auto-imprestiti di cui Rossini (allora Roi de Paris) era un campione, Berlioz prende di peso il motivo da una sua composizione di un paio d’anni prima (l’Ouverture Rob-Roy, ispirata a Walter Scott) e precisamente dal centrale Larghetto, espressivo assai (da 4’25” a 8’20” nella citata esecuzione) pure in tonalità SOL maggiore, dove il tema è peraltro esposto dal corno inglese, sempre con l’arpa ad accompagnare. Berlioz sembrò quasi vergognarsi di questo imprestito: nelle sue Mémoirs si guarda bene dal citarlo, e in compenso ricorda l’Ouverture Rob-Roy come un ciarpame che lui stesso avrebbe dato alle fiamme (?!) dopo la prima deludente esecuzione a Parigi.

A 4’28” ecco il controsoggetto del tema principale, che chiude a 5’39”. Qui l’idée fixe viene riesposta dal solista, contrappuntata dai legni, dopodichè ecco arrivare (6’58”) il secondo tema, Allegro (siamo alla felicità e alla gioia...) esposto in orchestra, poi ripreso, dopo qualche esitazione (7’42”) dalla viola. A 8’22” appare un nuovo motivo, in funzione di cadenza (anch’esso preso da Rob-Roy, vedi a 2’53”) che porta (8’54”) al da-capo del secondo tema e della sua appendice, chiuso a 10’03” con l’inizio di un suo sviluppo assai articolato. A 11’14” riecco il motivo cadenzante, poi (11’47”) la viola espone una variante più tranquilla del tema, ripresa in orchestra. Dopo una pausa di riflessione, a 12’29” l’oboe esplode il motivo cadenzante, seguito dagli altri fiati; si fa largo un accenno di idée fixe, dapprima in orchestra (12’47”) e poi, dopo un vigoroso crescendo orchestrale (13’24”) anche nella viola. Ecco ancora (13’57”) il motivo cadenzante nei fiati e nella viola, che porta alla concitata conclusione.

Marche de pèlerins chantant la prière du soir (Allegretto, MI maggiore).  

Dopo un’introduzione (15’17”) caratterizzata da un sommesso dialogo dell’arpa con fiati e archi, spetta a questi ultimi (15’34”) esporre il tema di questo movimento di lenta e faticosa marcia. Tema che è completato da controsoggetti (fino a 16 varianti) che ne arricchiscono la struttura. A 16’32” ecco nella viola riapparire l’idée fixe di Harold, che è qui al seguito dei pellegrini in marcia: il suo canto si contrappunta infatti al tema principale. Tema che riappare (17’17”) negli archi, inframmezzato da terzine e quartine ribattute nei fiati. A 18’36” subentra un intermezzo (Canto religioso) dove alle note in corale di legni e poi archi si sovrappone la viola solista con un continuo arpeggio di ben 79 battute! A 20’05” sono i legni a riprendere il tema di marcia, rilevati poi dagli archi. Dopo alcuni reiterati SI di flauto e oboe, un ultimo arpeggio della viola chiude sul MI acuto.

Sérénade d'un montagnard des Abruzzes à sa maîtresse (Allegro assai, Allegretto, DO maggiore).

Il movimento è caratterizzato dalla presenza di due temi e dal riapparire dell’idée fixe. Su un ritmo di saltarello scandito dalle viole, subito (22’24”) attacca in ottavino ed oboe il primo tema scanzonato. A 23’04” ecco il corno inglese (evocando un’ocarina abruzzese) esporre il secondo tema, più languido e crepuscolare, in Allegretto. Ad esso si sovrappone (24’07”, è Harold che osserva...) l’immancabile idée fixe nella viola. Questa sezione si protrae a lungo, fino ad essere interrotta (26’28”) dall’impertinente ritorno del primo tema. A 27’02” torna protagonista il secondo tema, ma questa volta è la viola di Harold ad esporlo, mentre il flauto lo contrappunta con l’idée fixe! (insomma, Harold e il montanaro abruzzese si sono scambiati i ruoli...) Siamo in chiusura e (27’55”) ricompare fugacemente il primo tema, poi seguito dal secondo nella viola, che conduce alla sommessa cadenza finale.

Orgie de brigands. Souvenirs des scènes précédentes (Allegro frenetico, SOL minore).

L’ultima parte della Sinfonia si apre (28’59”) con una breve anticipazione (11 battute) del tema principale (l’orgia dei briganti). Dopodichè Berlioz imita la nona beethoveniana, proponendo reminiscenze dei tre precedenti movimenti, sempre esposte dalla viola (i... ricordi di Harold). Subentra dapprima un Adagio (29’13”, Souvenir de l’Introduction) dove la viola, accompagnata dal fagotto sul brusio degli archi, ci ricorda appunto l’atmosfera udita proprio all’aprirsi dell’opera. Riprende (29’42”) il tema orgiastico che poi (30’02”) lascia spazio alla seconda reminiscenza (Souvenir de la Marche des Pelerins, marcia che aveva occupato la seconda parte dell’opera). Altro fugace ritorno orgiastico, poi (30’17”) ecco la viola ricordare il tema languido del terzo movimento (Souvenir de la Serenade). Altro scoppio dell’orchestra e (30’36”, Souvenir du premier Allegro) si ripropone il secondo tema del movimento iniziale. Ancora l’orgia dei briganti e poi (31’05”, Souvenir de l’Adagio) ecco il tema di Harold, l’Idée fixe, tornare timidamente, quasi smozzicato.

Un progressivo crescendo orchestrale porta finalmente (32’02”) alla proposizione estesa del tema principale (anche qui troveremo reminiscenze di Rob-Roy...) L’esposizione è assai articolata: inizia in SOL minore, poi (32’49) vira alla relativa SIb maggiore; poi (33’30”) a SIb minore, con pesanti interventi (33’46”) di tromboni e tuba. A 34’08 ecco una transizione più calma ed elegiaca, che porta a chiudere l’esposizione. Questa viene però ripetuta (35’10”) senza sostanziali differenze. A 37’43” subentra una sezione di sviluppo dei temi, che porta (38’25”) alla ricapitolazione, interrotta (38’41”) dalla ricomparsa del motivo della marcia dei pellegrini. Poi (39’33”) riprende il tema principale che conduce (39’44”) alla pesante e retorica coda.   
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Durante l’intervallo i presagi di temporalone si sono fatti più minacciosi e così, quando ancora non si era arrivati a metà della prima parte della Sinfonia, ecco nascere un tremendo accompagnamento, come di una batteria di grancasse rullanti (la pioggia battente sul cupolone) che ha accompagnato la musica fino alla fine. Per la cronaca, all’inizio si era presentato solo il Direttore, e forse qualcuno avrà pensato che Tamestit l’avesse data buca... poi però il vagabondo Harold si è fatto timidamente avanti, dal fondo sulla sinistra, dalla parte dei contrabbassi, per proporre la sua idée fixe. E per il resto della sinfonia ha poi continuato ad alternare la presenza al proscenio con altre peripatetiche gite fra i leggii dell’orchestra, tanto per sceneggiare un po’ il viaggio di Harold. Fine del primo movimento accolta da... scroscianti (!!!) applausi del pubblico, mentre i due protagonisti quasi si scusavano per la qualità della loro performance.

Forse sperando in un rapido allontanarsi della buriana, tutti hanno attaccato il secondo movimento, che a dir la verità ha proprio accentuato la faticosa mestizia della marcia dei pellegrini, aggiungendovi qualcosa che Berlioz non aveva immaginato (ci penserà con Les Troyens): l’orage! Altri applausi del pubblico, tra lo sconcertato e il divertito, così, Imperterrito, Krivine ha dato il via alla tarantella del terzo tempo. Non oso pensare come si sarà trovata la bella suonatrice di corno inglese ad esalare la sua serenade in mezzo a quel frastuono. Ma anche Tamestit credo abbia rischiato il tracollo del suo strumento pur di poterci far udire qualche nota. Così, prima della ripresa del saltarello, altri applausi e il Direttore getta la spugna! Non si può proseguire. Conciliabolo improvvisato sotto il podio; arriva il padrone di casa (Riccardo Muti) e chiede a Krivine se può attendere 15-20’ sperando nel miracolo. Così vien fatto e - a pioggia tornata... normale - si riprende: ma non dal punto dell’interruzione, bensì (grande sensibilità di Krivine e dei suoi) dall’attacco della marcia dei pellegrini!

Si arriva così fino alla fine, e il pubblico mostra tutto il suo apprezzamento con autentiche ovazioni. Muti torna sotto il podio a stringere la mano a Krivine e Tamestit, e tutti ce ne torniamo a casa (ancora fra lampi e scrosci) un filino... rinfrescati!
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Tornando alla festa della donna, una sua esagerata, godereccia e anti-retorica interpretazione è la notte rosa, che qui in Romagna si celebra ormai tradizionalmente agli inizi di luglio. E ce n’è davvero per tutti i gusti! 

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