Continuando una ormai consolidata
tradizione, laVerdi inserisce nel
programma della stagione principale l’esecuzione di un’opera lirica in forma di
concerto (ricordiamo Chénier, Butterfly, Cavalleria...) Quest’anno è la volta
di Gianni Schicchi, affidato alla
bacchetta di John Axelrod e alle voci
della Scuola dell'Opera del Comunale di Bologna.
“...come l’altro che là sen va,
sostenne,
per guadagnar la donna de la
torma,
falsificare in sè Buoso
Donati,
testando e dando al testamento
norma.”
Così Dante, Inferno,
XXX. Si parla di Gianni Schicchi che
si sostituì al morto Buoso Donati che nel testamento olografo aveva lasciato
tutti i suoi beni ai monaci, e in sua vece dettò al notaio un falso (ma
registrato come regolare) testamento, dove indicò sè medesimo come erede dei
beni del Donati. Fra essi "la donna de la torma”, che non è una specie di regina-delle-amazzoni, ma la mula più pregiata di
tutta Firenze (Madonna Tonina era il suo nome, come
ricordò Orazio Bacci in una sua lettura pubblica del canto dantesco il 10
maggio del 1900 in Orsanmichele a Firenze). Il principale gabbato fu il figlio (o fratello secondo alcuni) del
Buoso, Simone, che aveva ingaggiato Schicchi per farsi nominare erede
universale nel falso testamento, e invece si ritrovò con un pugno di mosche.
Il racconto particolareggiato della vicenda (dove il protagonista è
chiamato Sticchi) si ritrova nel Commento alla Divina Commedia d’Anonimo
fiorentino del secolo XIV°, originariamente pubblicato nel 1866 da Pietro Fanfani in appendice alla sua
edizione del poema dantesco. Ne ho trovata traccia anche in una
riedizione (Sansoni 1957) della D.C. con il commento di Tommaso Casini (1892) che mi fu regalata come premio scolastico 60 anni
fa (!)
Orbene, a partire da questi scarni tratti di sapida cronaca fiorentina
(e anche dai riferimenti al Volpone di Ben
Jonson del 1605, compreso l’indirizzo finale del protagonista al pubblico)
il genio di Giovacchino Forzano seppe
costruire uno splendido libretto di cui Puccini letteralmente si innamorò a
prima vista, dandogli la precedenza assoluta nel musicarlo, abbandonando
momentaneamente la SuorAngelica.
Innanzitutto: in luogo del solo Simone il
librettista schierò in scena l’intero parentado di Buoso (8 adulti più il
piccolo Gherardino) e ciò diede modo a lui e a Puccini di creare le esilaranti e
tragicomiche atmosfere che caratterizzano l’intera commedia. Poi aggiunse un
tocco di genio con l’invenzione del personaggio del medico, che rese possibile la brillante scenetta del test di credibilità del travestimento di
Schicchi. Ancora
ecco l’invenzione dei rintocchi di campana a morto che gettano (solo
momentaneamente) nella disperazione parenti e simulatore. Infine introdusse, legandola mirabilmente al soggetto principale,
l’immancabile vicenda sentimentale, con annessa coppia soprano-tenore, tanto per garantire la
presenza di un paio di arie e duetti... Il tutto con lo sfondo della magnifica Firenze, socialmente e
culturalmente arricchita da apporti del vicinato: Val d’Elsa e Mugello (viene
citato persino il Medici, che nel 1299 era ancora di là da
venire.)
Insomma, un vero gioiello, che non a caso è rapidamente divenuto il più famoso e rappresentato dei tre componenti del trittico, ovviamente grazie anche alla musica di Puccini, che dall’esecuzione in forma di concerto viene ancor più messa in risalto.
Come per Verdi il Falstaff, lo Schicchi rappresenta per Puccini l’unica opera buffa, o semiseria, o commedia brillante che dir si voglia. Non c’è dubbio che Puccini abbia guardato a Falstaff come ad un eccelso modello, mutuandone l’umorismo sottile ed anche aspetti apparentemente marginali. Cito ad esempio una similitudine, microscopica nella dimensione, ma illuminante nel significato: fra l’espressione di Schicchi (“...cinque lire”) mentre annuncia il ridicolo lascito per Frati e SantaReparata, e quella di Falstaff (“...un’acciuga”) mentre legge la lista dell’oste:
Insomma, un vero gioiello, che non a caso è rapidamente divenuto il più famoso e rappresentato dei tre componenti del trittico, ovviamente grazie anche alla musica di Puccini, che dall’esecuzione in forma di concerto viene ancor più messa in risalto.
Come per Verdi il Falstaff, lo Schicchi rappresenta per Puccini l’unica opera buffa, o semiseria, o commedia brillante che dir si voglia. Non c’è dubbio che Puccini abbia guardato a Falstaff come ad un eccelso modello, mutuandone l’umorismo sottile ed anche aspetti apparentemente marginali. Cito ad esempio una similitudine, microscopica nella dimensione, ma illuminante nel significato: fra l’espressione di Schicchi (“...cinque lire”) mentre annuncia il ridicolo lascito per Frati e SantaReparata, e quella di Falstaff (“...un’acciuga”) mentre legge la lista dell’oste:
Non mancano riferimenti a
musicisti contemporanei a Puccini: Strauss fa capolino qua e là, e una
reminiscenza mahleriana si riconosce nella chiusa del duetto finale
Rinuccio-Lauretta:
Non a caso il duetto si è chiuso con “...il Paradiso” e il Ruhevoll
della 4a di Mahler apre appunto le porte alla “vita celestiale”.
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Un Auditorium non propriamente preso d’assalto
ha tributato un grande successo a tutti i protagonisti della serata: il
Direttore e l’Orchestra, che hanno fornito una prova maiuscola (l’unico appunto
che mi sento di fare ad Axelrod è di aver esagerato con il fracasso - pareva l’ottava di Mahler - con il quale ha
sottolineato il parapiglia che segue l’uscita di scena del notaio, coprendo così le voci) e i bravissimi
cantanti della Scuola bolognese, una piacevole
sorpresa che testimonia della vitalità del mondo della lirica.
Mi limito a citare i tre protagonisti
principali: Marta Torbidoni, il cui
Babbino non ha mancato di ricevere l’applauso a scena aperta (innescato da... Axelrod);
Rosolino Cardile (Rinuccio) che ha
sfoggiato voce squillante e ben impostata; e lo Schicchi di Alex Martini, davvero convincente sia
nel canto che nella sensibilità interpretativa (la contraffazione della voce del
Buoso).
Insomma: una piacevolissima serata, che si
ripeterà oggi e domenica.
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