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19 maggio, 2017

2017 con laVerdi – 20


Continuando una ormai consolidata tradizione, laVerdi inserisce nel programma della stagione principale l’esecuzione di un’opera lirica in forma di concerto (ricordiamo Chénier, Butterfly, Cavalleria...) Quest’anno è la volta di Gianni Schicchi, affidato alla bacchetta di John Axelrod e alle voci della Scuola dell'Opera del Comunale di Bologna.

“...come l’altro che là sen va, sostenne,
per guadagnar la donna de la torma,
falsificare in sè Buoso Donati,
testando e dando al testamento norma.”

Così Dante, Inferno, XXX. Si parla di Gianni Schicchi  che si sostituì al morto Buoso Donati che nel testamento olografo aveva lasciato tutti i suoi beni ai monaci, e in sua vece dettò al notaio un falso (ma registrato come regolare) testamento, dove indicò sè medesimo come erede dei beni del Donati. Fra essi "la donna de la torma”, che non è una specie di regina-delle-amazzoni, ma la mula più pregiata di tutta Firenze (Madonna Tonina era il suo nome, come ricordò Orazio Bacci in una sua lettura pubblica del canto dantesco il 10 maggio del 1900 in Orsanmichele a Firenze). Il principale gabbato fu il figlio (o fratello secondo alcuni) del Buoso, Simone, che aveva ingaggiato Schicchi per farsi nominare erede universale nel falso testamento, e invece si ritrovò con un pugno di mosche.

Il racconto particolareggiato della vicenda (dove il protagonista è chiamato Sticchi) si ritrova nel Commento alla Divina Commedia d’Anonimo fiorentino del secolo XIV°, originariamente pubblicato nel 1866 da Pietro Fanfani in appendice alla sua edizione del poema dantesco. Ne ho trovata traccia anche in una riedizione (Sansoni 1957) della D.C. con il commento di Tommaso Casini (1892) che mi fu regalata come premio scolastico 60 anni fa (!)


Orbene, a partire da questi scarni tratti di sapida cronaca fiorentina (e anche dai riferimenti al Volpone di Ben Jonson del 1605, compreso l’indirizzo finale del protagonista al pubblico) il genio di Giovacchino Forzano seppe costruire uno splendido libretto di cui Puccini letteralmente si innamorò a prima vista, dandogli la precedenza assoluta nel musicarlo, abbandonando momentaneamente la SuorAngelica.

Innanzitutto: in luogo del solo Simone il librettista schierò in scena l’intero parentado di Buoso (8 adulti più il piccolo Gherardino) e ciò diede modo a lui e a Puccini di creare le esilaranti e tragicomiche atmosfere che caratterizzano l’intera commedia. Poi aggiunse un tocco di genio con l’invenzione del personaggio del medico, che rese possibile la brillante scenetta del test di credibilità del travestimento di Schicchi. Ancora ecco l’invenzione dei rintocchi di campana a morto che gettano (solo momentaneamente) nella disperazione parenti e simulatore. Infine introdusse, legandola mirabilmente al soggetto principale, l’immancabile vicenda sentimentale, con annessa coppia soprano-tenore, tanto per garantire la presenza di un paio di arie e duetti... Il tutto con lo sfondo della magnifica Firenze, socialmente e culturalmente arricchita da apporti del vicinato: Val d’Elsa e Mugello (viene citato persino il Medici, che nel 1299 era ancora di là da venire.) 

Insomma, un vero gioiello, che non a caso è rapidamente divenuto il più famoso e rappresentato dei tre componenti del trittico, ovviamente grazie anche alla musica di Puccini, che dall’esecuzione in forma di concerto viene ancor più messa in risalto. 

Come per Verdi il Falstaff, lo Schicchi rappresenta per Puccini l’unica opera buffa, o semiseria, o commedia brillante che dir si voglia. Non c’è dubbio che Puccini abbia guardato a Falstaff come ad un eccelso modello, mutuandone l’umorismo sottile ed anche aspetti apparentemente marginali. Cito ad esempio una similitudine, microscopica nella dimensione, ma illuminante nel significato: fra l’espressione di Schicchi (“...cinque lire”) mentre annuncia il ridicolo lascito per Frati e SantaReparata, e quella di Falstaff (“...un’acciuga”) mentre legge la lista dell’oste:


Non mancano riferimenti a musicisti contemporanei a Puccini: Strauss fa capolino qua e là, e una reminiscenza mahleriana si riconosce nella chiusa del duetto finale Rinuccio-Lauretta:
 
Non a caso il duetto si è chiuso con “...il Paradiso” e il Ruhevoll della 4a di Mahler apre appunto le porte alla “vita celestiale”.
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Un Auditorium non propriamente preso d’assalto ha tributato un grande successo a tutti i protagonisti della serata: il Direttore e l’Orchestra, che hanno fornito una prova maiuscola (l’unico appunto che mi sento di fare ad Axelrod è di aver esagerato con il fracasso - pareva l’ottava di Mahler - con il quale ha sottolineato il parapiglia che segue l’uscita di scena del notaio, coprendo così le voci) e i bravissimi cantanti della Scuola bolognese, una piacevole sorpresa che testimonia della vitalità del mondo della lirica.

Mi limito a citare i tre protagonisti principali: Marta Torbidoni, il cui Babbino non ha mancato di ricevere l’applauso a scena aperta (innescato da... Axelrod); Rosolino Cardile (Rinuccio) che ha sfoggiato voce squillante e ben impostata; e lo Schicchi di Alex Martini, davvero convincente sia nel canto che nella sensibilità interpretativa (la contraffazione della voce del Buoso).

Insomma: una piacevolissima serata, che si ripeterà oggi e domenica.

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