Ieri pomeriggio il Comunale bolognese ha ospitato la seconda delle 6 recite de I Capuleti e i Montecchi, una produzione
che promuove nuove leve di interpreti, emerse dalle selezioni di OperaNext, l’iniziativa mirante a
sviluppare talenti per il teatro musicale. Co-produzione italo-spagnola, già
presentata a Tenerife a fine 2017. Dopo la prima
di domenica scorsa (trasmessa da Radio3) ieri in scena il cosiddetto secondo cast.
Devo però spiegare il titolo del post, che dà la falsa impressione che
l’opera di Bellini si rifaccia a
Shakespeare. Nulla di più impreciso (ma anche in questo caso c’è un po’ di
responsabilità della regìa, come vedremo): chè il libretto (riciclato,
oltretutto) di Felice Romani ripesca
le radici italiane (del ‘400) della storia, radici utilizzate - con ben altra
genialità, si dovrà pur ammettere - dallo stesso bardo da Stratford. Così il testo di Romani, rispetto al dramma
shakespeariano (ancora poco conosciuto in Italia, va detto, nei primi decenni
dell’800) resta parecchi gradini al di sotto, viaggiando nell’aurea mediocrità
dei classici libretti di melodramma italico.
Le figure di entrambi i protagonisti
mancano della fortissima personalità dei rispettivi corrispondenti albionici, a
partire da Giulietta, che in Shakespeare - a dispetto della giovanissima età -
mostra una maturità e una forza d’animo straordinarie, quando invece in Romani
la troviamo nei panni di una ragazza piena di ansie, dubbi e rimorsi, succube
del padre e indisponibile a compiere gesti estremi, come quando rifiuta di
fuggire con l’innamorato. Quanto a Romeo, in Shakespeare è un ragazzo che
scopre fulmineamente l’amore e se ne fa condizionare in modo assoluto,
arrivando a immaginare il suicidio di fronte alla prospettiva di perderlo, e
diventando (quasi a sua insaputa) un omicida per voler difenderlo. In
Romani-Bellini lui è invece un capo militare che millanta ferocia guerresca, ma
poi evita lo scontro con il rivale Tebaldo, a cui anzi offre il petto pur
riconoscendolo colpevole indiretto della morte dell’amata. Della quale è già
innamorato, ma non si sa nè come nè da quando... e addirittura nella sua
proposta da ambasciatore spunta una motivazione super-politica per giustificare la sua richiesta di matrimonio con
la figlia del capo della fazione opposta (!?)
Forse
l’unico aspetto che si fa preferire in Romani è la figura di Lorenzo, che non è
un frate ma un medico, ergo plausibilmente più credibile come inventore (senza speziali intermediari) di preparati
galenici (quale il sonnifero somministrato a Giulietta). Però lui non può certo
unire i due amanti in matrimonio, nè promuovere e alla fine benedire la
riconciliazione fra le opposte fazioni!
Per il resto si osserverà come lo
scenario politico in cui si svolge l’azione di Romani sia uno stato di vera e
propria guerra permanente fra Guelfi (Capuleti) e Ghibellini (Montecchi) con tanto
di schieramento di eserciti e con ambasciatori in missione... altro che una
pura e semplice (per quanto cruenta) faida fra ragazzotti viziati di due
famiglie-bene dell’opulenta Verona. Come detto, nell’opera di Bellini Romeo e
Giulietta sono già da tempo innamorati (cosa poco plausibile proprio a causa
dello scenario di guerra, che rende invece verosimile che Tebaldo, braccio
destro armato di Capellio, sia promesso alla figlia di costui): la scena del
ballo, che in Shakespeare è drammaticamente fondamentale perchè serve proprio a
mostrarci il colpo-di-fulmine che scuote i due giovani, in Romani diventa
prosaica occasione per festeggiare il matrimonio di Tebaldo e Giulietta, da
questa indesiderato.
Insomma, ancora una volta, ciò che salva
un soggetto francamente deboluccio è - manco a dirlo - la musica di Bellini!
Federico
Santi,
giovanissimo Direttore che sta facendo esperienza al Marinski (!) all’ascolto radiofonico mi aveva dato l’impressione di
tenere un approccio eccessivamente focoso e bandistico. E purtroppo non si
trattava delle inevitabili distorsioni prodotte dalla ripresa audio, poichè dal
vivo la sua direzione mi è parsa assai poco equilibrata e meno ancora rispettosa
dell’estetica belliniana. Ne hanno fatto le spese le voci, spesso coperte alla
grande. La stessa Orchestra non mi è parsa al meglio, già a partire dalla
fanfara di corni della Sinfonia...
Le voci (vedi locandina) sono tutte o
quasi di giovani e giovanissimi esordienti: ciò va riconosciuto prima di
emettere giudizi sommari. Le cinque udite ieri, a parte la perfettibilità di
canto e interpretazione (che verrà, caso mai, con anni di studio e di esperienze)
non mi hanno impressionato nemmeno dal punto di vista delle doti naturali: voci mediamente piccole
(e infatti Santi le ha proprio strapazzate) e carenti soprattutto nelle note
gravi, praticamente inudibili.
Ma - appunto - si tratta di nuove leve
che non potranno che migliorare... Sui suoi standard il coro di Faidutti.
___
Come accennato,
note dolenti, ahinoi, per la regìa. Siamo alle solite: Silvia Paoli, volendo o dovendo strafare per giustificare la sua
presenza, si inventa (no, per la verità scopiazza cose viste, riviste, trite e
ritrite, mi viene in mente il Martone scaligero dell’Oberto del 2013 e poi della Cena
delle beffe del 2016) una storia di mafie e ‘ndranghete nel sud-Italia di tempi
recenti che avrà pure una sua interna coerenza, ma che è - piccolo,
insignificante dettaglio - agli antipodi rispetto al soggetto originale! (E
poi... visto che ormai le mafie sono di casa al nord più che al sud, già che
c’era la regista poteva mantenere nella Verona di oggidì l’ambientazione della
sua immaginifica storia, invece che spostarla nella Calabria anni ‘70...)
La regista
pare mescolare Shakespeare e Romani (già sbagliando, per quanto detto sopra)
quando sceglie l’ambientazione moderna:
nel primo caso quella più calzante sarebbe uno scontro fra tifoserie o baby-gang. Restando
invece fedeli a Romani-Bellini, allora il parallelo non potrebbe che basarsi su
uno scenario politico. In entrambi i
casi, non certo di criminalità organizzata:
eh sì, perchè Guelfi e Ghibellini non erano cosche mafiose, ma partiti politici con precisi riferimenti
alle due più alte istituzioni pubbliche
del tempo, il Papato e il Sacro Romano Impero (o era mafioso anche un certo
Dante?)
Altra
idea portante della messinscena è la supposizione che l’uccisione del figlio di
Capellio da parte di Romeo sia avvenuta quando i due erano in tenera età
(diciamo 10-12 anni): la circostanza viene già mostrata durante l’esecuzione
della Sinfonia, poi continuamente ricordata dalle apparizioni in scena di bambini.
Com’è venuta in mente alla regista questa idea invero strampalata?
Dall’interpretazione gratuita quanto assurda di una frase cantata da Capellio
nella seconda scena: poiché fanciul partia
vagò Romeo di terra in terra... E così, secondo la regista Romeo doveva
avere 12 anni al massimo quando, dopo aver ammazzato durante giochi cruenti un
coetaneo (delitto nemmeno perseguibile, per un minorenne di quell’età...) si
auto-esiliò da Verona, vivendo per anni da latitante chissà dove? Roba da
chiodi! Basta invece ascoltare ciò che canta lo stesso Romeo (finto
ambasciatore ghibellino) nella scena successiva per riportare le cose nella
giusta prospettiva: se Romeo t'uccise un
figlio, in battaglia a lui diè morte... Chiaro abbastanza, no? Romeo (un ragazzo sì, ma
pienamente in possesso delle sue facoltà, non un bambinello immaturo) uccise il fratello di
Giulietta durante uno scontro armato in
piena regola fra i due contrapposti gruppi paramilitari. Ma i registi, si sa,
del testo che sono pagati per inscenare fanno ciò che più gli aggrada. (La
Paoli viene dalla scuola di Michieletto,
quello che si è inventato di sana pianta l’infanzia di Faust - La Damnation, Roma 2017 - e la vecchiaia
di Elena e Malcom - La donna del lago,
ROF 2016.)
Lorenzo:
come detto, in Shakespeare è un frate autorevole, in Romani un medico; per la
Paoli è un barista! Che evidentemente - dato l’ambiente in cui vive - traffica
in droghe leggere e pesanti, così può rifornire Giulietta di sonnifero e Romeo di veleno (mah...) E non essendo lui un religioso, come si è detto, non può
sposare i due amanti. Così la regista si inventa un auto-sposalizio dei due
durante il duetto che chiude la prima parte.
Altre
piacevolezze indotte dall’ambientazione moderna riguardano le solite
incongruenze spicciole fra testo e scena, delle quali mi limito a ricordare il
confronto fra Romeo e Tebaldo nella terza parte, dove i due ingaggiano un
duello impugnando comicamente due revolver, per poi deporli e proseguirlo con più
plausibili serramanico... Ma la ciliegina sulla torta la mette Giulietta,
sparandosi un colpo di pistola alla tempia sulla salma di Romeo (!)
Insomma,
il Konzept della regista è proprio
sballato del tutto e (inutile dirlo) totalmente irrispettoso dell’originale, di
cui snatura completamente il soggetto. Che poi lo spettacolo in sè e per sè sia
di discreto livello non basta a cancellare il reato, nè ad estinguere la pena
(quella che prova lo spettatore appena-appena... informato dei fatti, guardando
ciò che avviene in scena nel mentre risuonano le parole di Romani e le note di
Bellini).
Pubblico scarseggiante per quantità, ma
anche per calore.
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