Ieri pomeriggio al Regio è andata in scena la seconda recita del dittico imperniato sulla figura di interprete
di Anna Caterina Antonacci. (Mercoledi
scorso Radio3 ha diffuso i suoni della prima.)
Pubblico piuttosto scarseggiante (per illuderci che non sia puro disinteresse
diamo la colpa alla contemporanea rappresentazione del settimo sigillo...) Regio che, negli ultimi tempi, ha visto la
sostituzione dei principali livelli di responsabilità: Maestro del Coro,
Direttore Musicale, Direttore Artistico e Sovrintendente! Il tempo dirà se sarà
stato un bene... Intanto - battutaccia - perchè già che c’erano non sono saliti
con le sostituzioni anche un gradino più su?
La produzione in onda in questi giorni è
di stampo franco-belga-lussemburghese e risale a qualche anno fa; la si può
apprezzare (in audio) anche in rete, nella versione parigina:
Il segreto di Susanna, di Ermanno Wolf-Ferrari e
La voix humaine di Francis Poulenc.
Due opere brevi venute alla luce nel
‘900 a 50 anni esatti di distanza (1909 e ’59) ma - o proprio per questo -
totalmente diverse come concezione e contenuti.
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Il segreto di Susanna vede la luce -
per inquadrarne lo scenario musicale - nell’anno della straussiana Elektra, dalla quale non potrebbe essere
musicalmente più distante. Di Strauss sembra casomai anticipare qualcosa del Rosenkavalier (vedi il tema d’amore
per... la sigaretta) in fatto di delicatezze e frivolezza. Insomma,
l’italo-tedesco di nascita sembra tenersi alla larga da certe tendenze
contemporanee (niente verismo e niente espressionismo): casomai i modelli sono
settecenteschi e gli ammiccamenti (vedi Chopin...)
guardano al profondo ‘800.
Il soggetto oggi trasformerebbe gli
autori in... perseguitati, accusati di istigazione a delinquere; ma ai tempi il
fumo stava diventando una moda, anzi un distintivo di promozione sociale e uno
dei primi (deteriori?) simboli di femminismo (!) Così il Regio immagino abbia
dovuto ottenere qualche specialissima deroga per poter far accendere più di una
sigaretta in un luogo pubblico. Insomma, l’attualità del soggetto sarebbe assai
discutibile, e qualche regista in vena di genialate si potrebbe inventare
segreti più... cool, diciamo.
Invece Ludovic Lagarde si attiene scrupolosamente al testo a ci presenta
così questa storia che più inattuale non si può. Ma è la musica, ovviamente, a riscattare la banalità del soggetto. E la
musica la fanno la Antonacci e il
partner Vittorio Prato, ben coadiuvati
dall’Orchestra del Regio diretta da quel prodotto del benemerito Sistema-Abreu che va sotto il nome di Diego Matheuz.
Encomiabile sul piano dello spettacolo anche
l’apporto (muto) di Bruno Danjoux.
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Ecco poi La voix humaine, nella
quale Poulenc mise in musica il testo di Jean
Cocteau risalente al 1930. E qui tutto il mondo ruota attorno alla
personalità della Antonacci, che in
questi ultimi anni è diventata un punto di riferimento per il ruolo. La sua
immedesimazione nel personaggio è totale, ma perfetto è il suo recitar-cantando, che coniuga
mirabilmente l’essenziale musicalità di Poulenc con la crudezza del testo di
Cocteau (che aveva da parte sua riconosciuto al compositore il merito di aver
ricoperto il suo testo di suoni come meglio non si potesse).
In questa edizione vengono tagliati (nella
citata registrazione parigina a 32’24”) due passaggi consecutivi (e
precisamente quello che inizia (cifra di lettura 79) con C’est entendu, mon amour; e il successivo (cifra di
lettura 81) Voilà deux jours qu’il ne
quitte pas l’antichambre… Si riprende (cifra
di lettura 84) con Allô ! Allô ! Madam’
retirez-vous. Nel primo dei due
passaggi la protagonista (che ha appena confessato il tentativo di suicidio)
parla delle sue notti divenute insopportabili, costellate da sogni, e dei
risvegli che la ripiombano in una vita senza prospettive. Segue il lungo
passaggio dedicato al cane, anche lui divenuto intrattabile da quando l’amante
della donna non si fa più vedere. Si tratta di tagli peraltro non infrequenti (chissà,
forse messi in atto per evitare di dover conseguentemente portare in scena
anche la pora bestia...): passaggi che si possono ascoltare (da 33’46” a 37’02”)
in questa edizione
integrale con Renata Scotto del 1996.
Anche qui Matheuz mostra di saper il
fatto suo, guidando sapientemente l’orchestra sia negli accompagnamenti, che
nei dialoghi con la protagonista, ma anche nei... silenzi, che caratterizzano
questa difficile partitura dove non mancano, accanto alle prevalenti atmosfere
cupe, strazianti se non disperate, anche momenti di serenità e vitalissimi slanci.
Lagarde,
che nella Susanna aveva mantenuto la scena fissa (un soggiorno fiancheggiato da
due corridoi e con un vano centrale comunicante con finestrella, il tutto
illuminato con... 50 sfumature di rosa, fino al violetto) nella Voix impiega la
piattaforma girevole per far comparire - oltre al soggiorno di cui sopra -
anche altri due ambienti: la camera da letto e il bagno (dove una gran vasca
viene riempita d’acqua fino a farla tracimare - chiara allusione allo sfacelo
che si compie nella mente della protagonista). Il colore predominante è il
bianco, con un po’ di grigio. La base girevole si muove spesso e volentieri,
non sempre con motivazioni precise, ma questo è forse un ulteriore modo per
sottolineare il girare a vuoto
dell’esistenza della donna. I telefoni sono due (nero e rosso) ma senza fili
(così si perde un po’ l’allusione al suicidio legata al cavo che la
protagonista si dovrebbe avvolgere attorno al collo).
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Successo trionfale - meritatissimo - per
Anna Caterina Antonacci, ma applausi anche per gli altri protagonisti: una proposta
di alto livello, che ci si deve augurare che il pubblico voglia premiare con
presenze più nutrite alle restanti tre recite.
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