Si continua
con la serie degli ultimi concerti mozartiani, e questa è la volta proprio
dell’ultimo. Ma il programma di questa settimana prevede
anche altro Mozart, poi uno Schubert e un Debussy… manipolati. Per dirigere il
concerto (ma vedremo che ci mette lo zampino anche come compositore) torna sul
podio de laVERDI una vecchia conoscenza degli anni di Chailly: Roberto Polastri.
La serata è
aperta ancora nel segno di Mozart,
con le Tre danze tedesche K605, quindi di poco posteriori al concerto
pianistico che seguirà. Sono tre brevi brani (poco più di 2 minuti di media
ciascuno) rispettivamente in RE, SOL e DO maggiore, tutti in tempo 3/4 senza
indicazioni agogiche, ma ovviamente di piglio vivace. La terza presenta un trio sottotitolato gita in slitta, con due corni
da postiglione e tre coppie di sonagli,
dal sapore quindi prettamente natalizio.
Un buon
antipasto per quel che deve seguire!
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Un giovane
pianista delle Canarie, il 37enne Iván Martín
Mateu, si siede alla tastiera per proporci il K595. Su questo ultimo concerto
pianistico del Teofilo - e in particolare sulle auto-citazioni ivi contenute -
avevo scritto qualche nota mesi fa, in occasione di un’esibizione di Barenboim alla Scala. Proviamo a seguirne lo sviluppo con
l’aiuto di… Wilhelm Kempff.
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Come
(quasi) sempre accadde nei concerti della maturità, è l’orchestra ad esporre i
temi dell’iniziale Allegro (4/4) in
forma-sonata. Temi che sono di problematica etichettatura, essendo assai più
dei due canonici, per cui impiegherò alla bisogna qualche sigla più o meno
appropriata e del tutto personale.
I
violini espongono il primo tema (T1) che si innalza sulla triade di SIb
maggiore per poi ricadere sulla tonica, apostrofato dai fiati (11”)
con un inciso che viene dalla Haffner
e prima ancora dal Ratto. Ancora i
violini espongono un controsoggetto, sempre rimbeccati dai fiati; quindi ancora
un altro motivo che ci riporta sulla tonica, dove i violini supportati dai
fiati chiudono il gruppo tematico (28”) con un motivo (M1) che viene
dal finale della Jupiter.
34” Ora si apre una transizione, caratterizzata da un
delicato motivo (M2, in effetti quasi un nuovo tema) negli archi col dialogo
dei fiati, che ci porta verso la presentazione (59”) del secondo tema
(T2) sempre in SIb maggiore ma subito reiterato virando a minore. Veloci
quartine di semicrome degli archi (1’20”) rimbeccati dai fiati (reminiscenza
del finale della Sinfonia in SOL minore,
e che apriranno poi la cadenza) conducono ad una nuova sezione transitoria. Qui
(da 1’36”
a 1’51”)
udiamo sette battute che mancano nel manoscritto originale, ma che furono
aggiunte nell’edizione critica essendo presenti nel prosieguo del movimento. A 2’08”
ecco una nuova idea melodica (M3) di carattere dolcemente cadenzante che serve
ad avviare la chiusura dell’esposizione orchestrale, sul SIb.
2’46” Entra qui il solista, che espone il primo tema
(T1) nella tonalità di impianto, subito introducendovi abbellimenti e varianti,
prima che (3’10”) i violini ripetano il motivo (M1) della Jupiter, che il
solista (3’16”) riprende e sviluppa con virtuosismi di semicrome. Dopo
un tutti orchestrale torna il solista
(3’38”)
esponendo un nuovo motivo (M4) sulla dominante, ma in minore (!)
4’06” Ancora due battute dell’orchestra e poi (4’10”)
il solista attacca la transizione che lo porta (4’25”) ad esporre il
motivo (M2) udito nei violini - nella transizione durante l’esposizione
orchestrale - ma qui nella dominante FA maggiore. A 4’51” i violini
ripropongono, in FA, il secondo tema (T2) di cui si fa carico (4’59”)
il pianoforte, che lo sviluppa fino a 5’32”, dove i fiati ne interrompono
temporaneamente la trama, che il solista riprende per sole 5 battute, prima del
tutti orchestrale (5’54”)
che apre la rincorsa verso il termine dell’esposizione.
6’27” Ecco qui iniziare lo sviluppo, con un vero e proprio colpo di scena: il primo tema (T1)
è esposto dal solista in SI minore! E poco dopo (6’40”) rispondendo agli
archi che erano minacciosamente saliti al DO, eccolo riproposto in DO maggiore!
E quindi, con ulteriore balzo, in MIb maggiore dai fiati. Non è che l’inizio di
un vero e proprio vagabondare attraverso continue modulazioni: il soggetto è
principalmente il primo tema (T1) che viene alla fine riproposto dall’oboe (7’55”)
in RE maggiore, poi minore, prima della modulazione che ci riporta a casa, sul
SIb maggiore per la ricapitolazione.
La
quale ha inizio a 8’10” e ripercorre inizialmente l’esposizione, fino al motivo (M1)
della Jupiter. Qui (8’39”) entra il pianoforte che ripropone la sua visione di quel
motivo, sviluppandolo con volate di semicrome.
A 9’04”
ecco ritornare il motivo M4 (quello in tonalità minore) ma stavolta in SIb
(come dire: care regole, io mi faccio beffe di voi fingendo di applicarvi!) A 9’31”
l’orchestra, subito seguita dal solista, ripropone una transizione che porta (9’50”)
alla riproposizione sulla tastiera di una variante del motivo M2 (udito
nell’esposizione).
A 10’15”
ecco - in SIb (siamo ligi ai sacri canoni!) – il secondo tema (T2) riproposto
dall’orchestra e subito ripreso dal solista. A 10’54” abbiamo la fermata
dei fiati, cui segue la ripresa del solista che porta a 11’32” alla
riproposizione del motivo M3. Da qui il passo è breve per giungere alla
sospensione che prelude alla cadenza
solistica (12’00”) lasciataci da Mozart (è un’eccezione alla regola). A 13’31”
ecco la rapida conclusione del movimento.
Il
centrale Larghetto (4/4 alla breve) è
nella sottodominante MIb maggiore, suddiviso in tre sezioni (A-B-A).
Viene
aperto (anche qui è una consuetudine) dal pianoforte solo che espone (14’02”)
il tema principale (T1) mutuato dal finale della Sinfonia K425, detta di Linz (ma forse è una reminiscenza di
Haydn). Tema di 4 battute ripetute, poi ripreso (14’27”) dai legni.
A 14’54”
è ancora il pianoforte ad esporre un nuovo tema della sezione A (T2) in SIb
maggiore, che è parente del tema principale; è subito seguito (15’18”)
dal ritorno a MIb con una nuova esposizione di T1. Una lunga transizione
orchestrale (15’45”) nella quale si distinguono diversi motivi (in
particolare M1 e poi M2 che chiude la sezione).
A 16’39”
si apre la sezione B del movimento, ancora in MIb, con il tema T3 che prefigura
vagamente quello che caratterizzerà il movimento centrale del futuro Concerto per clarinetto, tema che chiude
sulla dominante SIb e viene subito riproposto. A 17’13” ha inizio uno
sviluppo del tema che porta a diverse modulazioni, da SIb maggiore a minore
(M3) da qui alla relativa SOLb maggiore (M4). A 17’54” si torna alla
relativa MIb minore e la sezione si conclude poi con una salita cromatica in
tremolo del pianoforte, dal SIb fino a raggiungere la tonica MIb.
A 18’36”
inizia la ripresa della sezione A, con il solista che espone di seguito il tema
T1 e (19’02”) il T2. Dopo una brevissima transizione, a 19’46”
il tema T1 viene riproposto dal pianoforte in unisono con il flauto e i violini,
poi (20’11”)
torna la transizione lunga già udita nella prima sezione A, seguita (20’52”)
da una cadenza del solista, poi raggiunto da fiati e violini, per portare a
compimento il Larghetto.
Il finale in SIb maggiore, Allegro in 6/8 è in forma di Rondo (ma con aspetti di forma-sonata)
con una struttura piuttosto complessa, schematizzabile come A-B-A-C-A-(A’)-A-B-A-C-A.
Lo
apre il solista a 21’33”, esponendo il tema T1, che Mozart impiegò in un Lied sulla primavera, composto quasi
contemporaneamente al concerto. A 21’44” lo riprende l’intera
orchestra. Il pianoforte (21’55”) espone un secondo soggetto
(M1) e poi torna (22’14”) al tema T1. Un terzo soggetto della sezione A (M2) è
invece esposto dall’orchestra a 22’25”. Da 22’38” abbiamo una
robusta coda orchestrale che chiude la sezione A.
A 22’58”
ecco la sezione B del Rondo che presenta un nuovo tema (T2, il cui incipit è stretto parente di quello del T1 del Larghetto) sempre in SIb ed ancora esposto dal pianoforte, subito
supportato dagli archi. A 23’17” torna la sezione A in forma
assai variata che vira alla dominante FA maggiore, culminante poi (23’42”)
in un tutti orchestrale cui il solista
risponde preparando la successiva sezione C, appunto nella dominante FA
maggiore.
Sezione
che inizia a 23’56” con l’esposizione del tema T3 da parte del solista,
ripresa (24’06”) con l’aggregazione di oboi e fagotti, quindi del
flauto. A 24’27” la sezione si arricchisce di una prima cadenza solistica, che sfuma nella
ripresa in SIb (24’57”) della sezione A, sempre nel pianoforte, cui risponde (25’07”)
l’intera orchestra.
A 25’19”
ecco una sorpresa: il solista espone il secondo frammento del tema T1 in
tonalità di SIb minore, sulla quale
tonalità si libra in una serie di virtuosismi finchè a 25’40” è raggiunto
dall’orchestra che espone in FA minore il tema T1, conducendo ad una enfatica
fermata (26’03”) sul LAb, sottodominante del MIb (dominante del SIb di
impianto) sul quale viene ripresa (26’10”) dal solista la sezione A,
assai variata dopo l’esposizione del tema.
A 26’40”
riecco la sezione B del rondò con il tema T2, stavolta esposto sulla tonica SIb
(canoni della forma-sonata). A 26’58” torna la sezione A variata.
Ripresa dalla piena orchestra (27’23”) e poi dal solista che
chiudono la sezione.
A 27’37”
torna nel solista la sezione C del Rondo, qui in SIb maggiore (come da
forma-sonata) ripresa dall’orchestra a 27’48” e poi conclusa con una nuova
fermata (28’12”) che prelude all’arrivo dell’ultima cadenza solistica. Cadenza (28’14”) che in effetti è basata sul
tema T1 e quindi è come se preludesse alla riproposizione della sezione A del
Rondo, che in effetti il solista esegue a 29’40”, sul tema T1, subito seguito
a 29’50”
da M1 e ancora da T1 (30’09”) e poi (30’20”) da M2 in
orchestra. A 30’34” riecco la transizione che porta adesso verso la
chiusura. Un’ultima comparsa di T1 (31’08”) la prepara nel pianoforte,
lasciando poi alla sola orchestra (31’18”) la finale cadenza.
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Martín mette in mostra grandi qualità: proprio perché (relativamente) facile, questo concerto si presta ad
essere affrontato con… faciloneria. E invece il ragazzo spagnolo ce lo ha
proposto con una grazia e una cura davvero sorprendenti, sfoggiando anche suoi
personali abbellimenti e mini-cadenze davvero di alta sensibilità.
Insomma, una bellissima
prestazione, accolta con entusiasmo e seguita da un’invenzione di Bach.
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La seconda parte della serata si
apre con Schubert rielaborato
da Bruno Maderna. È in pratica una suite in 5 movimenti, che comprendono Polka, Galopp, Marce e Walzer. Una cosa piacevole e gradevole,
un po’ da Concerto di capodanno,
ecco.
Si chiude invece con qualcosa di
assai impegnativo: una Suite
dal Pelléas et Melisande di Debussy, a suo tempo predisposta da Erich
Leinsdorf, ripresa da Claudio Abbado e
finalmente rimessa a punto da Polastri.
Pare che Debussy sia sempre stato contrario a ricavare dalla sua (unica) opera
delle suite o dei bigini, e bisogna dire che forse non aveva tutti i torti
poiché, estrapolati dal loro contesto originario, questi brani lasciano un po’
a desiderare, non avendo il respiro sinfonico di lavori come L’Après o La Mèr, tanto per dire. Quindi un successo di stima, come si suol
dire, in un Auditorium anche ieri non propriamente sovraffollato.