06 ottobre, 2010
Lo stomaco del maeschtro
Mangiare a Chicago fa venire la gastrite.
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Mangiare a Roma la fa passare, però costa due milioni!
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Un Elisir per chiudere in gloria il 2009-2010 della Scala
Sabato scorso, alla prima, pare che le cose fossero andate così-così, anzi benino, insomma meno peggio del temuto. Ieri sera è stato un autentico trionfo, per lui in particolare, ma con lui per tutti i protagonisti (incluso il simpatico cagnolino che per due volte ha attraversato il palco). Personalmente mi associo ai complimenti – anche se sono sempre abbastanza largo di maniche con gli interpreti, posto che non siano appunto dei… cani – dato che le mie orecchie (che sono quelle dell'uomo della strada, e non certo quelle di un esperto delle tecniche di vocalizzazione tramandate da tale Garcia) hanno ricevuto dal mexicano impulsi sonori sempre gradevoli e piacevoli, e assai coerenti con l'oggetto del canto medesimo. E non solo nella fatidica lagrima, accolta da ovazioni da stadio, ma già da subito, col pubblico ancora freddo e contratto, con la cavatina Quanto è bella, quanto è cara! Che ha evidenti somiglianze con un'altra, che pure si cala in uno scenario tutt'affatto diverso:
(Sì, perché ogni compositore si porta dentro dei cromosomi che poi affiorano qua e là, anche in contesti fra loro lontanissimi.)
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01 ottobre, 2010
Stagione dell’OrchestraVerdi - 4
Ancora Mahler, stavolta con l'amato (fin troppo?) Schumann, per il quarto concerto de laVerdi, sempre con Xian Zhang sul podio.
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Finisce però nel più celestiale dei MI maggiore, con la Dam-Jensen (peraltro di vocina assai piccola) a spiegarci che le voci angeliche ridestano i sentimenti:

In ogni modo, a questo paradiso il pubblico dell'Auditorium riserva un'accoglienza più da stadio che da chiesa!
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27 settembre, 2010
Il Boris (ma quale?) inaugura la stagione del Regio-TO
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24 settembre, 2010
Stagione dell’OrchestraVerdi - 3
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23 settembre, 2010
L’Occasione rossiniana alla Scala
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22 settembre, 2010
Muti alla conquista di Chicago
Le finestre di un grattacielo sovrastante il Millennium Park, dove Riccardo Muti ha diretto il concerto di benvenuto, davanti ad una folla da stadio, si illuminano adeguatamente per accogliere il nuovo Direttore musicale della gloriosa CSO (Abbado avrebbero dovuto scriverlo in verticale; per Thielemann invece… non ci sarebbe spazio):
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Alla fine del concerto, fuochi d'artificio! (siamo in America o no? e Muti non sarà mica da meno di Dudamel…)
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C'è chi guarda all'arrivo del nostro con grande fiducia e ammirazione.
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21 settembre, 2010
Noseda per la sua città
Il prossimo 20 ottobre, ore 21, il Teatro degli Arcimboldi a Milano (in realtà ad un tiro di schioppo da Sesto San Giovanni) ospiterà Orchestra e Coro del Regio di Torino, guidati dal Direttore musicale Gianandrea Noseda (che all'epoca saranno freschi reduci dalle fatiche del Boris torinese). Si tratta di un concerto volto a raccogliere fondi per il recupero di alcuni giardini storici di Sesto.
Il sestese Noseda, anche se ormai cosmopolita (è anche Direttore principale della BBC Philharmonic, oltre che animatore del Festival di Stresa, dove ha fissato la sua residenza, e fresco di nomina a Direttore ospite a Pittsburgh) vuole così dimostrare l'attaccamento alla sua città di origine.
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20 settembre, 2010
A Rimini con Nagano e i bavaresi
A Rimini siamo a fine stagione (ormai l'equinozio incombe) e, tra uno squarcio di sole ancora cocente e uno scroscio di pioggia e vento, le spiagge cominciano lentamente a tornare al loro aspetto naturale (inquinamento incluso) dopo essere state tenute accuratamente pulite, per tutta l'estate, ogni santo giorno, dalle 6 alle 8 del mattino, dai rastrelli dei bagnini e dalle ruspe della Hera.
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A parte qualche sfigato bulgaro, gli ultimi turisti in riviera sono tedeschi, nella fattispecie gli orchestrali della Sinfonica Bavarese, che Kent Nagano ha guidato nell'ultimo Concerto della Sagra Musicale Malatestiana n° 61. Il capelluto californiano ha diretto due immortali capolavori: di Strauss e Bruckner.
Sarà solo un caso, ma il fatto che – a pochi mesi e giorni di distanza, rispettivamente, dai 65 anni della resa tedesca e delle bombe atomiche americane sul Giappone – una formazione teutonica guidata da un direttore americano dalla chiara ascendenza nipponica, esegua le straussiane Metamorphosen… suscita – in chi proprio allora approdava su questa valle di lacrime - qualche brivido.
La guerra sta per finire (Churchill, Roosevelt e Stalin si sono appena incontrati a Yalta per accordarsi sulla prossima spartizione del mondo) e il quasi ottantunenne Strauss vive ritirato nella sua sontuosa villa di Garmisch (frutto dei proventi di Salome) a meditare sull'ormai imminente disfatta della Germania, e con essa anche del suo ideale guglielmino, la cui realizzazione aveva opportunisticamente delegato a tale Hitler. Il 13 marzo del 1945 – precisamente all'indomani del bombardamento dell'Opera di Vienna - verga le prime note di Metamorphosen, che sta rimuginando da qualche tempo, nach Goethe. Le ultime le scrive in partitura esattamente un mese dopo, il 12 aprile (proprio mentre gli occupanti sovietici arrivano a Berlino e Roosevelt trasloca presso il creatore); ci infila, nei righi dei violoncelli 3-4-5 e dei tre contrabbassi, una citazione letterale della marcia funebre dell'Eroica, aggiungendovi sotto il motto: In memoriam!
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Non l'avesse mai fatto: un azzeccagarbugli olandese - stando a Bruno Walter, che ne raccolse l'indignazione – troverà un'analogia con Napoleone, primo dedicatario della terza, e dichiarerà quindi trattarsi di un anticipato epitaffio a Hitler (al tempo ormai asserragliato nel suo bunker, dove si preparava a festeggiare con qualche grattacapo il 56° compleanno) e quindi da bandirsi come apologia del nazismo (?!)
Pochi giorni dopo, precisamente nelle stesse ore del 30 aprile in cui il Führer si decide a farla finita, a Garmisch arrivano gli occupanti americani per requisirgli la villa: salvata questa per puro miracolo (vuole il caso che l'ufficiale esecutore sia un ammiratore delle sue opere!) Strauss non può però sfuggire agli oneri (umiliazioni incluse) della de-nazificazione e così – quattro mesi dopo aver compiuto le 81 primavere – parte per il suo esilio in Svizzera (si direbbe… sulle orme di Wagner) dove chiuderà la sua interminabile stagione continuando a scrivere musica, e grande, come il Concerto per oboe e gli ultimi Lieder, prima di tornare – nel 1949, ma ormai solo per morirvi - nella sua casetta di Garmisch.
In Svizzera, Strauss dovette inizialmente mendicare un po' di compassione, e ne trovò parecchia in tale Paul Sacher (niente a che vedere con le torte viennesi) un musicista diventato anche, per tramite di un matrimonio farmaceutico, uno degli uomini più ricchi del globo, e musicalmente assai attivo sulla direttrice Basilea-Zurigo. E proprio Sacher - lui accanito sostenitore della musica moderna e senza alcuna affinità elettiva con quella di Strauss - venne generosamente incontro al vecchio marpione, allora caduto in disgrazia (ma se l'era ampiamente voluta, cercata e meritata, o no?) patrocinandone prima la composizione e dirigendone poi, a fine gennaio 1946, la prima esecuzione di Metamorphosen, da parte del Collegium Musicum Zürich, da lui fondato pochi anni addietro. Insomma, un poco più in piccolo, interpretò il ruolo che Otto Wesendonck aveva ricoperto quasi un secolo prima nel caso-Wagner. Ecco perché nell'edizione a stampa il lavoro è doverosamente dedicato a Sacher e al CMZ.
Un lavoro in cui Strauss sembra aver voluto dolorosamente incapsulare tutto un passato: massimamente – proprio nel momento della catastrofe del Terzo Reich - il glorioso ottocento tedesco, da Beethoven a Bruckner, da Wagner a Mahler, senza dimenticare Bach (né sè medesimo, naturalmente). Epperò nel tema iniziale - e colonna portante dell'intera opera - che scende da dominante a sensibile di DO minore, non si può non riconoscere piuttosto il celebre Adagio di Albinoni! Invece, a dispetto dell'assenza di armatura di chiave e della presenza di innumerevoli modulazioni, nessun ammiccamento alla nuova musica, che gli rimase totalmente estranea, sino alla fine.
Nagano e i 23 splendidi solisti dell'Orchestra bavarese ne cavano un'interpretazione ultra-intimista, quasi tutta fra il piano e il pianissimo, proprio come di voci che – cantando mirabili quanto sfuggenti melodie - prendono commiato dal mondo sensibile. Davvero un'esecuzione coi fiocchi, tanto di cappello e… tanti applausi.
Dopo l'ultimo Strauss, il Bruckner della Settima, con l'immensa Orchestra disposta secondo la tradizione tedesca. Anche qui c'è di mezzo un funerale, ma non è (ancora) quello dell'intero pianeta, solo quello del grande incantatore (al secolo: Richard Wagner) che lascia tracce soprattutto nell'Adagio, da Bruckner allungato di 35 misure precisamente sotto l'emozione provocatagli dall'annuncio della Tod in Venedig.
Ed è proprio l'Adagio il protagonista della serata: una cosa indescrivibile, fin dall'ingresso delle 4 tubette wagneriane, che introducono il MI maggiore su cui gli archi espongono il solenne tema principale, roba da togliere il respiro. Sempre emozionante poi il sopraggiungere improvviso del tema in 3/4, FA# maggiore:
Impressionante il crescendo, che porta al famoso quanto apocrifo schianto dei piatti, prima della stupefacente cadenza conclusiva di tubette e corni (che è proprio un altro, grande In memoriam!)
Ma tutta la sinfonia, da cima a fondo, è un'autentica emozione. Bruckner la chiude con una cadenza quasi sospesa, che anche stavolta lascia un po' interdetti gli ascoltatori, che magari si aspettano i soliti pesanti accordi, sottolineati da un colpo secco dei timpani, e che ci mettono qualche secondo a carburare i dovuti – e poi robusti e convinti - applausi. Che si protraggono ancora per parecchi minuti, con ripetute chiamate per Nagano, che fa alzare separatamente le sezioni dei fiati, vere protagoniste in questa sinfonia. Bello il gesto dei due violini di spalla che, prima di abbandonare il palco, si abbracciano calorosamente, proprio a mostrarci come il suonare – e bene! - sia per loro un piacere, prima e oltre che una professione.
17 settembre, 2010
Stagione dell’OrchestraVerdi - 2
Ancora Xian Zhang sul podio per il secondo concerto della stagione, con musiche che hanno attorno al secolo di età, o poco più.
Si comincia da… dove sono finiti, neanche una settimana fa, i PROMS-2010: la prima della marce Pomp & Circumstance (da sempre ribattezzata Land of Hope and Glory) di Edward Elgar. Il cui Trio è diventato universalmente famoso:
Ancora il bizzarro Elgar con le sue Enigma Variations, in cui il compositore si divertì a ritrarre musicalmente gli amici, personaggi più o meno noti della buona società britannica, ed anche sé medesimo (!) attraverso una serie di 14 variazioni su un tema, che sarebbero ulteriormente legate ad un più ampio tema, che le percorre tutte: e quest'ultimo tema costituirebbe l'enigma cui fa riferimento il titolo. Da più di un secolo (le variazioni sono del 1899) c'è chi si è scervellato per trovare la soluzione: God save the Queen e Auld Lang Syne (il nostro Valzer delle candele) furono proposte all'autore, che negò fossero la risposta giusta e si portò la soluzione nella tomba.
Ma il concorso è continuato negli anni: nel 1976 un musicologo olandese, Theo van Houten, decriptò una frase che Elgar aveva scritto per il programma di sala della prima esecuzione: So the principal theme never appears. Dato che il compositore amava i giochi di parole, la frase si può leggere anche così: So the principal theme never appears, quindi il tema in questione avrebbe attinenza con never. E guarda caso, il più antico canto patriottico britannico, Rule Britannia, contiene la parola never musicata da Thomas Arne esattamente con le prime note del tema di Elgar:
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