affinità bombarole

rinsaldato il patto atlantico

04 aprile, 2009

Se Bardi l’avesse previsto...

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Il Corriere della Grisi riporta in primo piano l’ormai annoso problema delle regìe di opera, pubblicando un decalogo di regole di comportamento cui i registi - e i loro datori di lavoro, sovrintendenti e direttori di teatri - dovrebbero attenersi, allo scopo di limitare, da un lato, il fenomeno della sistematica distorsione della natura delle opere, e dall’altro di calmierare i costi di allestimenti che coniugano la scelleratezza artistica con un ormai insostenibile sperpero di risorse del contribuente.

Di certo v’è da chiedersi se Giovanni Bardi avrebbe deciso lo stesso di fondare la sua Camerata, se avesse previsto che fine avrebbe fatto l’opera lirica, anzi il dramma per musica da lui così fermamente voluto, a 500 anni di distanza.

Perchè - purtroppo - ciò che Bardi inventò è una cosa talmente speciale e unica al mondo che - unica, appunto, fra tutte le arti - si presta alle più stampalate (o anche serie a volte) manipolazioni, adulterazioni, ai più grotteschi o cervellotici stravolgimenti fra ciò che l’Artista autore aveva ideato e scritto sulla carta e ciò che un tizio, chiamato regista, si arroga il diritto di mettere in scena. Colui che dovrebbe essere il servo di quell’opera e quindi della volontà del suo Autore, è oggi assurto al ruolo di libero ricreatore dell’opera originale. E spesso e volentieri si tratta di ricreazioni che andrebbero gratificate mettendo il ricreatore a ricrearsi nell’ora d’aria di un carcere. Invece sono ricompensate con cachet milionari.

Tanto per fare un esempio, ve lo immaginate un regista che ambientasse l’Enrico IV ai giorni nostri, calando il Re d’Inghilterra, che so, nei panni del George W. Bush che si appresta a far guerra all’Iraq, dopo aver messo a ferro e fuoco l’Afghanistan? Sentite come esordirebbe il 43:

Scossi ancor come siamo
e spalliditi dai recenti affanni,
non concediamo tuttavia respiro
a questa nostra spaurita pace
e, con voce pur rotta dall’affanno,
ritorniamo a parlar dell’altra guerra
da portare su più lontani lidi.

Una gran farsa, diciamolo pure, nulla più. E infatti nessuno ha avuto - per ora almeno - il coraggio di proporre una simile stupidaggine.

Invece un Bieito qualunque può impunemente rappresentare il Ratto ambientandolo in un postribolo, con sesso orale esplicito... tanto c’è la musica di Mozart che lo salva, e il pubblico medio poco bada alla “trama”, addirittura alle parole e al fatto che il regista abbia stravolto la prima e manipolato le seconde. Perchè se la performance musicale è di livello, si passa sopra anche alle più bieche idiozie del regista, anzi quasi le si apprezza perchè allora sembrano dare un tocco di vita e di novità ad oggetti che altrimenti apparirebbero, appunto, come ammuffiti in un museo (oh, che barba, rivedere la Gioconda di Leonardo per la ventesima volta; godiamoci quella baffuta di Duchamp, che è più moderna!) Sembra poi un paradosso, ma quanto più le regìe sono strampalate ed arbitrarie, tanto più necessitano di un’esecuzione musicale (canto e orchestra) di primissimo ordine, poichè il pubblico in fin dei conti è andato lì principalmente per ascoltare la musica e apprezzare il canto, non perchè attirato dalla profondità dei testi o dalla plausibilità della trama (manco per Wagner... che è tutto dire).

Sul fronte più serio, i Carsen e gli Herheim, come i loro maestri-brechtiani-DDR-impastranati alla Götz Friedrich, mettono in scena spettacoli che sono - in se stessi - delle opere d’arte ma, appunto, sono il Parsifal di Herheim (non di Wagner) o l’Alcina di Carsen (non di Händel).

Oggi si arriva ormai (Carsen docet, proprio con Alcina) a far forza alla musica, con tagli anche sostanziali precisamente funzionali allo stravolgimento che il regista ha fatto del soggetto. Domani, per le stesse ragioni (modernità, appeal verso il pubblico, innovazione) si arriverà anche ad intervenire sui righi, sull’orchestrazione, e così via.

A ben pensarci, ne può uscire un business enorme: basta immaginare quante versioni diverse, una più interessante dell’altra, si potrebbero scrivere del Fidelio, del Lohengrin, dell’Otello!
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01 aprile, 2009

Bigini d’opera

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A.C.Douglas ci segnala - da youtube - questo simpatico riassunto di famose opere liriche e drammi musicali.

Cui una scolaresca ha già risposto, con questo altro bigino, francamente più banale; e con l’aggravante, per tale scolaresca, di essere parte della Tulsa School of Arts and Sciences.

Se non altro - a voler per forza essere ottimisti - constatiamo che l’opera resta ancor oggi un oggetto di curiosità e uno spunto per più o meno umoristiche composizioni.
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31 marzo, 2009

Sì, Mehta ce lo teniamo proprio volentieri

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Visto che in California (solo a qualcuno, peraltro) Mehta gli sta sullo stomaco, ce lo teniamo volentieri noi.

La sua seconda di Mahler di questa sera (col Maggio, orchestra e coro, Marjana Lipovšek e Barbara Frittoli) dovrebbe aver convinto anche gli scettici nostrani.

L’ascolto per radio ha i suoi limiti, rispetto a quello dal vivo, si sa, ma ha un enorme pregio: uno può starsene comodo, con la musica in cuffia, e la partitura davanti. E così può apprezzare ogni minimo particolare dell’interpretazione, con un check&balance in real-time, cosa quasi impossibile in auditorium, eccetto per le mosche bianche che conoscono ogni battuta a memoria.

Beh, posso certificare che l’esecuzione di questa sera è stata semplicemente esemplare: il Mahler autentico, non un Mahler liberamente arrangiato, come spesso si ascolta. Quando l’unico appunto che si può muovere al direttore è di aver fatto solo un minuto di pausa dopo il primo movimento (invece dei cinque prescritti dall’Autore) significa che più di così non si poteva chiedere. (e perdoneremo perciò benevolmente l’isolata stecca del trombone)

Adesso speriamo che il calore del Golfo ci restituisca Mehta, orchestra e coro nella stessa forma smagliante per Götterdämmerung.
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Sulla funzione terapeutica della musica

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Cari - futuri - strumentisti, sappiate che non siete qui per diventare degli intrattenitori, e non dovrete vendervi affatto. La verità è che non avrete alcunchè da vendere; essere musicisti non ha nulla a che fare col dispensare un prodotto, come vendere auto usate... Se fossimo una facoltà di medicina, e voi studenti di chirurgia, prendereste il vostro lavoro assai seriamente, poichè un bel giorno alle 2 del mattino qualcuno potrebbe arrivare al vostro Pronto Soccorso e voi gli dovreste salvare la vita... Miei cari amici, a voi un bel giorno, alle 8 di sera, capiterà invece che qualcuno entri nella sala da concerto e vi porti una mente confusa, un cuore distrutto, un’anima affaticata. Se ne uscirà ricostruito dipenderà, in parte, da quanto bene saprete operare la vostra arte.”

Così Karl Paulnack, pianista di discreta fama e direttore del Dipartimento di Musica del Conservatorio di Boston, in un’allocuzione di benvenuto ai nuovi allievi, corredata da testimonianze invero toccanti.

Indubbiamente una poetica - non certo nuova - risposta a chi reputa la musica colta (e l’arte in generale) essere mero intrattenimento e così giustifica, da un lato, la proposta di metterla in mano al mercato e, dall’altro, in tempi di vacche magre, decide tagli di risorse a ciò che è, secondo tale giudizio, superfluo.

Ma siamo sempre lì: se un malato non si vuol far curare, magari perchè neanche si rende conto di essere malato, a che scopo tenere aperti tutti questi costosi ospedali (leggi: teatri e sale da concerto) col relativo corredo di medici, infermieri e barellieri (leggi: direttori, strumentisti, cantanti e maestranze) solo per curare quattro gatti, che magari sono pure dei malati immaginari?

(forse, caro direttore, l’analogia musica-healthcare è da rivedere...)
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30 marzo, 2009

Mariella Devia in provincia: pochi (ma buoni?)

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Ieri sera Mariella Devia era a Gallarate, precisamente al Teatro Condominio “Vittorio Gassman”, dove si è esibita - accompagnata al pianoforte da Massimiliano Bullo - in un recital programmato in sostituzione di quello annullato del 27 marzo di Barbara Frittoli.

Poche settimane fa Mariella aveva cantato a Gorizia, accompagnata dall’Orchestra Sinfonica Regionale del Friuli, in una serata recensita da Amfortas, che aveva lamentato la scarsa presenza di pubblico ad un evento che avrebbe meritato il tutto esaurito.

Alla fine di un week-end uggioso e sotto una pioggerellina che indubbiamente suggeriva l’accoppiata caminetto-pantofola, anche la provinciale Gallarate (50 Km da Milano e 20 da Varese, zona Malpensa per intenderci) ha imitato - ahinoi - il capoluogo isontino, visto che nel simpatico teatro (circa 650 posti, più o meno come il “Verdi” di Gorizia) eravamo sì e no in 300 ad acclamare (facendoci in quattro, per la verità...) la nostra inossidabile ragazzina ultrasessantenne, presentatasi in un lungo color smeraldo, degno di una primavera meno avara di quella che ci si offre (sono in recessione anche le stagioni, per caso?)

In programma 7 arie da opere (di Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi) e cinque lieder (per i germanofili) di Bellini e Verdi.

L’acustica della sala (ci entravo per la prima volta) tutta rivestita da pannelli in legno, mi è parsa eccellente e davvero adeguata a trasmettere le delizie sonore che emanavano dalla bocca della Devia e invadevano il teatro con effetto trascinante, tanto che il pubblico ad ogni pezzo ha espresso in maniera esuberante la sua ammirazione. Così Mariella ci ha gratificato alla fine di due fuori programma, calandosi dapprima nei panni di Violetta (come a Gorizia) indi in quelli di Liù.

Infine bisogna fare i complimenti a queste istituzioni di provincia, che sono fuori dal giro del FUS, ma riescono ugualmente, davvero non si sa come, a mettere in piedi cartelloni di tutto rispetto, con perle come questa. (che però i cittadini potrebbero apprezzare di più...)
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28 marzo, 2009

Per qual cagione la Musica sia detta subalternata all'Arithmetica, & mezana tra la Mathematica & la Naturale.



MA perche la Scienza della Musica piglia in prestanza dall'Arithmetica i Numeri & dalla Geometria le Quantità misurabili; cioè, i Corpi sonori; però si fà alle due nominate Scienze soggetta; & si chiama Scienza subalternata. Onde è da sapere, che di due sorti sono le Scienze; percioche sono alcune dette Principali, ò Subalternanti; & alcune Nonprincipali, o Subalternate. Le prime sono quelle, lequali dependono da i Principii conosciuti per lume naturale & cognitione sensitiua; come l'Arithmetica & la Geometria; le quali hanno alcuni Principij conosciuti per la cognitione d'alcuni termini acquistati per uia de i Sensi; come dire, che La Linea sia lunghezza senza larghezza; ch'è un principio proprio della Geometria; & che 'l Numero sia moltitudine composta de più vnità; che è proprio principio dell'Arithmetica; oltra i Principii communi, che sono quelli, che dicono; Il tutto esser maggior della sua Parte; La Parte esser minore del suo Tutto; & molti altri, de i quali l'Arithmetico & il Geometra cauano le loro conclusioni. Ma le seconde sono quelle, che oltra i proprij Principii, acquistati per il mezo de i Sensi, ne hanno alcuni altri, che procedono da i principii conosciuti nell'una delle Scienze superiori & principali; & sono dette Subalternate alle prime; come la Prospettiua alla Geometria: conciosiache, oltra i Proprii principii, ne hà alcuni altri, che sono noti & approuati nella Scienza à lei superiore, ch'è la Geometria. Et è di tal natura la Nonprincipale & subalternata, che piglia della principale l'istesso Soggetto; ma per sua differenza ui aggiunge l'Accidente; percioche se fusse altramente, non ui sarebbe tra l'una & l'altra alcuna differenza di Soggetto; come si uede della Prospettiua, che piglia per soggetto la Linea per sè; della quale si serue anche la Geometria; & ui aggiunge per l'accidente la Visualità; & cosi la Linea visuale uiene ad esser il suo soggetto. Il medesimo intrauiene ancora nella Musica, c'hauendo ella con l'Arithmetica per commune soggetto il Numero, aggiunge à questo per sua differenza la Sonorità, & si fà ad essa Arithmetica subalternata; tenendo il Numero sonoro per soggetto. Ne solamente hà la Musica i Proprij principii; ma ne piglia anco de gli altri dall'Arithmetica, per i mezi delle sue Demostrationi; accioche per essi habbiamo la vera cognitione della Scienza, E' ben vero, che tali Principii & mezi non sono tutte le conclusioni, che nell'Arithmetica si ritrouano; ma solamente una parte, della quale il Musico ne hà dibisogno; & sono di Relatione; cioè, delle Proportioni; & questo per mostrar le Passioni de i numeri sonori, secondo il proposito. Onde ancora noi pigliaremo quelle Conclusioni solamente, che ci faranno dibisogno; & le applicaremo al Suono, ouero alla Voce, che dal Naturale (come dimostra Aristotele) sono considerate; Il perche diremo, che la Musica secondo la dottrina di questo Filosofo: non solo alla Mathematica; ma etiandio alla Naturale è subalternata; non in quanto alla Parte de i Numeri; ma si bene in quanto alla parte del Suono, ch'è naturale; dalquale nasce ogni Modulatione, ogni Consonanza, ogni Harmonia, & ogni Melodia: la qual cosa è confermata anche da Auicenna, il qual dice; che La Musica hà i suoi Principij dalla Scienza naturale, & da quella de i Numeri. Et si come nelle cose naturali, niuna cosa è perfetta mentre ch'è in potenza; ma solamente quando è ridutta in atto; cosi la Musica non può esser perfetta, se non quando co 'l mezo de i naturali, ò arteficiali Istrumenti si fà udire; la qual cosa non si potrà fare co 'l Numero solo, ne con le Voci sole; ma accompagnando queste & quello insieme; massimamente essendo il Numero inseparabile dalla Consonanza. Per questo adunque sarà manifesto, che la Musica non si potrà dire ne semplicemente Mathematica, ne semplicemente Naturale; ma si bene parte Naturale & parte Mathematica; & conseguentemente mezana tra l'una & l'altra. Et perche dalla Scienza naturale il Musico hà la ragione della materia della Consonanza, che sono i Suoni & le Voci; & dalla Mathematica hà la ragione della sua forma; cioè, della sua Proportione; però douendosi denominar tutte le cose dalla cosa più nobile; piu ragioneuolmente diciamo la Musica esser Scienza mathematica, che naturale; conciosia che la Forma sia più nobile della Materia.

ISTITVTIONI HARMONICHE DEL REV. M. GIOSEFFO ZARLINO DA CHIOGGIA,

Maestro di Capella della Serenissima Signoria DI VENETIA. Prima Parte. Capitolo 20. (MDLVIII)

24 marzo, 2009

In viaggio col cacciatore...

Giorni fa, dovendo fare una trasferta giornaliera di 300Km (all’andata neh, + altrettanti per tornare a casa) ho scelto, come al solito, un CD da infilare nel player per aggiungere un po’ di dilettevole all’utile. La scelta, quel giorno, è caduta su Der Freischütz, due ore e poco più (con tale Birgit Nilsson, non so se mi spiego...)

Di passaggio: chi - non so chi, lo ammetto - ha tradotto in italiano il titolo con “Il franco cacciatore” doveva essere un raffinato davvero. Escluso che franco stia per “francese”, ma nemmeno per “francone” (chè la vicenda si svolge in Boemia) nè certo per “schietto”, o “sincero” (Max non pare proprio un tipo così irreprensibile) nè si può proprio concludere che significhi “bravo”, “preciso”. In realtà è franco nel senso di libero (non incarcerato!) E poi cacciatore non è certo la traduzione letterale di Schütz, che sta per “tiratore” (di doppietta).

Ma non è del titolo che voglio parlare, bensì della musica, natürlisch! Anzi, di un piccolo, quasi microscopico particolare della partitura weberiana.

Allora, ascolto purtroppo con una certa superficialità - bisogna prima di tutto guidare, anzi... frenare, per evitare i postumi rimbrotti del tutor - e così arrivo al terzo atto, e a quella celestiale aria di Agathe “Und ob die Wolke sie verhülle“, introdotta e poi accompagnata dalla calda melodia del violoncello. Ecco qui:

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Le note riquadrate in rosso coprono un intervallo di nona (da dominante a sesta) una cellula di una bellezza davvero sbudellante. E riappaiono più volte, nello strumento e nella voce, nel corso della cavatina.

Chissà perchè, mi ricordano qualcosa, ma al momento non riesco a far mente locale (devo anche badare al tutor, accipicchia!) Così alla sera, tornando a casa (i tutor sono già a nanna... almeno stando ai board, che si limitano a suggerire soste con sconto-caffè) ascolto più attentamente e cosa ti scopro? Che quelle cinque note costituiscono anche l’incipit del walzer, n°3 del primo atto! Come certificato di seguito:
















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Certo, mentre con Agathe eravamo in un sognante adagio, qui siamo in un comodo andante, ma la materia prima è proprio la stessa (tonalità a parte).

Ma non finisce qui, perchè adesso mi rendo conto che, con tempo ancora più lesto (“Molto vivace”) quella cellula era apparsa ancor prima, proprio alla fine del primo coro “Victoria, Victoria!”:


















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Sì, va bene, qui la terzina iniziale è sull’arpeggio di dominante e non di tonica... ma di fatto è la stessa cellula (che difatti appena dopo viene precisamente replicata) degli altri due riferimenti.

Insomma: non è certamente un leit-motiv, almeno in senso stretto wagneriano. Ma è pur sempre un segno, una traccia, quasi un’impronta che ricompare in momenti e contesti diversi e con diversi accenti: un piccolo “tema con variazioni” nascosto fra le pieghe di questo capolavoro.

(oh, ma i tutor erano davvero a nanna? ...dico: in caso, i punti vanno decurtati a Carl Maria, chiaro vero?!)
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22 marzo, 2009

Vorrà dire che Mehta ce lo teniamo stretto noi!

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Alan Rich è uno dei più importanti critici musicali americani. Sta a Los Angeles e da qualche tempo ha aperto un suo blog dove pubblica le sue recensioni su avvenimenti musicali.

L’ultima riguarda la recente tournée dei Wiener con Zubin Mehta, che hanno deliziato i californiani con un paio di concerti a Disney.

Bene, se volete leggere gli insulti più bassi e volgari al grande Zubin, accomodatevi qui! Il meglio che Rich abbia da dire sul direttore è che sale sul podio come se si fosse appena fatto la pipì addosso.

In realtà, scavando nel passato, si potrebbe scoprire che Rich (oggi ottantacinquenne - ma non tutti ad 85 anni sono rincoglioniti, però) non ha mai potuto vedere Zubin fin dai tempi in cui il direttore indiano era approdato, poco più che ragazzo, alla LA Philharmonic. E così non perde occasione per dargli dell’ignorante, nientemeno definendolo come incapace di penetrare l’essenza stessa del repertorio sinfonico (sic!)

Per loro fortuna, a LosAngeles non sono proprio tutti matti.
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20 marzo, 2009

Daniele Gatti riconfermato a Bayreuth

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La notizia è passata quasi sotto silenzio, ma non era poi così scontata, a fronte degli arricciamenti di naso che si erano visti in quel di Bayreuth dopo l’esordio di Gatti nel Parsifal 2008 di Herheim.

Il sito ufficiale del Festival conferma invece che anche nel 2009 sarà Daniele Gatti a dirigere le cinque rappresentazioni dell’ultima opera di Wagner. Immutato anche il cast, almeno nei ruoli-chiave.
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19 marzo, 2009

Commenti all’Alcina di Carsen alla Scala.

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Uno dei risultati - indubbiamente positivi - dello sbarco dell’Alcina di Carsen alla Scala è di aver sollevato discussioni sull’ormai annoso problema legato alla libera interpretazione di grandi opere del passato, e della loro riproposizione in chiave “moderna” e comunque diversa dallo stereotipo originale.

Magìa sì, magìa no è uno dei leit-motive di queste discussioni nei forum e delle recensioni che si leggono sui giornali. L’approccio e i tagli di Carsen sono un altro comune argomento di discussione.

Vediamo alcuni commenti scritti prima e dopo la prima, e reperibili in rete.

Angelo Foletto su Repubblica annunciava la prima con un riassunto dell’impostazione di Carsen (quale si poteva già leggere sul sito del teatro) derivata presumibilmente dall’esperienza parigina, con un fugace accenno ai ruoli di padrona e cameriera con cui Carsen veste Alcina e Morgana. E su quella di Antonini, di cui sembra citare passi di un’intervista.

Daniela Zuccoli sul Corriere anticipava così l’opera di Händel. Una presentazione succinta, ma assai fedele dell’approccio del regista canadese. Chi legge capisce benissimo che l’Alcina che vedrà alla Scala è ben diversa dall’originale barocco-magico, tutta incentrata invece su psicologia e analisi dei sentimenti.

Elsa Airoldi, sempre prima della prima, sul Giornale riferiva dell’approccio di Carsen, che mostrava di gradire, nella scolpitura dei sentimenti dei personaggi e nella scelta del finale, caratterizzato dal “senso di perdita”.

Sempre sul Giornale, a proposito della prima, Lorenzo Arruga si inventa - perchè l’ipotesi più probabile è che lui non ci fosse, o avesse nelle orecchie gli auricolari di un blackberry, e gli occhi fissi sul relativo schermino - un’accoglienza trionfale, con solo “...una manciatella sterile di buu...” Su Carsen comincia dicendosi incapace di “...capire cosa ci si guadagna a togliere la prospettiva della favola e della storia, vestire i personaggi come noi e lasciare a terra mostri volanti e affini...” per concludere, con logica stringente, che “... il suo gioco è ordinato, agile, coerente”. Esattamente come le idee di Arruga! Che ha lodi sperticate persino per il povero Alastair Miles, definito nientemeno che “autorevole”. Come Arruga, appunto.

Francesca Zardini, su AffariItaliani, elogia tutti, dal regista al maestro, ai cantanti, senza far cenno alla mezza gazzarra che aveva accompagnato la prima. Ma quel che stupisce è la disarmante ingenuità con cui tocca il tasto della regìa, da lei dapprima apprezzata senza riserve, ma poi di fatto criticata apertamente, per via dei tagli ai “sortilegi” (Atlante, l’anello di Angelica e lo scrigno). Quando basterebbe un minimo di analisi della concezione del regista per concludere che quei tagli ne sono la matematica conseguenza. O viceversa, se si censurano quei tagli, bisognerebbe allora aver il coraggio di criticare l’impostazione di fondo di Carsen, di cui sono figli.

Paolo Isotta, all’indomani della prima, oltre a considerazioni non del tutto fuori luogo riguardo la prassi di applaudire ogni aria, come era costume dei tempi, e come del resto si fa con Rossini, Donizetti e Verdi... parla di grande successo e di sua gran felicità, anche se cita la data di lunedi (sic!) e la contestazione a Carsen (vero) e alla Bacelli (falso, poichè la contestata era la Petibon) e ad Antonini (falso, come riportano tutte le testimonianze). Poi sembra dar ragione all’interpretazione tutta psicologica di Carsen, salvo però dirgliene di tutti i colori riguardo a scene, costumi e movimenti attoriali. Boh... chi lo capisce è bravo.

Alberto Mattioli su LaStampa apostrofa noi italiani come provinciali, non all’altezza di apprezzare le stratosferiche raffinatezze di un Carsen. Poi scrive testualmente: “Comincia come una commedia sexy da film brillante hollywoodiano e finisce svelando la faccia nascosta del capolavoro händeliano, dove la musica smentisce l’assunto moraleggiante del libretto. Quando svanisce l’isola della maga Alcina, anche nei paladini «conversi in onda, in fredde rupi e in belve» prevale la lancinante malinconia per quel mondo sparito, la nostalgia per il paradiso perduto.” Certo, è proprio così, ma questo è il finale dell’Alcina di Carsen, NON di quella di Händel. E i tagli, caro il mio Alberto, non sono motivati - come tu sostieni - da problemi di orario della metropolitana, eh no! Poi il nostro conclude buttando fango sui cantanti. Bontà sua, salva almeno Antonini e gli strumentisti scaligeri.

Chiudiamo ancora con Angelo Foletto, che su Repubblica porta Antonini al settimo cielo (e ci sta). Poi passa a Carsen e non si capisce se lo voglia fare santo subito, o spedire all’inferno. Scrive infatti: “L'illusionistica ricchezza musicale della partitura-capolavoro, esaltata dalla lettura strumentale e dalla flessuosità direttoriale, era di proposito negata dal cupo e bellissimo spettacolo di Robert Carsen che rappresentava l'isola magica come un regno di erotismi borghesi e sensualità funerea”. Insomma, Angelo, ha ragione Antonini o Carsen? La musica o la regìa che la nega? Ancora: “...il finale aperto, con Ruggiero stordito che forse non tornerà da Bradamante, è vero e toccante.” Quindi bravo Carsen? Però così chiude Foletto: “...il pubblico, già disorientato dallo scetticismo amoroso portato in scena da Carsen.” Insomma, un colpo al cerchio, uno alla botte e un terzo alla... logica!
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