Il terzo appuntamento del ciclo ci fa volare da
Milano a Pittsburgh (non è male, giudica
benevolmente Delman) precisamente all’Università
Carnegie Mellon, dove è ospitata la cosiddetta Polacca (anche questo è un sottotitolo inventato, e con pochissima
fantasia, direi!)
Come a Mosca, anche qui Delman si rivolge ai ragazzi in italiano (là però
avevamo anche udito perentori richiami in russo...) e così si avvale di un
giovane assistente come tramite per chiarire - anche suonandogli e cantandogli Die Forelle - il suo approccio
interpretativo.
Cinque delle sei magnifiche
hanno tonalità minore, l’eccezione
essendo costituita proprio da questa terza, in RE maggiore. Però tutte, inclusa questa, principiano in minore (!) Nella fattispecie si tratta
di una marcia funebre in RE minore (un brutto sogno). Ma non è che
l’introduzione: poi, al risveglio, scoppia finalmente il RE maggiore, che
Delman interpreta come un aprite tutte le
porte e le finestre, respiriamo finalmente aria fresca e il profumo dei fiori!
Per definire lo spirito del secondo tempo (Alla tedesca) Delman usa la metafora del paraocchi del cavallo, che
procede senza poter vedere (e apprezzare...) ciò che sta ai lati o dietro di
lui. Una vita alla tedesca magari
comoda (casa, moglie, auto, comfort) ma
a senso unico, e così - nel movimento successivo - scopriremo che è vuota,
perchè senza felicità nè amore...
E infatti con l’Andante elegiaco
si torna alla profondità, magari anche un po’... pesante, del pensiero russo (Tolstoj). Però un raggio illumina inaspettatamente
la chiusa, con il FA# che trasforma il RE da minore in maggiore.
E la ricerca del RE maggiore, che innerverà poi il finale, continua nello
Scherzo in SI minore, con il lungo RE
tenuto dai corni nel Trio e poi con i
17 arpeggi sul RE degli archi.
La Polacca finale non ha
bisogno di commenti, ma permette a Delman di proporre una domanda retorica: cos’è che tiene insieme, come un organismo
perfetto, ragazzi dalla pelle di ogni colore? La risposta la conosciamo
benissimo...
___
(3. Continua)
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