Ieri sera l’Auditorium ha ospitato il
primo dei cinque concerti con i quali il nuovo (ma amico di vecchia data) Direttore Musicale de laVerdi, Claus Peter Flor, ha aperto il ciclo delle 9
sinfonie di Beethoven.
Ciclo strutturato secondo un criterio
quasi-cronologico, nel senso che la sequenza di presentazione delle sinfonie
rispetta quasi fedelmente quella della loro composizione e dell’originale
presentazione al pubblico. Fa eccezione solamente la n°2, che è stata accorpata
alla n°8 nel penultimo concerto (in compagnia, a mo’ di riempitivo, delle due Romanze). Una soluzione di compromesso
che ha il pregio di accostare (almeno per i primi 3 appuntamenti) una sinfonia
meno (apparentemente) impegnativa ad una di quelle davvero toste. Unica
controindicazione il brusco passaggio dalla 1 alla 3, che crea un gran
contrasto, ma ci fa perdere l’apprezzamento dell’evoluzione beethoveniana intervenuta
fra la 1 e la 2.
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Da
qualche anno, quando si parla di Sinfonie di Beethoven si fa spesso riferimento
all’edizione impiegata per l’esecuzione. Ciò perchè da 20 anni (più o meno) a
questa parte sono comparse almeno due nuove edizioni critiche delle sinfonie
beethoveniane: una, uscita negli anni 1997-99, è distribuita da Bärenreiter e curata da Jonathan
Del Mar (figlio d’arte, del celebre musicologo Norman). Essa si contrappone a una nuova revisione - opera di Clive
Brown e Peter
Hauschild che aggiorna quella ormai storica e tradizionale di Breitkopf del 1862, che è stata –
insieme a quelle successive di Peters,
da essa derivate - universalmente impiegata in passato (ma lo è ancor oggi, e
forse in maggioranza). Devo dire che si tratta di problemi che possono
interessare più il filologo che l’ascoltatore, dato che il risultato delle
ricerche (per carità, meritorie) dei musicologi si traduce più che altro nella
precisazione (o anche correzione, talvolta) di particolari minimi che
difficilmente sono rilevabili anche ad un ascolto attento. Ecco un esempio
relativo alla prime battute dell’Op.21 (da sinistra: Peters/Breitkopf storica –
Bärenreiter – Del Mar, clickare per ingrandire):
Come
si nota, si tratta di sfumature quasi impercettibili e/o di avalli
dell’edizione Breitkopf (a sua volta derivata dalle parti originariamente
pubblicate nel 1801 da Hoffmeister&Kühnel). Non è raro che le differenze fra diverse
edizioni riguardino problemi di volta-pagina
per le parti, magari legati a contestati da-capo
(esemplare lo Scherzo della 5a)!
Persino
se si ascolta un’esecuzione fatta con la vecchia edizione Breitkopf leggendo la nuova partitura
Bärenreiter (e viceversa) si
fatica a percepire le differenze fra le due edizioni. Per questo sono personalmente
convinto che all’ascolto ci sia assai più differenza fra due diverse interpretazioni della
stessa edizione che fra due diverse
edizioni critiche della stessa
sinfonia: in sostanza, gli interventi che il Direttore fa normalmente sulla
partitura (si pensi solo alla personale interpretazione
dell’agogica e delle dinamiche) sono spesso e volentieri ben più evidenti
(all’ascolto) delle differenze fra una nota staccata
o meno, o fra un crescendo e una forchettina, come minuziosamente rilevati
dall’editore critico.
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Tornando al ciclo di Flor, la prima
serata ha visto un Auditorium assai affollato, chiaro segnale dell’interesse
del pubblico per il nuovo Direttore Musicale (oltre che, ovviamente, per Beethoven).
Devo dire che è stato un esordio
positivo sotto tutti gli aspetti: Orchestra (disposta alla tedesca, con i
secondi violini di Gianfranco Ricci al
proscenio) affiatata e capace di esprimere sonorità settecentesche nella prima
e (pre)romantiche nell’eroica.
A Flor mi sentirei di (bonariamente)
rimproverare solo un tempo un tantino accelerato nella seconda parte dell’Andante della prima; per il resto mi è parsa, la sua, una lettura rigorosa, nello
spirito e nella lettera (rispettati, per dire, tutti i da-capo). Meritati gli
applausi per lui, che si sono ripetuti poi calorosamente nel foyer-bar, in
occasione di un simpatico brindisi di benvenuto.
Domenica, 4a e 5a.
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