Ieri la Fenice ha ospitato la seconda delle 5 recite della Sonnambula di Bellini, una ripresa della produzione
del 2012.
Venezia come... al solito: leggevo di
autentica invasione di cavallette turisti e invece si circolava con
assoluta scorrevolezza. Il posto più affollato era il porto: ma di barconi a 12
piani! (uno dei quali ha poi solcato – maestoso quanto protervo - la Giudecca
proprio mentre la Sonnambula si risvegliava).
___
Qualche curiosità
sparsa su quest’opera che consacrò il Bellini alla storia.
a. Il fantasma che gli svizzerotti credono
di vedere ogni notte è per caso Amina sonnambula? Orbene, la descrizione che la
madre adottiva (Teresa) ne fa - In bianco avvolta lenzuol cadente, col crin disciolto, con occhio ardente – parrebbe proprio
attagliarsi alla figlioccia, che in quelle vesti e atteggiamenti compare al
Conte e poi nella scena finale. Ma allora, caspita: possibile che la Teresa,
che l’Amina ce l’ha in casa, non si accorga che quando appare il fantasma,
puntualmente la figlioccia sia irreperibile? E del resto il Conte non tarda più
di un paio di secondi a riconoscerla, quando se la trova di fronte! Se no, allora
la storia del fantasma fa davvero sorridere: si tratterebbe di un banalissimo
diversivo del librettista per spargere un pizzico di suspence in un libretto dal contenuto un tantinello noioso.
b. Ah! non credea mirarti è l’anticipazione di Fenesta ca
lucive o invece è una scopiazzatura (geniale) di una melodia vecchia di
secoli? La domanda ha assillato esegeti e musicologi per decenni, ma ora pare
che pochi
dubbi esistano sulla veridicità della seconda ipotesi. E del resto la
somiglianza è perfetta solo sul verso Più
non reggo a tanto duolo cantato da Elvino (Chiagneva sempe ca dormeva sola, nel testo popolare) mentre quell’incipit che
sale da dominante a tonica (LA minore in Bellini, FA minore nella tradizione) e
da qui per gradi congiunti alla dominante (in Bellini solo alla mediante) si
ritrova in Rossini (Dal tuo stellato soglio)
in Smetana (Moldava) e in chissà
quante altre opere famose e non. Che Bellini abbia tratto ispirazione da quell’antica
melodia si può anche spiegare con la vaga rassomiglianza dell’ambientazione del
testo popolare con il libretto di Romani.
c.
All’inizio
del second’atto troviamo un ideale percorso da Beethoven a Brahms, via Bellini:
dapprima i legni espongono un motivo che ricorda assai da vicino l’attacco del
tema principale del 4° concerto beethoveniano (note ribattute che dalla tonica,
attraverso sensibile, tonica e tonica diesizzata portano alla sopratonica);
subito dopo, nell’introduzione all’entrata di Amina (Larghetto maestoso, SOL maggiore) legni e archi espongono un motivo
che tornerà anni e anni più tardi (in RE maggiore) come incipit del concerto
per violino dell’amburghese.
___
Tornando alla Fenice, ieri affollata ma non presa
d’assalto, lo spettacolo ha confermato il discreto successo del 2012. La regìa
di Bepi Morassi è simpatica e un tantinello strampalata, cercando di rispettare
il testo originale, ma in ambientazione quasi-moderna: così ecco Rodolfo
arrivare in funivia (nella quale rossa cabina sale poi la Lisa per scendere a
valle e tornare in scena dopo nemmeno due minuti rientrando dalle quinte...) e
i valligiani prendere una corriera di color rosso sgargiante per andare – in completo
assetto da discesa libera - al
castello a implorare l’intervento del suddetto conte.
Efficace il trattamento dei protagonisti
e delle masse che li circondano: equilibrato e scevro da volgarità quello di
Rodolfo (soprattutto nella scena scabrosetta del primo atto, in camera da
letto); convincente quello di Amina, che ne mette in evidenza la personalità
complessata ma sincera; come pure quello del povero Elvino, sballottato come
una navetta in continue andate-e-ritorni fra le due femmine che se lo contendono;
meno scolpiti quelli di Lisa (che si vorrebbe un filino più... impertinente) e
di Teresa; Alessio viene gentilmente gratificato dal regista del matrimonio con
la sua Lisa (ma sulla durata di tal legame ci sarebbe poco da giurare... e
infatti Bellini la Lisa la fa proprio sparire dal finale); il coro dei valligiani
si muove (o sta fermo) sempre in modo appropriato alle circostanze.
___
Della compagnia del 2012 sono
sopravvissuti l’Elvino di Shalva Mukeria
e la Teresa di Julie Mellor: il primo
ha ben figurato, confermando le sue doti di lirismo e sensibilità di
portamento, ben supportate dalla voce chiara e squillante; francamente meno
convincente la seconda, piuttosto stimbrata negli acuti e non troppo udibile
nei gravi.
Trionfatori del pomeriggio il Rodolfo di Roberto Scandiuzzi, gran vocione (non
sempre controllato al meglio, secondo me) e imponente presenza scenica; e la
protagonista Irina Dubrovskaya, che
non ha fatto per nulla rimpiangere la pur grande Pratt di 5 anni orsono (e non solo per i MIb e il FA sovracuti staccati con
perfetta naturalezza).
Discreta la Lisa di Silvia Frigato, vocina sottile adatta al ruolo, ma troppo poco cattiva (almeno per me). Oneste la
prestazioni di William Corrò (Alessio)
e del notaio Eugenio Masino.
Coro di Claudio Marino Moretti e orchestra sui loro migliori standard: Fabrizio Maria Carminati ha concertato
con precisione e sobrietà, restituendoci con merito questo Bellini davvero lanciato
verso le altissime vette che toccherà di lì a pochi mesi con Norma e dopo pochi
anni con Puritani.
2 commenti:
A mio parere Carminati negli ultimi anni sta vivendo una notevole crescita artistica. Ciao!
@Amfortas
personalmente Carminati l'avevo sentito dal vivo solo nel Fritz (sempre alla Fenice) e ne ero rimasto favorevolmente impressionato. Un direttore sobrio e anti-divo, come raramente accade di ascoltare.
Grazie e ciao!
Posta un commento