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03 luglio, 2017

La rediviva Sonnambula veneziana


Ieri la Fenice ha ospitato la seconda delle 5 recite della Sonnambula di Bellini, una ripresa della produzione del 2012.

Venezia come... al solito: leggevo di autentica invasione di cavallette turisti e invece si circolava con assoluta scorrevolezza. Il posto più affollato era il porto: ma di barconi a 12 piani! (uno dei quali ha poi solcato – maestoso quanto protervo - la Giudecca proprio mentre la Sonnambula si risvegliava).
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Qualche curiosità sparsa su quest’opera che consacrò il Bellini alla storia.

a. Il fantasma che gli svizzerotti credono di vedere ogni notte è per caso Amina sonnambula? Orbene, la descrizione che la madre adottiva (Teresa) ne fa - In bianco avvolta lenzuol cadente, col crin disciolto, con occhio ardente – parrebbe proprio attagliarsi alla figlioccia, che in quelle vesti e atteggiamenti compare al Conte e poi nella scena finale. Ma allora, caspita: possibile che la Teresa, che l’Amina ce l’ha in casa, non si accorga che quando appare il fantasma, puntualmente la figlioccia sia irreperibile? E del resto il Conte non tarda più di un paio di secondi a riconoscerla, quando se la trova di fronte! Se no, allora la storia del fantasma fa davvero sorridere: si tratterebbe di un banalissimo diversivo del librettista per spargere un pizzico di suspence in un libretto dal contenuto un tantinello noioso.

b. Ah! non credea mirarti è l’anticipazione di Fenesta ca lucive o invece è una scopiazzatura (geniale) di una melodia vecchia di secoli? La domanda ha assillato esegeti e musicologi per decenni, ma ora pare che pochi dubbi esistano sulla veridicità della seconda ipotesi. E del resto la somiglianza è perfetta solo sul verso Più non reggo a tanto duolo cantato da Elvino (Chiagneva sempe ca dormeva sola, nel testo popolare) mentre quell’incipit che sale da dominante a tonica (LA minore in Bellini, FA minore nella tradizione) e da qui per gradi congiunti alla dominante (in Bellini solo alla mediante) si ritrova in Rossini (Dal tuo stellato soglio) in Smetana (Moldava) e in chissà quante altre opere famose e non. Che Bellini abbia tratto ispirazione da quell’antica melodia si può anche spiegare con la vaga rassomiglianza dell’ambientazione del testo popolare con il libretto di Romani.

c. All’inizio del second’atto troviamo un ideale percorso da Beethoven a Brahms, via Bellini: dapprima i legni espongono un motivo che ricorda assai da vicino l’attacco del tema principale del 4° concerto beethoveniano (note ribattute che dalla tonica, attraverso sensibile, tonica e tonica diesizzata portano alla sopratonica); subito dopo, nell’introduzione all’entrata di Amina (Larghetto maestoso, SOL maggiore) legni e archi espongono un motivo che tornerà anni e anni più tardi (in RE maggiore) come incipit del concerto per violino dell’amburghese.
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Tornando alla Fenice, ieri affollata ma non presa d’assalto, lo spettacolo ha confermato il discreto successo del 2012. La regìa di Bepi Morassi è simpatica e un tantinello strampalata, cercando di rispettare il testo originale, ma in ambientazione quasi-moderna: così ecco Rodolfo arrivare in funivia (nella quale rossa cabina sale poi la Lisa per scendere a valle e tornare in scena dopo nemmeno due minuti rientrando dalle quinte...) e i valligiani prendere una corriera di color rosso sgargiante per andare – in completo assetto da discesa libera - al castello a implorare l’intervento del suddetto conte.

Efficace il trattamento dei protagonisti e delle masse che li circondano: equilibrato e scevro da volgarità quello di Rodolfo (soprattutto nella scena scabrosetta del primo atto, in camera da letto); convincente quello di Amina, che ne mette in evidenza la personalità complessata ma sincera; come pure quello del povero Elvino, sballottato come una navetta in continue andate-e-ritorni fra le due femmine che se lo contendono; meno scolpiti quelli di Lisa (che si vorrebbe un filino più... impertinente) e di Teresa; Alessio viene gentilmente gratificato dal regista del matrimonio con la sua Lisa (ma sulla durata di tal legame ci sarebbe poco da giurare... e infatti Bellini la Lisa la fa proprio sparire dal finale); il coro dei valligiani si muove (o sta fermo) sempre in modo appropriato alle circostanze.
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Della compagnia del 2012 sono sopravvissuti l’Elvino di Shalva Mukeria e la Teresa di Julie Mellor: il primo ha ben figurato, confermando le sue doti di lirismo e sensibilità di portamento, ben supportate dalla voce chiara e squillante; francamente meno convincente la seconda, piuttosto stimbrata negli acuti e non troppo udibile nei gravi.

Trionfatori del pomeriggio il Rodolfo di Roberto Scandiuzzi, gran vocione (non sempre controllato al meglio, secondo me) e imponente presenza scenica; e la protagonista Irina Dubrovskaya, che non ha fatto per nulla rimpiangere la pur grande Pratt di 5 anni orsono (e non solo per i MIb e il FA sovracuti staccati con perfetta naturalezza).

Discreta la Lisa di Silvia Frigato, vocina sottile adatta al ruolo, ma troppo poco cattiva (almeno per me). Oneste la prestazioni di William Corrò (Alessio) e del notaio Eugenio Masino.

Coro di Claudio Marino Moretti e orchestra sui loro migliori standard: Fabrizio Maria Carminati ha concertato con precisione e sobrietà, restituendoci con merito questo Bellini davvero lanciato verso le altissime vette che toccherà di lì a pochi mesi con Norma e dopo pochi anni con Puritani.

2 commenti:

Amfortas ha detto...

A mio parere Carminati negli ultimi anni sta vivendo una notevole crescita artistica. Ciao!

daland ha detto...

@Amfortas
personalmente Carminati l'avevo sentito dal vivo solo nel Fritz (sempre alla Fenice) e ne ero rimasto favorevolmente impressionato. Un direttore sobrio e anti-divo, come raramente accade di ascoltare.
Grazie e ciao!