Ieri sera, in un Auditorium letteralmente preso d'assalto, si è conclusa la maratona
beethoveniana di Flor e de laVerdi. E la Nona
è stata il degno suggello a questa coraggiosa proposta del nuovo Direttore
Musicale.
Rispetto
al periclitante cast di solisti dello
scorso Capodanno, devo riconoscere che Flor ieri aveva a disposizione quattro
voci di buon livello: il soprano fiammingo Ilse
Eerens (che ha rimpiazzato l’inizialmente annunciata Gal James); l’affermato contralto Sonia Prina (spesso ospite in Auditorium, anche con laBarocca di Jais); il 28enne tenore
tedesco Moritz Kallenberg,
un’interessante promessa, già protagonista qui nella Matthäus-Passion di Pasqua (sempre con Jais); e infine il basso-baritono Daniele Caputo che, a dispetto della giovane età, è una vecchia
conoscenza de laVerdi, avendo fin
dal 2010 militato nel coro di Erina
Gambarini, prima di spiccare il volo verso più ambiziosi traguardi.
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Sulla Nona si è scritto (e fatto!) molto, ed anch’io ho dato il mio
microscopico contributo, in occasione di un Capodanno di
qualche anno fa,
alla lettura del quale rimando i più... masochisti (!)
Questa volta torno sul tema delle Edizioni Critiche, che riguarda
ovviamente anche la Nona. Di essa
esistono sia l’autografo originale che copie eseguite poco dopo la
composizione, ma l’edizione che ha poi costituito il primo riferimento è quella
del 1826 di Schott (al quale
Beethoven aveva affidato la pubblicazione della partitura). A partire da questa
nel 1863 Breitkopf produsse una prima
edizione critica, che poi è diventata il riferimento quasi universale per tutto
il ‘900.
A parte il Finale (rivoluzionario per via dell’ingresso delle voci) è lo Scherzo (non titolato così, ma
semplicemente Molto vivace) a
presentare curiosità di tipo editoriale, e in particolar modo (c’era da
dubitarne?) a proposito delle ripetizioni
(i da-capo o ritornelli che dir si voglia) che lo caratterizzano. Le quali
hanno un’influenza sul piano estetico (possono essere ad esempio apprezzate dal
punto di vista dell’equilibrio complessivo fra i pesi dei quattro movimenti,
oppure denigrate come fastidiose e a lungo andare nocive al godimento della
sinfonia) e nello stesso tempo su quello materiale (i tempi di esecuzione che
possono variare anche di parecchi minuti, come si vedrà, a seconda delle
decisioni che prende il Direttore).
Il problema è particolarmente sentito in
questo caso, poichè lo Scherzo della Nona è uno fra i più ponderosi dell’intera
produzione sinfonica, e forse solo Mahler arriverà ad essere altrettanto
megalomane, quanto a dimensioni (penso ad esempio alla sua Quinta). Siamo a livello
di cicra 560 battute nette di musica, che supererebbero addirittura le 1200 se
si eseguissero tutti i da-capo e che, in un’esecuzione media, si avvicinano comunque alle 1000. Ma il caso è anche
emblematico di quanto siano ancora (o spesso) aleatorie le conclusioni di studi
e ricerche che pure hanno caratteri di alta professionalità.
La tabellina che segue presenta, su due
colonne, la struttura dello Scherzo come si deduce dall’esame di due famiglie
di partiture: quella originaria di Schott
del 1826 (cui pare essersi richiamato anche Ricordi, nel 1983) e quella di Breitkopf del 1863, che per molti versi
è stata recentemente presa a modello da Bärenreiter
(edizione curata da Jonathan Del Mar). Vi sono sommariamente riportati, con i
relativi intervalli in termini di battute, i principali elementi,
contraddistinti da macro-titoli (come Scherzo, Trio, Sezione, etc.) che non
trovano riscontro diretto sulle partiture, ma sono logicamente deducibili dal
contesto; e dalle lettere (reharsal-letters)
– anch’esse apocrife, ma ormai entrate nella tradizione editoriale – che
individuano micro-sezioni dell’opera. Oltre alle (principali) tonalità toccate
e alle dinamiche indicate da Beethoven, vi sono anche riportati i segni di
inizio e fine dei cosiddetti ritornelli.
Come si può notare, la differenza fra le
due colonne (e le relative edizioni) risiede fondamentalmente nella presenza
(in Schott) di una semplice indicazione per la ripresa dello Scherzo, con
passaggio poi alla Coda, mentre in Breitkopf la ripresa dello Scherzo viene
esplicitamente ristampata in coda al Trio. Quest’ultimo accorgimento ha più che
altro lo scopo, come dire, di agevolare la lettura da parte degli interpreti
(direttore e strumentisti) che possono così evitare un fastidioso ritorno
all’indietro e un altrettanto disagevole salto verso la Coda.
Ma c’è poi un particolare che riguarda i
contenuti: oltre alla solita miriade di piccoli aggiustamenti che si ritrovano
nell’edizione più nuova (Bärenreiter / Del Mar) rispetto alle precedenti, c’è un punto che
mostra clamorosamente come anche ricerche recenti non sempre diano risultati
affidabili. Il problema riguarda l’esecuzione della ripresa dello Scherzo.
Nell’edizione Schott, essendoci solo l’indicazione di ripetizione (fra i due
segni) non è precisato se i da-capo delle due sezioni dello Scherzo siano da
rieseguire o meno. Per la verità Beethoven sul punto è stato abbastanza
contraddittorio: in alcuni scritti ha ordinato di saltare i da-capo (cosa oggi del
tutto normale, ma non scontata ai suoi tempi) ma in altri ha fornito
un’indicazione sibillina: non eseguire ripetizioni nella seconda parte. Orbene, come si vede nella colonna di destra, a suo
tempo Breitkopf interpretò questa indicazione nel senso di proporre la
ripetizione della Sezione 1, e non della 2 (la seconda parte, appunto). Invece
Jonathan Del Mar, nella sua prima edizione del 1999 (e ancora nella ristampa
del 2007) interpreta come seconda parte l’intera ripresa dello Scherzo, e
quindi esclude anche il da-capo della Sezione 1. Ma poi, guarda un po’, nel
2006 si convince che l’interpretazione giusta era proprio quella, ottocentesca,
di Breitkopf e così, nella ristampa del suo Critical Commentary del 2012,
chiede scusa e annuncia di aver fatto modificare la sua partitura (!)
Esecuzione del da-capo della Sezione 1 nella
ripresa dello Scherzo:
Camerata Cassovia, con
Walter Attanasi: 15’20”;
Chailly (da 16’11”) con
tempi più spediti: 14’10”;
Omissione del da-capo della Sezione 1 nella
ripresa dello Scherzo:
Paavo Järvi (da 14’33”): 13’30”;
Toscanini (da 13’49”)
con tempi più spediti: 13’05”;
Abbado con i Berliner
(da 14’22”) con tempi ancor più solleciti: 12’50”;
Omissione anche del da-capo della Sezione
2 nell’esposizione dello Scherzo:
Lenny Bernstein: 12’16”;
Furtwängler (1954, da 18’05”) un po’ più
spedito: 11’50”;
Jansons (da 16’19”) ancora
più rapido: 11’30”;
Karajan, stessa scelta,
ma con tempi forsennati: 10’55”;
Omissione anche di entrambi i da-capo nell’esposizione
dello Scherzo:
Josef Krips, che in più corre
come un frecciarossa: 9’40”.
Come si vede, ce n’è per tutti i gusti e
per tutti i... cronometri, in barba a tutte le edizioni critiche!
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Va da sè che dopo tutto ‘sto tormentone,
come minimo sono obbligato a riferire della scelta di Flor: che è poi quella
sua solita, mutuata da Furtwängler (tanto per
andare sul sicuro) applicata anche pochi mesi orsono (che include anche la
disposizine dell’orchestra e la collocazione dei solisti fra strumenti e coro).
Ma questo è solo un dettaglio tecnico, chè l’importante è la prestazione maiuscola
dei complessi de laVerdi, che si
confermano di altissima qualità e di massimo affidamento, garantendo sempre un livello
di eccellenza in questo repertorio.
Come detto, più che discreta la
prestazione dei quattro solisti (forse Caputo ha un po’ sofferto l’emozione di
essere protagonista fuori dal suo
coro, ma aprire con quel micidiale recitativo la parte cantata del finale è
roba sufficiente a distruggere un elefante...) e come sempre sontuosa quella
del popolo di Erina Gambarini.
Alla fine interminabili applausi e
ovazioni, contrappuntate da qualche ululato che voglio proprio sperare (per la
salute mentale degli ululanti) non fosse di disapprovazione... La stagione
estiva ora si concede al Jazz, mentre
l’Orchestra dà appuntamento a tutti per il 10 settembre al Piermarini!
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