Secondo dei 5 appuntamenti in Auditorium
per il ciclo delle 9
sinfonie di Beethoven interpretate
da Claus Peter Flor: in programma la
4a e la 5a.
Dato che dire qualcosa di originale
sulle sinfonie di Beethoven è più difficile che confutare la teoria della
relatività, questo appuntamento mi offre l’occasione per trattare il
fondamentale problema dei da-capo (ok,
direte, ma oggi ci frega di più sapere se sia alle porte l’inciucione
Renzi-Berlusconi). Cioè di quelle ripetizioni di brani (tipiche dell’esposizione nella forma-sonata, o negli scherzi-con-trio, ma spesso anche nei finali) che dovrebbero (o dovevano)
permettere all’ascoltatore di scolpire bene in mente le caratteristiche dei temi
musicali, in modo da riconoscerli poi se e quando si ripresentano successivamente:
ad esempio nello sviluppo della
forma-sonata, o in quelle opere – sinfonie o poemi-sinfonici – con caratteri di
ciclicità (con motivi che appunto... riciclano).
Nella Sinfonia il da-capo è stato
impiegato da tempo immemorabile e, dopo Haydn, Mozart e Beethoven, ne hanno
fatto ampio uso anche i romantici (Schubert, Mendelssohn, Schumann) così come
Brahms e giù addirittura fino a Mahler (prima e sesta sinfonia). Nel secolo
scorso si andò però radicando una tradizione che escludeva (non sempre) di
eseguire il da-capo, sulla base della considerazione (più o meno plausibile)
che ormai, almeno per le opere classiche, i vari temi e motivi erano
perfettamente conosciuti all’ascoltatore, che poteva sentirli quando voleva - senza bisogno di andare in sala-da-concerto - sul proprio giradischi (o alla
radio-televisione). Ma una ragione più prosaica della rinuncia ai da-capo era
di carattere bassamente venale: consentiva spesso e volentieri di comprimere opere
musicali dentro la limitata capienza (20-25-30 minuti) dei microsolco. Ecco
quindi che parecchie sinfonie (di Beethoven, ma non solo) se depurate dai
da-capo potevano essere contenute in un’unica facciata, con evidenti vantaggi commerciali
per gli operatori del settore discografico. Ma
mentre il fenomeno commerciale ha perso
obiettivamente di peso con l’avvento dei CD(-DVD) la rinuncia ai da-capo è
diventata quasi una discriminante a livello di interpretazione, al pari della scelta dell’agogica e della dinamica
o – come vedremo fra poco – dell’edizione
critica da impiegare.
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Mentre nel primo concerto (sinfonie 1 e
3) Flor aveva rispettato scrupolosamente tutti i da-capo, nella Quarta
ha omesso i due più importanti (esposizione dell’iniziale Allegro vivace e dell’Allegro
non troppo conclusivo). Possibili ragioni della scelta? Bisognerebbe chiederle
a lui, ma si può ipotizzare (in positivo) che il Direttore abbia prediletto la
massima concisione nei movimenti esterni, per mettere più in risalto quelli
interni (l’Adagio e il Menuetto). In negativo (spero proprio di
no) la scelta potrebbe testimoniare di una scarsa fiducia del Direttore nelle
qualità intrinseche dei temi fondanti di quei due movimenti...
Ne è comunque uscita una Quarta
tutt’altro che docile e tranquilla (come spesso viene approcciata, da vaso di
terracotta fra due di acciaio): Orchestra (sempre disposta con layout teutonico
e con Dellingshausen in veste di Konzertmeister, e Santaniello seduto dietro a lui...) in gran spolvero in tutte le sezioni
(da menzionare il fagotto magico di Andrea
Magnani)(*). Accoglienza calorosa da un pubblico assai folto, data la stagione
e la giornata.
(*) Faccio tardiva ammenda e per lo scambio di... fagotto: che era quello, altrettanto magico, di Stefano Riva.
(*) Faccio tardiva ammenda e per lo scambio di... fagotto: che era quello, altrettanto magico, di Stefano Riva.
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Nella precedente puntata avevo accennato ai problemi relativi alle cosiddette edizioni critiche, la cui (pur legittima) rilevanza viene spesso sovrastimata o magari enfatizzata a fini, diciamo così, di marketing a vantaggio di incisioni o dell’immagine del Direttore tizio o cajo. E a proposito della Quinta beethoveniana va ricordato un caso non propriamente edificante di cui fu protagonista (ahilui) il sommo Claudio: e anche qui c’è di mezzo un da-capo!
Nella precedente puntata avevo accennato ai problemi relativi alle cosiddette edizioni critiche, la cui (pur legittima) rilevanza viene spesso sovrastimata o magari enfatizzata a fini, diciamo così, di marketing a vantaggio di incisioni o dell’immagine del Direttore tizio o cajo. E a proposito della Quinta beethoveniana va ricordato un caso non propriamente edificante di cui fu protagonista (ahilui) il sommo Claudio: e anche qui c’è di mezzo un da-capo!
A differenza di altre sinfonie, nella
Quinta, oltre alla solita miriade di dettagli più o meno apprezzabili da parte
di un ascoltatore pur preparato, è emerso dalle ricerche musicologiche del
secolo scorso un problema di importanza capitale (beh, ecco, ce n’è di
peggio...): il da-capo dello Scherzo. Per 150 anni si è sempre
seguita l’edizione di Breitkopf (la prima del 1820 successivamente riedita a
più riprese) che presenta il movimento incriminato con la struttura
Scherzo-Trio-Scherzo(1)-Coda. La ripresa dello Scherzo (1) da battuta 237 è
assai diversa dalla forma iniziale, avendo un andamento quasi claudicante ed
esitante, molto appropriato per introdurre la drammatica coda di transizione
diretta al Finale. Ma fra le carte di
Beethoven si sono trovate indicazioni (contraddittorie peraltro) relative
all’introduzione di un da-capo a
battuta 236, il che comporta una struttura del movimento assai più corposa: Scherzo-Trio-Scherzo-Trio-Scherzo(1)-Coda.
E evidente come le due soluzioni portino con sè conseguenze assai importanti,
dal lato estetico: la prima conferisce al movimento una straordinaria
concisione, affrettando l’avvento del Finale dove la ragione trionfa sulle
tenebre; la seconda lascia invece più spazio alle... tenebre, prima
dell’irruzione della luce. Non è per nulla strano che Beethoven abbia avuto
dubbi su quale struttura scegliere: nel suo manoscritto originale il da-capo
non c’è, o meglio: c’è, ma aggiunto in un secondo momento in colore rossastro
(Rötel,
sanguigna) ma sparito dalle diverse ricopiature fatte successivamente e quindi
anche dall’edizione del 1820.
Questa forma col da-capo (dovuta al
ricercatore Peter Gülke) è stata per la prima volta proposta
nel 1977 dall’editore Peters e così molti Direttori l’hanno adottata in
concerti e registrazioni: ciò ovviamente comporta che il minutaggio del terzo
movimento aumenti di più del 50%. Nel 1996 Clive
Brown propose una nuova edizione (per Breitkopf) dove il da-capo
incriminato viene salomonicamente (e piuttosto cerchio-bottisticamente)
presentato con l’indicazione ad-libitum:
non essendo possibile dare una risposta univoca alla questione, si lascia
all’interprete la decisione di eseguire o meno il ritornello. (Per inciso, è ciò
che ogni Direttore fa riguardo a praticamente tutti i da-capo di questo mondo!)
Ecco l’argomentazione di Brown: “The repeat of the Scherzo and
Trio, which is marked ad libitum in the text, is also discussed
there (il rapporto
dettagliato di Brown, ndr) in greater
detail so that users may come to their own decision on the basis of the
inconclusive evidence.”
Quindi, dopo 180 anni, si riconosce che
aveva proprio ragione Breitkopf fin dal 1820! Ecco la pagina incriminata della
partitura di Del Mar, che riprende quella tradizionale edizione, senza alcun
segno di da-capo:
Adesso torniamo ad Abbado: nel 2001 esce
la sua nuova interpretazione del ciclo beethoveniano, alla testa dei suoi nuovi
(ehm) padroni, i Berliner. Il CD della DGG pubblicizza con una certa enfasi il fatto
che l’esecuzione delle Sinfonie è fatta impiegando la (recentissima, a quei
tempi) edizione di Del Mar. Quindi concludiamo con matematica certezza: niente
ritornello, giusto? E invece (ascoltare per credere, qui a 19’27”) Abbado esegue
il da-capo! Che dire? Sentirci presi in giro?
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Ora, dopo tutto ‘sto tormentone
filological-palloso, viene spontaneo chiedersi: ma Flor cosa c. ci ha
propinato? Beh, quale che sia la ragione che lo ha portato a decidere, lui il
ritornello non lo ha eseguito,
tiè. E già che c’era, ha saltato anche quello del Finale... In compenso, ha dato l’attacco al destino che bussa alla porta quando ancora non si erano spenti gli
applausi che lo avevano accolto al ritorno sul podio dopo l’intervallo... Neanche
avesse dovuto fare un bis con, che so, il Trepak
o Tuoni-e-fulmini!
Alla fine pubblico entusiasta e applausi
ritmati: per essere il 9 luglio non c’è da lamentarsi.
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